Il racconto della domenica: Un salto da Giampiero di David Bonanni

 Il racconto della domenica: Un salto da Giampiero di David Bonanni

Illustrazione di Angela Barbiera

Giampiero in genere queste cose non le fa. Anzi, Giampiero queste cose non le ha mai fatte. Devono averlo provocato, si sarà dovuto difendere, anche se io gli ho sempre detto che quando subisce un torto non deve reagire, ma limitarsi a riferirlo alla maestra. Giampiero è un bambino buono.

Quando mi hanno telefonato da scuola, avevo appena fatto accomodare il cliente. Non capita tutti i giorni di riuscire a parlare con l’amministratore delegato di una grande azienda, era un’occasione che aspettavo da tanto tempo. «Vai pure, ti sostituirà Giulia», ha detto il capo senza battere ciglio, come se Giulia potesse davvero sostituirmi, come se ne fosse capace.

Voglio almeno sperare che non mi abbiano fatto venire fin qui per una cosa da niente, queste maestre hanno sempre il vizio di esagerare. Fanno passare un semplice screzio tra bambini per l’inizio di una drammatica deriva e abusano di espressioni come “campanello d’allarme”, “disagio” o “grave turbamento”. Un buffetto dato a un compagno viene descritto, nelle loro narrazioni, come le prime avvisaglie di una futura carriera da criminale.

La scuola di mio figlio è squallida, non ci avevo fatto caso prima; è la nostra baby sitter che si occupa di accompagnare e poi riprendere Giampiero. Sembra uno di quei palazzoni delle case popolari costruiti nei quartieri periferici, uno di quelli dove non si sa come faccia a viverci la gente, solo che in questo, di palazzone, non ci sono i disegni osceni sopra i muri e la gente è fatta di bambini agitati e rumorosi.

L’ingresso è uno spazio ampio e scarsamente illuminato. Alle pareti hanno appeso disegni che sembrano tutti uguali, mentre attorno non sembra esserci altro, fatta eccezione per un banco e per una sedia dalla quale vedo già alzarsi un tipo trasandato che deve essere il bidello.

Mi viene incontro con uno sguardo fin troppo investigativo. Prima che formuli qualche domanda irritante, gli dico che ho un appuntamento con la maestra Pisani, ma lui mi dice che le maestre non danno appuntamenti nell’orario delle lezioni. Allora mi spiego, ascolta dubbioso, altro tempo perso.

«Bastava che dicesse che è la madre di Giampiero», dice infine scocciato.

Salgo le scale seguendo le indicazioni del bidello e intanto mi chiedo come faccia, in mezzo a così tanti bambini, a conoscere proprio mio figlio. La prima stanza sulla destra è l’unica che ha la porta aperta. C’è una donna in piedi, tiene le braccia conserte dietro la schiena e lo sguardo rivolto oltre i vetri di una finestra che dovrebbe dare sul cortile interno.

«La maestra Pisani?», chiedo.

Si volta lentamente, senza alcun segno di sorpresa, come se mi avesse sentita arrivare. Sono subito colta dalla sensazione di averla già vista, probabilmente in occasione della presentazione della scuola.

«Buongiorno, si accomodi», mi dice indicando la sedia e prendendo posto dall’altra parte della scrivania.

Avrà più o meno la mia età, ma è truccata poco e male e ha i capelli mortificati da una vistosa ricrescita.

«Come le accennavo al telefono, Giampiero questa mattina ha dato un pugno in faccia ad Ahmed, un suo compagno di classe. Glielo ha dato così forte che gli ha spaccato gli occhiali», dice cupa, fissandosi le mani che tiene unite sopra la scrivania.

«Ah, Ahmed. Ho detto mille volte a mio figlio di non reagire alle provocazioni. Le assicuro che avrà la punizione che si merita. In ogni caso dica pure alla famiglia di questo bambino che provvederò a rifondere le spese per una nuova montatura.»

«Mi perdoni signora, ma ho l’impressione che lei stia sottovalutando l’episodio. Probabilmente la colpa è anche nostra, avremmo dovuto farle presente già da tempo che Giampiero manifesta, durante il giorno, momenti di rabbia e di nervosismo che non hanno alcuna causa scatenante. Ahmed non ha provocato nessuno, era appena rientrato in classe dopo essere stato in bagno. Suo figlio si è alzato dal posto e l’ha colpito mentre il bambino stava tornando al suo banco.»

Ora mi parla guardandomi negli occhi e lo sguardo è già di severa condanna. Sembra voler sapere come la mettiamo adesso.

Non ho alcuna voglia di portare alle lunghe questo colloquio, anche perché in ufficio ho assicurato che sarei rientrata prima di pranzo, così le dico che sono mortificata e pronta a fare tutto quello che è nelle mie possibilità affinché simili episodi non si ripetano più.

Per non concedere una replica alla Pisani, visibilmente pronta ad affannarsi nel tentativo di sminuire le mie buone intenzioni, chiedo di poter parlare col bambino ma lei dice che è meglio farlo dopo, a casa, perciò mi alzo decisa e la saluto.

«Grazie maestra e scusi ancora per il disagio arrecato da mio figlio», dico uscendo dalla stanza.

Fuori dalla scuola ritrovo un cielo pulito e l’aria fresca di una primavera appena sbocciata. Tra poco le temperature cominceranno ad alzarsi, lo hanno detto anche al telegiornale. Devo dire ad Amita di fare il cambio di stagione.

* * *

È passata una settimana da quella spiacevole mattinata. Giampiero in questi giorni si è comportato sempre bene, da bravo bambino educato. Ho detto a Filippo di parlargli e lui gli ha fatto un bel discorso, ed è bastato questo. Giampiero ha capito.

Filippo non è suo padre, ma gli vuole bene come se lo fosse. È un avvocato cassazionista e passa poco tempo in casa ma quando c’è parla con lui, lo ascolta e spesso lo porta con sé al circolo del tennis. Qualche volta gli compra pure le figurine in edicola.

Il padre, invece, non l’ha chiamato neanche il giorno del suo compleanno. Del resto non ci si può aspettare molto da uno che nella vita è stato capace soltanto di dare calci a un pallone.

Lui è solo uno dei tanti sbagli che ho fatto quando ero ancora una ragazza. Aveva un bel sorriso e un fisico da lasciarti a bocca aperta. Mi faceva fare la bella vita e a me stava bene così, anche se sapevo che mi tradiva con tutte quelle puttane che gli ronzavano attorno. Poi però sono rimasta incinta e lui ha pensato bene di andare a giocare con una squadra spagnola.

Mi fanno ridere quelle che dicono che rifarebbero tutto e che non hanno rimpianti. Se lo ripetono per illudersi che sia vero e soffrire di meno. Io ho preferito non mentire a me stessa, anche se sono stata a un passo dal diventare un’alcolista.

Ma adesso mi sono lasciata tutto alle spalle. Sono una bella donna, ho un compagno che mi dà sicurezze, un lavoro che mi stimola. Non ho molte amiche, devo essere sincera, ma c’è Patrizia che torna spesso da Milano e ogni volta pranziamo insieme, ci raccontiamo tutto delle nostre vite e la sera ce ne andiamo ai concerti come fossimo ancora due ragazzine.

Poco fa mi ha chiamata per dirmi che era sul treno, voleva sapere se ci saremmo viste al solito posto. Le ho detto di contarci e che avrei subito prenotato un tavolo al nostro ristorante.

A dire il vero alle 14 c’è la recita a scuola, la baby-sitter dice che sarebbe opportuno che ci fossi anche io perché Giampiero un po’ se lo aspetta. Mettono in scena la rappresentazione di Pinocchio e lui farà la volpe, oppure il gatto, non ricordo bene.

Io Pinocchio non l’ho mai sopportato. Avrei preferito Alice nel paese delle meraviglie.

Però magari ci farò un salto.

David Bonanni

 

Blam

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