Il racconto del mercoledì: Il cetriolo di Iacopo Russo

 Il racconto del mercoledì: Il cetriolo di Iacopo Russo

Illustrazione di Verónica Salazar

Ho sempre voluto tagliare io le verdure. Non riesco a rinunciare al suono croccante delle carote, e se lacrimo affettando la cipolla non è tanto per gli umori che rilascia, ma per il piacere di scomporre in quadratini la sua forma stratificata.

Quella sera il sole ancora non era scomparso dietro Calton Hill. D’estate, alle nostre latitudini, le giornate si dilatano e si fanno lente. Dalla finestra della cucina entravano lame di luce rosa, e persino i piatti di ceramica gettavano lunghe ombre sulla tavola, apparecchiata per quattro.

Non ricordo bene a che ora siano arrivati gli ospiti. Lui l’ho trovato più anziano di quanto Skye mi avesse descritto, mentre lei era florida e aveva due guance che sembravano fatte per essere illuminate dalla luce del tramonto. In lui ho notato la camicia bianca, classica, e, quando mi ha stretto la mano, il semplice orologio con cinturino di cuoio, uguale al mio. Mi sono venute in mente le osservazioni entusiaste di Skye, di ritorno dalle sue lezioni di neuroscienze: «Non puoi capire. Se Michael non gesticolasse così quando spiega le teorie sul multitasking, non capirei neanche la metà di quella roba».

Gli ospiti si sono accomodati a tavola. Già è un po’ strano avere a cena l’affascinante professore della tua fidanzata, ma il problema più serio, io credo, è la cucina a vista. Uno si trova a dover fare conversazione con sconosciuti mentre affetta il cetriolo per il gin tonic. Forse è stata anche l’angolazione del tagliere, o la luce che si rifletteva sull’acciaio della cappa e mi finiva negli occhi. Quello che ricordo meglio è l’espressione sul viso di Skye. Il sangue aveva ormai cominciato a colarmi lungo tutta la mano e lei aveva uno sguardo curioso, come di rimprovero materno. Poi la stanza ha cominciato a girare, ho sentito il movimento d’aria di un braccio che cercava di afferrarmi, un tonfo e più nulla.

Dita morbide, intrecciate alle mie, sono la prima cosa che percepisco quando mi sveglio. La mano di Skye è nella mia, quella ancora sana. Sull’altra sento il pizzicore delle garze, e alle narici mi giunge l’odore metallico del mercurocromo. Riaffiorano i ricordi: camicia bianca, orologio, cetriolo, sangue. Apro gli occhi, li fisso subito in quelli di Skye, confidando che le mie iridi sapranno esprimerle le mie scuse. Ho rovinato una serata che attendeva da tanto. Lei, avendo cura di non perdere il contatto fra i nostri sguardi, si infila una mano in tasca. Quando la tira fuori vedo che regge un tronco di cetriolo, coperto da piccole macchie rosso bruno: «Anche lui non se la passa bene» ride.

I miei occhi invece si fanno umidi, proprio come quando affetto una cipolla.

Iacopo Russo

Blam

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