Il lancio dell’aquila: un racconto di Danilo Di Prinzio

 Il lancio dell’aquila: un racconto di Danilo Di Prinzio

L’appuntamento era fissato all’ultimo piano del palazzo. Mereo fissava l’edificio. Aveva gli occhi pieni di stupore. Non avrebbe mai immaginato che tutto si sarebbe svoltò lì. Ma il volantino era chiaro ed era affisso in molti luoghi, quindi non c’era nulla di cui preoccuparsi. Ne aveva ancora una copia in tasca, la estrasse e la guardò come fosse la prima volta. Il cuore pulsava che quasi si poteva sentire da fuori.

“IL GRANDE LANCIO”, titolava a caratteri cubitali e un disegno d’ali d’uccello riempiva il resto. Quel che c’era scritto in piccolo nella parte bassa erano dettagli che reputò di poca importanza tanta era l’emozione. Non li lesse prima e non li lesse in quel momento. Sapeva cosa si faceva lì da ormai 15 anni. Ci si imbracava e con una carrucola si volava da una parte all’altra della piazza, in cielo. Dal campanile alla torre.

L’ingresso era ampio. Sulle prime provò un vago senso di smarrimento, non sapendo dove andare, a chi rivolgersi. Avanzò di qualche passo e l’attenzione si fissò sulla parete proprio lì in fondo. Emise un respiro di sollievo. Un altro di quei manifesti era affisso in bella mostra. Allora s’incamminò caracollando verso la parete.

Nel frattempo l’ingresso cominciava a popolarsi di gente, per la gran parte giovani, e tutti portavano a tracolla una borsa, come quelle utilizzate per contenere il computer o cose del genere. A cosa mai poteva servire? Si domandò. Forse per prendere appunti durante le istruzioni per il primo lancio o mandare in diretta il loro. O forse portavano con sé attrezzature particolari o vestiario indicato per quel tipo di operazione? Ecco questo sarebbe stato plausibile. E lui? Possibile tutta questa negligenza a riguardo? Proprio lui a cui si richiedeva nell’esercizio del mestiere che svolgeva di essere sempre attento ai particolari? Scosse la testa come per rimproverarsi. Il fatto era che quelle ali, quell’azzardo l’avevano gettato in uno stato d’eccitazione sulle prime ingovernabile. Ma oramai era lì e in qualche modo avrebbe rimediato.

Vide i nuovi arrivati avvicinarsi al manifesto e subito prendere la direzione verso l’ascensore, allora ebbe la certezza che si trovassero lì per la medesima ragione. Quando fu abbastanza vicino da poter leggere chiaramente le scritte sul manifesto restò improvvisamente paralizzato.

“Per celebrare i 3457 lanci dell’aquila fatti in questi ultimi 15 anni dal campanile alla torre, si istituisce il concorso letterario a tema Il grande lancio”. Eccetera, eccetera.

Gli occhi spalancati e increduli. Era uno scherzo, un assurdo scherzo organizzato alle sue spalle dai colleghi di lavoro, non trovava altre risposte. Gli avevano consigliato quel posto, ma sapevano che i lanci dell’aquila non venivano più fatti? Ma presto reputò la cosa impossibile.

Quando quel giorno espresse l’intenzione di lanciarsi, lesse negli sguardi solo stupore, perché non l’avrebbero mai creduto capace di compiere una simile impresa.

Loro, invece, erano di tutt’altra sostanza. Arturo nutriva una forte passione per le moto da corsa ed era sempre pronto a partecipare a una nuova gara; così Rodolfo, detto l’uomo della neve, perché l’inverno era sempre buttato su una pista da sci e non c’era verso di coinvolgerlo in altre attività. Poi c’era Mario, detto il pazzo, perché lo era davvero; capace di lanciarsi da un albero a un altro per il solo gusto folle di farlo e di dimostrare che sarebbe rimasto illeso. Quindi Luciano, l’alter ego di Rodolfo, che alla neve preferiva l’acqua. Le acque profonde in verità. Era capace di restare in apnea per un tempo fuori dal tempo, tanto che molti erano persino arrivati una volta a pensare che fosse morto. Fortunatamente non fu così. E alla fine lui.

Per Mereo la scrivania rappresentava l’unico campo di battaglia della sua vita, l’unica forzata passione. Mai una scelta, un rischio. Scendere a compromessi con le opportunità più semplici fu un retaggio del patrimonio caratteriale paterno, anche se spesso sentiva dentro una voglia così, semplicemente diversa; qualcosa simile a un impulso irresistibile, ma che presto riusciva a governare, rientrando nella consuetudine. Dunque aveva finito per vivere una vita indolente, non senza qualche volta soffrirne. Soprattutto quando diventava oggetto di scherno e derisione da parte dei colleghi.

Quel manifesto rappresentò, allora, l’opportunità per riscattarsi davanti a tutti. Ma adesso cosa avrebbero detto? Dopo che li aveva invitati a verificare di persona la forza delle sue parole e delle sue intenzioni che avrebbero pensato di lui? Sentiva rintronare nel cervello ancora i vari commenti, che era un pauroso, uno a cui certe cose non riguardavano e che sarebbe stato meglio lasciar perdere. E ancora:

«Mereo ma non hai niente altro a cui pensare?»
«Guarda che noi ti vogliamo bene lo stesso!»
«Il lancio dell’aquila, ma come ti vengono in mente certe idee!»
«Tu che non sei capace nemmeno di saltare da una sedia!»
«E no, proprio no, come potrebbe se ce l’ha appiccicata al sedere tutto il giorno?»

E una risata riempiva l’ufficio.
«C’è da dire, però, che è un uomo di parola.»
«Chissà, allora, che non lo faccia davvero.»

E giù ancora risate.
Ma quel giorno Mereo si alzò dalla sedia e con lo sguardo severo che mai avrebbero immaginato comparire su quel volto, disse:
«Vi aspetto a fine settimana tutti nella piazza…». Poi uscì dall’ufficio sbattendo la porta, lasciando tutti sbalorditi e senza parole.

Sentì crescere dentro quello stesso coraggio. Rilesse il manifesto. Passò di nuovo in rassegna tutta la descrizione, la figura delle ali, e infine la parte dove si diceva trattarsi di un concorso letterario. Quindi svuotato da ogni paura, prese la direzione degli altri candidati. Avranno quel che cercano, pensava mentre saliva. Anzi, qualcosa che non immagineranno mai.

Nel frattempo Arturo, Rodolfo, Mario e Luciano erano giunti nella piazza e parlavano tra loro ridendo e scherzando, quando all’improvviso un urlo richiamò la loro attenzione. Sgranarono gli occhi. Guardarono in alto. Si portarono le mani al viso.

Una sagoma volteggiava nel cielo, libera, come un uccello che per la prima volta scopre di poter volare. Sembrava sorridere. Durò un tempo infinito, giusto il tempo di arrivare a terra. Ma a terra non arrivò mai. Si perse tra le nuvole, nel cielo, in quello spazio tra lui e gli altri, laddove ogni cosa è davvero possibile.

 

Testo di Danilo Di Prinzio

Danilo Di Prinzio nasce a Guardiagrele il 2 Aprile del 1972. Frequenta la scuola primaria vicino casa e completa gli studi nella città di Chieti, provincia del paese natio. Coltiva oltre alla passione per la scrittura, il piacere della guida in pista di moto da corsa. Lavora in un’impresa di costruzioni, cercando, tra le macerie e lo splendore delle case ristrutturate, quale sia il senso della sua presenza nel mondo.

Illustrazione di Annarita Chiarappa

Nasce nella provincia di Bari, classe ‘86.  Frequenta dapprima il liceo artistico a Matera e poi l’Accademia di Belle Arti di Lecce conseguendo il titolo di “Conservazione e restauro dei beni culturali” con il massimo dei voti. Dopo aver lavorato diversi anni come restauratrice decide di seguire il suo istinto e i suoi sogni: inizia a seguire diversi corsi di illustrazione iscrivendosi, infine, al corso dell’entry level della scuola dell’editoria per l’infanzia ARS IN FABULA di Macerata. Di lì si apre un mondo incantato che di giorno in giorno cresce e non finisce mai.

 

Blam

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