Claudia Petrucci: intervista alla scrittrice de L’esercizio pubblicato da La Nave di Teseo

 Claudia Petrucci: intervista alla scrittrice de L’esercizio pubblicato da La Nave di Teseo

Claudia Petrucci è l’autrice de L’esercizio, romanzo uscito per La nave di Teseo qualche mese fa. Prima di trasferirsi in Australia, dove oggi lavora, ha studiato Lettere Moderne e pubblicato racconti per varie riviste, tra cui Cadillac e minima&moralia. Abbiamo apprezzato molto il suo libro, che abbiamo recensito, ed è per questo che abbiamo deciso di fare una chiacchierata con lei.

Come sei arrivata alla scrittura? Hai mai avuto paura di non essere all’altezza?

Sono arrivata alla scrittura dopo un lungo periodo di osservazione. L’unica paura che abbia mai avuto è di non essere all’altezza di ciò che voglio raccontare, questo è l’unico metro con il quale mi misuro.

Quando Montale, ormai quarant’anni fa, tenne il proprio discorso di ringraziamento alla cerimonia del Nobel si interrogò sul senso della poesia nella nuova era della comunicazione di massa. Ad oggi la situazione probabilmente è ancora più critica – soprattutto se consideriamo il numero di lettori in Italia. Tu hai frequentato la facoltà di Lettere Moderne, sei una lettrice e scrivi: scelte, potremmo dire, ormai anti-convenzionali. Mi chiedevo, quindi: qual è il senso della letteratura, secondo te?

Montale chiuse il suo discorso per il Nobel menzionando la Creazione. La letteratura è l’esercizio di un potere divino imperfetto. Abbiamo smesso di averne bisogno? Non credo. Anche oggi, e oggi sempre maggiormente di ieri, noi raccontiamo storie. Lavoriamo quotidianamente a un racconto frammentato e multimediale della nostra esistenza. Lo scopo di questa metanarrativa è procedere alla nostra personificazione digitale per garantirci esperienze simulate; questa metanarrativa è una forma di creazione. La letteratura simula esperienze attraverso una comunicazione personificata; la letteratura è una forma elevata e complessa di creazione. Penso che, rispetto a una ricerca di senso, sia più impellente un ampliamento della riflessione sulle forme della letteratura.

 

Da lettrice, quali autori ti hanno formata? Quali, invece, tra gli autori italiani contemporanei, trovi più promettenti?

Per citarne alcuni: Borges, Morselli, McGrath, Buzzati, Lem, Kafka, London, Némirovsky, Le Guin. Non sono nella posizione di definire promettente nessuno, e mi limito con il dire che questa stagione di esordi mi pare notevole.

 

L’esercizio è il tuo romanzo d’esordio, ma si è dimostrato un’incredibile prova letteraria. Probabilmente i due maggiori punti di forza stanno nello stile tanto tagliente e nell’introspezione psicologica. Qual è il trucco?

Per quanto possibile, cerco di scrivere da scrittore e di leggermi da lettore, cioè di riavvicinarmi al testo come se mi trovassi di fronte a una pagina, un capitolo o un libro non mio. La necessità di uno sguardo terzo non si esaurisce, ma estraniarmi mi aiuta a bilanciarmi in corso di stesura.

 

È sempre molto affascinante venire a sapere come gli scrittori costruiscano le storie. C’è chi dice di inseguire i personaggi tra le strade della città, chi racconta a partire da uno sguardo scambiato furtivamente per strada. Tu, invece? Da dove hai tratto l’ispirazione per questo romanzo e come lo hai costruito?

Ho lavorato alla stesura de L’esercizio nel 2018, in un periodo in cui mi era fisicamente impossibile raggiungere Milano, per via delle limitazioni imposte dal mio visto australiano. Ho scritto guardando i personaggi vivere dove io ho vissuto, camminare dove io ho camminato, e in questo immaginario di esistenze possibili e altre, nella loro sovrapposizione alle mie impronte, risiede lo slancio creativo.


Una delle frasi più incisive del tuo libro L’esercizio (La nave di Teseo) recita: chi scrive vuole sentirsi Dio. Sicuramente questa affermazione ha molto a che fare con ciò che la storia racconta, ma mi chiedevo: tu che sei proprio una scrittrice, come ti relazioni a questo?

Nel primo nodo narrativo che ho sviluppato, Filippo descrive il suo incontro con Giorgia ed è rappreso in uno stato di grazia senza averne coscienza. A volte penso di aver costruito l’intero romanzo a sostegno di questo momento, mi chiedo se in realtà scrivere non sia altro che generare un’ossatura giustificante bellezza.


Il tuo romanzo è piuttosto crudo e disincantato, soprattutto nei confronti dell’essere umano e delle relazioni interpersonali. Sembra che ogni cosa sia guidata da un forte egoismo di fondo che “macchia” anche i sentimenti per definizione più altruisti come l’amore. Come mai?

 L’esercizio rappresenta un modo possibile di concepire le relazioni interpersonali. I personaggi di questo romanzo sono connotati da un forte egoismo, e per alcuni di essi l’egoismo è una strategia di sopravvivenza.

 

C’è qualche autore che ti ha – direttamente o indirettamente – ispirato nella scrittura di questo libro?

Ci sono alcuni titoli e autori specifici che sono stati di ispirazione: La guardarobiera di Patrick McGrath, Eva futura di Villiers de L’Isle-Adam, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello di Oliver Sacks, L’uomo della sabbia di Hoffmann.

Vorrei concludere con la domanda forse più difficile, ma anche quella che mi interessa di più: Perché e per chi scrivi?

Ho scritto questo libro per una sola persona, perché le fosse gradito. Ha funzionato.

 

Rebecca Molea

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