Il racconto del mercoledì: La fine di tutte le cose di Noemi Gentilezza

Illustrazione di Giulia Laino
Chiudi ‘sti piedi era la frase che gli ripeteva più spesso – soprattutto nella cucina di due metri per due, in cui non calpestarsi l’un l’altro era impossibile –, si sforzava di essere gentile ma quella volta il mezzo tono in più e il timbro deciso della voce avevano tradito l’intenzione. Lei lo odiava quel suo modo di stare con i piedi così, larghi, mai incerti: erano le zavorre di una mongolfiera, il peso che toglieva ai suoi sogni la libertà di volare.
Lui – risoluto animale terrestre dai progetti ancorati al suolo – le gambe le aveva chiuse subito, ma aveva finito per ritrovarsi, poco più in là, di nuovo coi piedi alle dieci e dieci a insistere sul grès. Nel frattempo intorno alla lingua aveva preso a spremere la S, martellare la T, arrotare la R, gonfiare la O, intagliare la N, frantumare la Z, affilare la A. Conservava la voce per servirsene al momento opportuno mentre teneva il sacchetto dell’umido tra le mani.
Lei li sapeva leggere gli sbuffi sulla vena del collo di lui che si agitava sotto la superficie, ma cantava. In gran segreto aveva avviato la combustione nel pallone della mongolfiera.
«But I’m a creep, I’m a weirdo. What the hell am I doing here? I don’t belong here.»
Quelle di lui invece erano parole non cantate, note non suonate, eppure emettevano un suono distinto: il preludio dell’atto unico, anzi, del gran finale. Il pallone aerostatico era quasi gonfio, gli spicchi arcobaleno s’impettivano uno dopo l’altro.
Per l’ennesima volta il sacchetto dell’umido si era sfondato riversando a terra fondi di caffè e noccioli di pesche.
«Cazzo! Attento!»
«Io? La colpa è tua che non metti il doppio sacchetto!»
«Ah! Quindi ora è colpa mia?»
«Sì, tua, e di quella testa tra le nuvole…»
«Be’? Qual è il problema?»
«Sii realista!»
«Per finire come te?»
«E allora resta così, con i tuoi sogni monchi del cazzo! Io vado a buttare ‘sto schifo.»
Nella combustione le molecole avevano preso ad allontanarsi sempre di più, fino a aderire alle pareti della cucina due metri per due. La fiamma avvampava nel centro. Il pallone aveva raggiunto la capienza massima; la mongolfiera era in equilibrio.
Lui era rientrato sbattendo la porta, dal corridoio alla cucina solo il puzzo di immondizia.
Lei aveva già tolto le zavorre dal cesto, una dopo l’altra; era pronta a spiccare il volo.
Solo la sera prima lei gli aveva letto una poesia: parlava di una ragazza pronta a compiere un tuffo sospinta dal vento. Lui l’aveva interpretato come un gesto romantico ma ora quelle parole se le rigirava nella mente, stupito di come potessero disegnare in modo così feroce lo spazio vuoto tra loro, due elementi diversi.
Un attimo e le parole si erano già sublimate.
Restavano solo i fatti, e una mongolfiera all’orizzonte.
Restava a guardarla lui, della razza di chi rimane a terra.
Noemi Gentilezza