Un racconto e una vignetta #2: Brodo scuro

 Un racconto e una vignetta #2: Brodo scuro

Vignetta di Alessandro Lippolis, “Il vignettista amatoriale”

«La Romagna, che è a due passi dalla Toscana, avendo in tasca la Crusca, chiama il sugo di carne brodo scuro, forse dal colore che tira al marrone». Così l’Artusi, nella celeberrima Scienza in cucina, principia una ricetta, che io, in modo indegno ma forse non inutile, ché il mangiatore di cristiani è meno raro di quanto non si pensi, ho mutato al fin d’accontentarlo, intendo l’antropofago anzidetto, la cui pessima nomea non rende onore al sottile palato che possiede. Fama e fame, insomma, non fan rima tra di loro.

Dunque, mi si conceda d’interpolare il buon Artusi, e di firmar con egli il nuovo ritrovato, visto che, nel testo suo, di molto intervengo a gusto mio, che è poi il gusto, in senso gastronomico, di colui al quale il recipe è destinato. Chissà mai che il lettore, incuriosito, non tenti a sua volta d’allestire il piatto ch’esibisco, premunendosi, oltre che degli ingredienti acconci, del sommo e principale: lembi frollati di cadavere o, meglio ancora, tranci di persona viva, inteneriti in bagno caldo, mi raccomando, giorni tre. Il processo, lo si vede, è un po’ rognoso, e per la difficoltà di ricuperare l’occorrente, e per il tempo atto a convertire Tizio e Caio in mangerecci.

Ora, tale sugo bisognerebbe vederlo fare da un bravo cuoco, ma son rari, per non dir rarissimi, o inesistenti, quelli che s’azzarderebbero a mostrar le proprie doti applicate al rimedio di cui parlo, blasfemo se giudicato con gli occhi strabici dell’etica corrente, che qui condanna e là giustifica a capriccio d’un tribunale privo del concetto del diverso; ma spero vi riuscirà, se non squisito, discreto almeno, con le indicazioni susseguenti.

Coprite il fondo di una cazzaruola con fettine sottili di guancia e lingua dei nomati Tizio e Caio, e sopra le medesime trinciate una cipolla, una carota e una costola di sedano. Aggiungete qua e là dei riccioli di burro, e distendete sul preparato carne magra di fanciullo, a cubetti o a bracioline.

Qualunque polpa di giovine va bene; anzi, per meno spesa, poiché il mercato clandestino di resti umani è caro assai, si suol pigliare quella insanguinata del collo, se il bimbo è pingue il giusto, o altra più scadente, che i macellari di Firenze, avvezzi a depredare le bare al camposanto, chiamano parature. Aggiungete rimasugli, se ne avete, cotenne o altro, ché tutto serve, comprese le frattaglie di vegliardo, purché sia roba sana. Condite con sale e due chiodi di garofani e ponete la pentola sul foco.

Giuntovi al naso l’odore di cipolla abbrustolita, la carne rivoltate, e quando la vedrete rosolata, addirittura quasi nera, datele dell’acqua diaccia, quanta ne sta nel ramaiuolo. Per ultimo, versatevi del brodo d’ossa, non di bestia va da sé, e lasciatelo bollire adagio adagio per cinque ore continuate, onde restringere l’intingolo ed estrarre per intero dalla trippa la sostanza. Questo sugo, a lungo conservandosi, può servire a parecchi usi, e con esso farete degli ottimi pasticci. Le teste di fantolini, unite al lardo di una putta, daranno alla salsa un sapore prelibato, e dai residui ricaverete polpettine.

In ultimo, ricordate: dell’uomo, al pari del maiale, nulla vien gettato, e dacché il primo come il secondo ragiona e si comporta, averlo per pietanza non fa colpa, ma è cosa conseguente e naturale.

Luca G. Manenti

 

L’autore

Luca G. Manenti è nato nel 1974 in un paese della bassa padana, ma da tempo vive a Trieste. Quando non scrive di storia scrive racconti. Ne sono apparsi su Rivista Blam, Coye, Clean, Il Mondo o Niente, Salmuria, Smezziamo, La nuova carne, Neutopia. Altri arriveranno.

Il vignettista

Alessandro Lippolis (aka il.vignettista.amatoriale) studia scrittura alla Scuola Holden ed è un ragazzo nato assieme al nuovo millennio. Il millennio, con le sue innumerevoli disgrazie, non lascia spazio all’ottimismo. Il ragazzo, con i suoi disegni dolorosamente amatoriali, tenta comunque di far sorridere

 

Blam

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