“Le donne scrivono meglio degli uomini”. Intervista al guru Antonio Russo De Vivo, l’editor degli esordienti
Inizia con oggi una nuova rubrica in cui intervisteremo gli addetti ai lavori con domande sull’editoria, sulla letteratura, sulla scrittura. Conosceremo editor, traduttori e traduttrici, insegnanti di scuola creativa, ci confronteremo anche con chi cura l’ufficio stampa o l’ufficio diritti di una casa editrice, perché conoscere la letteratura vuol dire conoscere anche chi c’è dietro un libro.
Antonio Russo De Vivo, l’editor degli esordienti
Il nostro primo intervistato è un editor che ha seguito e segue il percorso di tanti esordienti, alcuni dei quali vincitori o finalisti di premi prestigiosi come il Calvino o il Neri Pozza, da Maddalena Fingerle a Giulia Sara Miori. Lo abbiamo definito «l’editor degli esordienti», fa questo di mestiere da anni, collabora anche con il premio Zeno, ha fondato e dirige la rivista letteraria «micorrize» ed è stato nelle redazioni di numerose altre riviste, a iniziare dalla storica «CrapulaClub», infine collabora al progetto Scrivere di notte di Emanuela Cocco. Lui è Antonio Russo De Vivo. Nessuno più di lui sa cosa significa esordire, e perciò gli abbiamo fatto qualche domanda sulla scrittura, sulla letteratura, su cos’è il talento.
Buona lettura!
Antonio Russo De Vivo: hai fatto vincere più premi letterari tu che K’varatskhelia al Napoli. Sei, e non è un’esagerazione, l’editor degli esordienti. Che tipo di editor sei? A quale ti ispiri e perché?
Mi considero un editor singolare, nel duplice senso di far coincidere la professione con le mie peculiarità individuali, e di tenermi lontano dai gruppi. Non mi interessa interpretare un ruolo, rappresentare al meglio ciò che convenzionalmente viene associato alla parola «editor». Ho a che fare con scrittori, cioè con artisti, dunque devo essere all’altezza. Il mio stesso modello non può essere definito editor, per quanto sia stato il miglior editor immaginabile. Parlo di Bobi Bazlen: in lui acume, intuito, cultura sono conseguenza di una intelligenza superiore. Era illuminante, e l’editor più di tutto deve essere illuminante: è in una sorta di ebbrezza, di sovreccitazione che l’artista riesce a vedere e sentire più del suo consueto o normale o come vogliamo dirlo. Da un artista non mi aspetto niente di consueto.
Per quanto riguarda i premi letterari, siamo nel campo del gioco: la scrittura è gioco, divertimento, nel senso più vasto del concetto. Ma non si giocherebbe se non si ambisse a primeggiare.
Credi che per fare l’editor sia necessario un qualche tipo di formazione? Cosa ti senti di dire a chi vuole intraprendere questo mestiere?
L’editor deve conoscere la grammatica e la lingua, avere uno spiccato senso del ritmo e un gusto ben allenato. Sono cose, queste, che ognuno può coltivare da sé, meglio se si ha la fortuna di interagire con buoni e soprattutto cattivi maestri. Le vie divergenti si rivelano le più utili. Le vie convergenti non sono inutili.
Poi viene la narratologia, e qui basta studiare pochi libri facili per avere una molteplicità di schemi adattabili a buona parte dei testi cui si lavora.
Più di tutto servono le soft skill, abilità e competenze trasversali che riguardano l’editor come individuo. L’artista è una persona, buona parte del fascino del mestiere di editor è riuscire a stabilire un legame con l’artista, i testi vengono di conseguenza. Ci si trova troppo spesso a affrontare momenti in cui all’artista non servono concetti da manuale di scrittura creativa, ma ben altro. Avere esperienze di vita particolari aiuta a capire la persona e ciò che scrive. La tecnica si apprende, l’esperienza si possiede. Un editor senza intuito è come un agricoltore che, pur preparatissimo nel suo mestiere, non ha il pollice verde.
L’intuito non si apprende.
Avere competenze esclusivamente letterarie oggi è controproducente.
Tornando ai maestri, non posso non citare sempre, per riconoscenza, una persona cui devo tantissimo: Antonia Santopietro, ti ringrazio.
Durante la tua carriera hai letto e editato molti testi. Come capisci se un autore o un’autrice ha il fattore x, il talento? Te la senti di fare qualche nome che, secondo te, va tenuto d’occhio?
Per quanto riguarda la scoperta del talento, ci vuole solo l’intuito.
Di Maddalena Fingerle lessi un racconto in un premio letterario (il premio Zeno, cui collaboro da circa dieci anni), ho faticato a rintracciarla per chiederle di pubblicare quello stesso racconto su «CrapulaClub», mi ha scelto lei come editor, in oltre un anno e mezzo di tutoring/editing con me è arrivata a progettare e scrivere quel gran romanzo che è Lingua madre che vinse il premio Calvino nel 2020.
Giulia Sara Miori mi ha contattato con le sue consuete modalità irritanti; aveva già pubblicato una raccolta di racconti che mi capitava talvolta di suggerire (Neroconfetto, Racconti edizioni, 2021); per me era evidentemente una persona fuori dal comune e una artista. Diceva di essere in crisi creativa; la considero una bomba creativa.
Alberto Liverani l’ho scoperto nel lavoro gratuito per la mia rivista «micorrize»: voce, idee e intelligenza mi parvero evidenti, poi gli chiesi di pianificare quella raccolta di racconti che è giunta in finale all’ultima edizione del premio Calvino.
Vincenzo Montisano mi è stato mandato da una collega, Elena Giorgiana Mirabelli. In lui esaltazione, passione, energia, capacità di divertirsi, tutto è spassosamente sopra le righe. Vederlo tra i dieci selezionati dell’ultima edizione del premio Neri Pozza (cui non partecipano solo esordienti), lui che è artista scorretto e osceno, è stato molto divertente.
Le vie dello scouting sono imprevedibili, si deve leggere tanto e osservare di più. Si deve sempre ricordare che l’artista è la sua stessa opera, dunque anche un testo sbagliato può rivelarsi il testo giusto da cui iniziare una collaborazione.
L’esordio: cosa bisogna fare per esordire oggi?
Scoprire gli esordienti è legato a una mia personale passione: partire dal basso e accompagnare in un processo di crescita. Questo è ciò che definisco tutoring. Sarebbe per me molto meno stimolante partire dall’alto, da chi è già affermato, da progetti già importanti.
È ciò che feci con Maddalena Fingerle, partire da zero, cioè da un’autrice che doveva esordire.
È ciò che faccio ad esempio con Fosca Navarra, artista classe 2000 che mi fu segnalata da un collega, Marco Peluso: talento sempre meno grezzo, sempre più luminoso.
Io credo che, oltre a una storia, per esordire oggi occorra avere personalità, carattere, fascino. Oggi si legge, ma ancora di più si ascolta e si guarda. Si deve essere sempre in contatto con lo spirito del tempo; poi osare immaginare il dopo; poi conoscere la tradizione.
Cosa ne pensi invece delle scuole di scrittura creativa: servono o non servono e perché?
La «scrittura creativa» come insegnamento è necessaria per molteplici motivi nelle scuole dell’obbligo. Ma lì non c’è.
Dopodiché, credo che per scrivere basti semplicemente saper scrivere.
Le scuole di scrittura creativa andrebbero frequentate con lo spirito di chi si è iscritto a tennis o alla scuola calcio: per provare piacere, per apprendere la disciplina, senza pretendere di comprare una pubblicazione o i celeberrimi contatti utili a.
Personalmente sono per i rapporti 1 vs. 1, se dovessi avere una classe di aspiranti scrittori, pretenderei di interagire costantemente con ognuno perché, ovvio, ogni persona ha bisogno di qualcosa di diverso. Non ho mai frequentato una scuola di scrittura creativa, ma non credo faccia male una scuola che voglia «allenare» e «esercitare» alla scrittura.
Per chi non ti conosce, tu sei un editor molto attento anche alle voci femminili. Esiste una letteratura femminile? Che ruolo hanno le donne nella letteratura italiana?
Innanzitutto ritengo che chiunque non sia maschio eterosessuale oggi scriva meglio. In un momento storico di conflitto tra i generi, chi è portato a tutelare rendite di posizione (il dominio maschile) tende a avere uno sguardo conservatore, banale, vecchio.
Da qui una delle frasi che pronuncio più spesso negli ultimi anni:
«le donne scrivono meglio».
Tuttavia, da laureato in Lettere, non posso non dire che ad esempio nel Novecento italiano, per motivi ovvi, abbiamo avuto un gran numero di scrittori straordinari e poche scrittrici straordinarie.
Credo che non sia utile falsare i dati per motivi ideologici. Diversi recuperi femminili li considero forzature. Negli ultimi anni, invece, non a caso lo sbilanciamento è a favore delle scrittrici; basta osservare i risultati dei premi letterari non solo italiani. Stanno meritatamente dominando le scrittrici. Io credo nell’alterità tra i sessi quindi devo credere nell’alterità tra le scritture.
Fenomeni come classismo, bullismo, snobismo si vedono continuamente nella bolla letteraria. Quando sono capitati ad autori e autrici che tu segui, cosa hai pensato e cosa hai fatto?
La «bolla» è un luogo virtuale in cui si praticano giochi di ruolo.
I social network permettono, nel bene e nel male, di organizzare una rappresentazione di sé stessi anche diversa rispetto all’identità della vita reale. Lavorando per molte donne, ho familiarizzato con fenomeni che mi fanno orrore di cui le scrittrici sono spesso vittima: maschilismo, machismo, mansplaining, celodurismo, complessi d’inferiorità, groupismo a favore del maschio, ecc.
Da quando lavoro per Giulia Sara Miori, una scrittrice femminista «da sempre» (talvolta devo ricordarlo, perché l’interpretazione in cattiva fede è una delle armi con cui la si attacca), mi tocca intervenire per non farla sentire sola e bullizzata o debolmente difesa.
(Sono maschio, ergo non posso essere femminista. La parità di condizioni di partenza mi è semplicemente utile, poiché sono per la meritocrazia.)
Da amante del conflitto, apprezzo le sue modalità aggressive. Confesso che trovo inquietante la modalità ossessiva con cui certe persone la attaccano. Altra singolare e interessante argomentazione contro di lei: «pare che se le cerca».
Inoltre, ritengo si debba prendere posizione, detesto l’ignavia.
Mi fa molto piacere che nella vita reale questa «insopportabile femminista» sia molto amata e stimata, a conferma che la bolla in sé ha una valenza relativa e non conta chissà quanto, come «comunità». Poi per come ho visto agire questa comunità qualche mese fa pur di difendere e proteggere l’indifendibile in nome dell’appartenenza a essa, credo sia meglio tenersene slegati.
Contano sempre solo le persone.
Chiudiamo con una domanda che ti ho già fatto ma che mi piacerebbe tu condividessi anche con gli altri: se Antonio Russo De Vivo fosse una casa editrice, quale sarebbe e perché?
La mia idea di casa editrice l’ho espressa qualche anno fa in un racconto pubblicato su «CrapulaClub»: Camelot.
Io preferisco lavorare per gli artisti, con le persone che scrivono, non per le case editrici. Non mi sentirei a mio agio a dover lavorare sotto contratto per un autore sotto contratto: vivrei male lo sbilanciamento di forze, quello stesso per cui l’artista, il creatore dell’oggetto letterario, viene troppo spesso umiliato.
Lo scrittore vale molto di più di addetti ai lavori e imprese. Addetti ai lavori e imprese non esisterebbero senza gli scrittori.
Ho lavorato per Davide Morganti, uno dei pochi scrittori che resteranno anche dopo, e vederlo considerato meno di tanti mi imbarazza. E mi imbarazza che scrittori forti e fortissimi non lo leggano.
Giordano Tedoldi, scrittore che attualmente deve «autopubblicarsi», può essere considerato il simbolo di una sproporzione di forze per cui il «non allineato» viene escluso.
Quello che probabilmente è il romanzo italiano più bello e importante del 2023, Phallus Dei (ha ricevuto tanti rifiuti: ma scherziamo?), Tedoldi ha dovuto pubblicarlo attraverso l’odiata piattaforma Amazon: l’operazione, in sé, è potente.
Veronica Tomassini, autrice che stimo molto, prima di una meritata pubblicazione con La nave di Teseo ha dovuto anche lei autopubblicarsi.
Un applauso alla piccola ma seria casa editrice indipendente Les Flâneurs per aver pubblicato nel 2022 il romanzo-memoir Vuoto di Ilaria Palomba: resto sorpreso di non vedere pubblicato da una major un altro libro importante e che resterà, un libro vivo, meraviglioso, che per la vastità di temi delicatissimi affrontati imporrei anche nelle scuole.
Se fossi una casa editrice mi divertirei a essere una minuscola ambiziosissima casa editrice, a far emergere scrittori che sappiano scrivere, che siano sopra la media. Ma si tratta di un gioco ingiocabile, questo.
A cura di Valeria Zangaro