“Il mio romanzo candidato allo Strega? L’ho scritto in 8 giorni. Mi sento un miracolato”, parla Elvio Carrieri, scrittore ventenne

Non ci crede nemmeno lui, eppure è successo: un esperimento di scrittura è finito nella dozzina del premio Strega 2025. Con Poveri a noi, Elvio Carrieri è il candidato più giovane del premio. Vent’anni compiuti, ancora studente (secondo anno di Lettere moderne), barese doc, Carrieri sta facendo parlare di sé con questo romanzo che entra di diritto nella “tradizione” di qugli autori che hanno narrato la città di Bari. Ecco cosa ci ha raccontato in questa intervista.
Ci racconta in un minuto la storia del suo libro candidato allo Strega?
Un ragazzino alle scuole medie assiste al pestaggio brutale di un altro ragazzino e piuttosto che intervenire rimane fermo. Vent’anni dopo i due sono amici, lo sono diventati in realtà già dopo quel pestaggio e l’io narrante, che coincide con il ragazzino che non è intervenuto, è ossessionato da quell’avvenimento, non riesce a venire fuori da questo senso di colpa. Il rapporto tra i due è malato, ossessivo, viscerale, ma viene scosso dall’introduzione, nella storia, del terzo personaggio femminile, Letizia, che Libero, il narratore, incontra nel suo lavoro di professore in un carcere di Bari. La loro storia cambia e si muove sui binari della storia di Bari con la quale si instaureranno delle particolari coincidenze di colpa.
Com’è nata questa storia?
Tutto è partito dai miei versi che mandai a Francesco Forlani, scrittore casertano ma parigino di adozione e che lui pubblicò su «Nazione Indiana». Dopo aver guadagnato la sua fiducia, il giorno in cui feci l’esame di maturità, Forlani mi commissionò 90 cartelle di romanzo da produrre in otto giorni come una sfida, io poco sapevo che dietro c’era un editore, un’ulteriore scommessa che Forlani aveva fatto con l’editore, sta di fatto che l’ho fatto, non so come ma ho scritto 20mila battute al giorno per otto giorni.
Vent’anni, primo romanzo e già è entrato nella dozzina dello Strega. Non ha paura di bruciarsi?
Per esorcizzare la paura di bruciarsi non sto scrivendo e penso di star facendo la cosa migliore, perché il mondo non ha bisogno di un altro mio libro in questo momento, non penso sia il momento giusto per mettermi a produrre altro nonostante le pressioni e ovvie richieste che sono arrivate, la esorcizzo così, standomi fermo, scrivo solo in versi, quando riesco.
Si sente arrivato?
Non mi sento per niente arrivato, mi sento a metà tra l’estatico e il miracolato, che secondo me è molto più bello di sentirsi arrivati.
Bari è stata raccontata da molti autori, uno di questi è Nicola Lagioia, anche lui candidato e vincitore dello Strega. Sente il peso di questo o qualcuno le ha fatto notare che dovrà tenere il passo e essere all’altezza per raccontare bene la sua città?
Sono un attento lettore di tutti o quasi tutti gli scrittori che hanno contribuito a raccontare Bari, non è una quinta, un’ambientazione scontata. Sono grato a ognuno di loro – da un punto di vista cinematografico penso a Piva – indubbiamente sento di starmi avvicinando a questo genere di tradizione, ma al contempo è anche una tradizione relativamente giovane che va a vanti da 20-30 anni che si può muovere in varie direzioni. Quindi, umilmente, se la vogliamo pensare come una tradizione penso di farne parte, mi auguro di farne parte anche se racconto Bari in maniera diversa da come l’hanno fatto altri scrittori.
Che tipo di lettore si sente?
Sono un lettore quantitativamente inetto, sacrifico tantissimo la quantità dei libri che leggo per la qualità del modo di leggerli.
In che senso? Si spieghi meglio.
Ogni volta che leggo un libro sottolineo e ricopio passi interi nelle mie note apposite che tengo sul Cloud del telefono, in modo tale che io li possa avere sempre con me. Questo mi permette di leggere un libro due, tre volte, ma rallentare molto i tempi di fruizione.
Che tipo di scrittore è?
Non mi sento ancora uno scrittore o un tipo di scrittore, se devo pensarci e proprio dire qualcosa dico che mi sento più vicino alla letteratura che pensa alla lingua, allo stile. Ho degli autori di riferimento, spero poi di potermi dire scrittore in tal senso.
Ci fa qualche nome?
Da Petronio a Gadda, passando per Folengo e Rabelais.
Si sente più poeta, musicista o scrittore?
Non mi sento poeta, perché mi sembra piuttosto ridicolo dirsi poeti da soli anche se la poesia è stata la mia prima forma di espressione, il mio primo modo di stare al mondo insieme alla musica, se vogliamo prevalgono quei due aspetti, però la prosa sta combattendo bene, e si sta giocando una bella partita nella mia mente. Tengo tutto molto separato, specialmente la musica.
Facciamo conoscere l’Elvio persona e non scrittore. Come passa le sue giornate?
Mi dispiace dire che non ho più una quotidianità, perché prima ce l’avevo ben serrata, perché sto affrontando cambiamenti importanti tra cui traslochi. Mi considero una persona molto sedentaria, la mia giornata idealmente procede studiando, leggendo, suonando, raramente scrivendo e la giornata finisce quasi sempre con una birra all’esterno, se no impazzisco.
In quali momenti della giornata legge e cosa?
Leggo in ogni momento della giornata, perché leggo la maggior parte delle cose sul telefono e scrivo anche sul telefono, ci sono letture di fruizione istantanea che accumulo, anche post su Facebook che per me sono più interessanti di tanti articoli o libri e poi ho un tavolo di letture parallelo che è quello del cartaceo che non abbandono, che però procede molto più a rilento.
E cosa legge in particolare sui social, se non libri?
Leggo di tutto: articoli, tante recensioni, musica, post di geopolitica, invettiva, gossip perché sono una grande bizzoca (bigotta. Sorride, ndr.)
Legge di notte?
No, se leggo di notte non dormo.
Da grande cosa vuole fare?
In Poveri a noi c’è proprio questo dialogo tra un detenuto e il professore. Alla domanda del professore il detenuto risponde: «Io non voglio fare, sono già grande». Io non posso rispondere così. Candidamente, dico che voglio fare il musicista-professore, che è una cosa da vecchio da dire (sorride, ndr). Un misto fra il Jack Black di School of Rock e Abe Lucas di Irrational Man, sperando di non fare la stessa fine. Il mio sogno nel cassetto è veramente quello di continuare a fare concerti e insegnare all’università, tenere un corso magari di Letteratura comparata, non so quanto sarei bravo a fare ricerca, però vediamo. Se in mezzo ci scrivo qualche libro, sono felice.
Ha senso fare poesia ancora oggi? E che vuole dire «fare poesia»?
Oggi fare poesia purtroppo ha un’accezione inevitabilmente performativa, questa cosa a me mette profondamente tristezza: il fatto che la poesia sia diventata sempre più di nicchia e settoriale, autoreferenziale, e – questo è il grande paradosso della contemporaneità – al contempo di moda sui social formato reel. Quindi, da una parte vedi che il discorso tecnico sulla poesia diventa sempre chiuso, sempre meno a contatto con chi non la pratica e dall’altra parte vedi che diventa una puttanata performativa per riempire 30 secondi di reel o qualche circolo indipendente con il poetry slam, questo non vuol dire che non ci siano bravi poeti. La poesia in realtà è in ottimo stato e ha senso farla ancora.
Chi vince lo Strega e perché?
Sarò molto scontato: potrebbe vincerlo Andrea Bajani, perché mi sembra essere il favorito. Dai passi che ho letto mi sembra un libro adatto al clima contemporaneo soprattutto di questa dozzina incentrata su famiglia, follia, etc.
A cura di Antonella Dilorenzo