Terrario chiuso: un racconto di Giulia Manno

 Terrario chiuso: un racconto di Giulia Manno

La foglia di edera mi osserva a faccia in giù dal terrario. Ha i margini più scuri perché è intaccata dall’umidità, che le appesantisce i bordi facendola ricadere all’indietro. Una foglia con il sangue alla testa mi dico. Infilo la mano nella teca di vetro e la prendo tra le dita. Mi rimane in mano, inerte e appassita.

Al negozio mi avevano detto che questa pianta non aveva bisogno di nessuna manutenzione, sarebbe sopravvissuta a qualunque costo, a patto di godere di luce diffusa ed essere arieggiata una volta alla settimana. Acqua una volta l’anno. Non le serviva nulla se non un bicchierino per il giorno del suo compleanno, come a tutti del resto.

Era la pianta perfetta per uno come me, che non sapeva assumersi la responsabilità neanche del proprio respiro. Tu vieni a casa con me, le avevo detto. E adesso la guardo perdere le foglie. La ruoto per vederne ogni lato illuminato e analizzane il contenuto. Sta scomparendo, non vuole sopravvivere neanche lei. Cosa ho sbagliato?

Guardo il resto della casa e mi sembra tutto putrescente: i libri stantii che non mi sono mai deciso a leggere, le fotografie di un passato che non riesco a dimenticare, il pianoforte di mia madre che non ho mai imparato a suonare, l’umidità che disegna i suoi polmoni stanchi sui muri. La casa respira a fatica, e io attraverso di loro.
Fumo una sigaretta dietro l’altra sdraiato sul divano. La cenere mi svolazza dalla bocca e dalle mani e mi impreziosisce i capelli con i suoi coriandoli.
Resterò sdraiato per sempre su questo divano, mi dico, devo solo avere abbastanza sigarette per sopravvivere. Inspirando conto i giorni rimasti, espirando moltiplico per i pacchetti necessari. Fumo l’ultima e vado a comprare le stecche.
Ogni volta che mi alzo mi gira la testa e sono costretto ad appoggiarmela tra le mani e guardarmi un secondo i piedi.

La chiamo un attimo e poi esco. Compongo il numero e lascio squillare il telefono. Il suono si propaga per tutta la casa, sbatte sulle pareti, scivola leggero e poi atterra, rallentando sulle macchie umide si invischia e stenta a ripartire.

Rispondi.
Rispondi.
Rispondi.

«Pronto?» chiede incredula.
«…»
«Pronto?» insiste.
«La pianta sta morendo. Le foglie cadono. Sta marcendo».
«Ciao Pietro, finalmente, almeno so che sei vivo. Ogni tanto potresti anche farti sentire».
«Alice, non voglio sparire, solo non so cosa dire. Vuoi prenderti la pianta? Hai ancora le chiavi, puoi venire a prenderla quando non ci sono».
«No Pietro, tienila tu. Prova a cambiarle posto, mettila vicina alla finestra della cucina dove arriva più luce. Aprile il vetro un paio di ore per fare uscire la condensa. E non fumarle addosso tutto il giorno. Vedrai che si riprende».
«I muri sono pieni di muffa».
«Fai la stessa cosa anche con loro. Fagli vedere il sole, apri la porta. E metti la testa fuori anche tu».
«Ok».
«Ciao Pietro, richiamami se hai bisogno. Lo sai che ci sono lo stesso per te. Non importa il passato, sono qui. Apri le finestre».

Ok, dopo lo faccio, mi ripeto. Mi sdraio solo un momento a terra. Mi adagio sulla polvere che si attacca ai vestiti con le sue mani prensili. Si aggrappa letteralmente per scappare dal pavimento e da questa casa vuota e piena di crepe. Ho piantato le radici per non farla partire. Lei è restata per non farmi dispiacere.
Poi è caduta tutta la polvere.
Chiudo gli occhi. Quanto tempo è passato? Forse un anno.
Io e Ilaria avevamo una relazione da sei mesi ormai. Ci vedevamo di nascosto nei giorni settimanali con biglietti del treno dell’ultimo minuto, tanta confusione e paura, la mia, di essere scoperto.

E poi ci telefonavamo tutti i giorni. La sua voce faceva respirare le mie giornate e mi risuonava nella cassa toracica come un ritorno di fiamma. Eravamo rimasti connessi in un istante, non avevamo deciso di frequentarci e tradire i nostri rispettivi partner. Semplicemente stavamo già insieme ancora prima di deciderlo.
Avevo solo aperto la finestra e lei era entrata.

Si era inventata un calendario per prevedere i miei cambi d’umore. I giorni neri ricadevano sempre attorno al 27 del mese, dunque in quei periodi me li segnalava autorizzandomi a piangermi addosso. Me li cancellava così, solo chiamandoli per nome e indicandomeli come degli ostacoli sull’autostrada. Illuminati con quei led gialli intermittenti diventavano buffi e molto meno scuri.

Avevo deciso di lasciare la mia fidanzata e mi ero posizionato sulla rampa di lancio, pronto a partire. Avvicinavo l’accendino alla miccia, poi lo lasciavo spegnere e lo riaccendevo decine di volte per rimandare quel processo irreversibile.
Le pareti mi attiravano, insieme ai loro mille ricordi. Cercavo un modo per trattenerli senza tradirli. E ogni giorno smarginavano dai loro contorni, come fotografie troppo grandi che non stanno nelle cornici e devono essere tagliate. Continuavo a limare i bordi finché non scomparivano del tutto.

Concentrato su quelle immagini sfocate avevo perso di vista il mio calendario. Un giorno avevo chiamato Ilaria per dirle che ero pronto ma non aveva più risposto al telefono.
L’ho chiamata per lungo tempo, ogni 27 del mese, finché sono diventati bui anche tutti gli altri giorni.
A quel punto ho comprato la pianta e mi sono sdraiato, chiuso per sempre nel mio terrario.
Fumo l’ultima e vado a comprare le stecche.
Penso, guardando l’ultima foglia appesa.
Poi chiudo gli occhi e la lascio cadere.

 

Testo di Giulia Manno

Lungimirante sul futuro, Giulia decide di laurearsi in Storia all’Università di Genova. Ignorando il significato del titolo acquisito comincia a fare un sacco di storie, alcune di queste le racconta. Quest’anno ha pubblicato un racconto nella raccolta “Sjette”, Edizioni Tapirulan. Per il resto del tempo rimanda decisioni, mangia caramelle al cinema e legge, anche informazioni inutili. Pensa di prendersi presto un cane per affrontare con maggior coraggio il mondo.

Illustrazione di Valentina Lentini

Valentina Lentini (Roma, 1980) si è laureata in Fashion Design allo IED di Roma. Dopo una parentesi lavorativa nel campo della moda ha seguito la sua vocazione artistica frequentando i corsi di pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ha realizzato diverse copertine e illustrazioni per i libri del collettivo di scrittori indipendenti Sad Dog Project. Vive in un paesino sul mare vicino Roma con il suo bimbo e una cagnolina.

 

Blam

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1 Comment

  • Racconto che descrive perfettamente lo stato d’animo e i miei comportamenti dopo la separazione da quella che pensavo fosse la donna della mia vita. Il terrario sporco del mio cuore in mille pezzi. Complimenti Giulia!

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