Il racconto della domenica: La festa di Maurizio Cianchella

 Il racconto della domenica: La festa di Maurizio Cianchella

Illustrazione di Valentina Cascio

Il suono del pallone contro la saracinesca del garage è il cupo rintocco d’una giornata che Bea non vede l’ora di scrollarsi di dosso.

«L’accompagno io, la mamma» le dice Andrea mentre abbottona la giacca davanti allo specchio. È sempre stato un po’ narciso, e ogni tanto per prenderlo in giro Bea tira fuori le foto dell’estate ’96. Due settimane di mare tra Calabria e Sicilia, l’ultima vacanza tutti e quattro assieme: papà, mamma, Bea appena diplomata e Andrea, 14 anni ma già più alto di lei, secco come la punta d’un trapano e con un imperdonabile mullet biondo in testa. Ora però nello specchio è riflesso un uomo dalle spalle larghe, il biondo dei capelli s’è fatto opaco, il taglio classico, quasi noioso. L’unico vezzo è un folto paio di basette che comunque non si spingono più a sud dell’attaccatura delle orecchie. Bea gli porge il vassoio con panini, pizzette e un grosso spicchio di torta mimosa. «Non darmi tutta ’sta roba!» protesta lui, ma Bea continua a tenerglielo sotto il naso finché si arrende. «Farò a metà con la mamma» dice, e per tutta risposta lei va a preparare un altro vassoio: «Non esiste. Guarda quanta roba! Non mi ci entra nel congelatore. Non possiamo mica buttarla».

Mamma Rosa intanto è uscita dal bagno. È la fotocopia stropicciata di Bea, eccezion fatta per un marsupio di pancetta che il vestito non riesce a nascondere e un naso dritto al quale i geni della figlia hanno preferito, chissà perché, quello più grande e curvo del padre. Rosa fa meno complimenti di Andrea: prende il vassoio che le spetta, con più panini e niente torta per via del diabete, e saluta Bea con un bacio sulla guancia. Aspetta di rimanere sola col figlio in quell’ascensore grande poco più di un frigorifero per sospirare appena e commentare, senza un filo di cattiveria: «Tua sorella è sempre stata troppo orgogliosa». Non una parola sul nipote, come se quanto detto bastasse a inquadrare pure lui.

Andrea non dice nulla. Gli viene in mente che l’orgoglio è come il colesterolo: ce n’è un tipo buono e uno cattivo. Bea ha quello buono, quello che non ti fa sentire migliore degli altri né ti piega agli interessi della tribù d’appartenenza. Quello che ti spinge a rifiutare un favore o una raccomandazione pure se non otterresti niente più di ciò che meriti. Però Andrea neanche ci prova a spiegarlo a sua madre, che per forza di cose è sempre stata una donna concreta, poco incline alle speculazioni. Le tiene aperto il portone e ripensa all’abbraccio di Luca dopo aver scartato il regalo, poi al suo silenzio avvilito quando era ormai chiaro che nessuno dei suoi amici si sarebbe presentato. Alla fine ha infilato le scarpe nuove ed è sgattaiolato di sotto a prendere a pallonate i garage.

Tre piani più in alto, il viso contro il vetro freddo della finestra, Bea guarda Luca calciare quella sfera di cuoio scorticato dai tanti rimbalzi sull’asfalto, corroso e grigio come il cielo. Un gioco privo d’intensità, sempre a testa bassa. Un tentativo abortito di pensare a qualcos’altro. Le Nike giallo fluorescente: l’unico tocco di colore.

Bea ha parlato con le mamme di quattro compagni di classe. Nessuna sapeva della festa e i figli giuravano di non saperne un accidente neanche loro. Alla quarta versione concordante è andata in camera di Luca e, nella tasca dello zaino di solito destinata alle merendine, ha trovato il mazzetto degli inviti intonso. Non ne aveva consegnato nessuno. Ha deciso di richiudere la tasca e lasciarli lì, di parlarne solo se sarà lui a tirare fuori l’argomento.

Tra poco farà buio. Luca prenderà il pallone sotto braccio e salirà a cena. Per allora Bea avrà tolto i festoni, sgonfiato i palloncini e messo tutti gli avanzi in frigo o in congelatore. Magari dopo cena giocheranno a Scarabeo: per un’oretta dimenticheranno infelicità, vergogna, sensi di colpa. I propri e quelli che hanno visto riflessi l’una negli occhi dell’altro.

Luca prende la mira e calcia. Quando il pallone finisce sotto il sette, per la prima volta si lascia andare a una breve esultanza che, lui non lo sa, rende felice anche Bea che lo spia da quel formicaio di cemento che da qualche mese è diventato casa loro. Le scarpe nuove si consumeranno in fretta, ma gli stanno a pennello.

Maurizio Cianchella

Blam

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