Il racconto del mercoledì: Tirando calci al vento di Mattia Cecchini

 Il racconto del mercoledì: Tirando calci al vento di Mattia Cecchini

Illustrazione di Samanta Malavasi

Quello laggiù, accerchiato dalla folla che l’insulta e gli sputa addosso, con le mani legate e rattrappite, con la corda grezza attorno al collo, è mio padre. È vestito con degli stracci lerci che non gli ho mai visto addosso, come se qualcuno li avesse trovati a terra per caso, tra il fango e le pozzanghere, e mosso dal disgusto glieli avesse donati. Quello accanto a lui, con la testa rasata da avvoltoio, è il podestà. Le sue dita ad artiglio srotolano un foglio ingiallito, la condanna per mio padre, e il podestà gracchia sopra la folla: «Condanna a morte per impiccagione!»

 

Nell’ora nera di una notte, buia come se tutto il paese fosse chiuso dentro un grande sacco, mio padre girò e rigirò il suo coltellaccio da cacciatore nel cuore di mia madre. Lei dormiva, e non si svegliò neanche un secondo per accorgersi che moriva. Io invece mi svegliai solo per fare la pipì e, passando davanti la stanza dei miei genitori, vedendo la porta spalancata e il lume ancora acceso, mi affacciai. Mio padre, seduto per terra, piangeva come non l’avevo mai visto fare prima, e singhiozzando mi disse: «Mi dispiace, sono state le voci a dirmi di farlo. Mi hanno costretto, lo giuro».

 

Non capisco perché mio padre stia per essere giustiziato: ho solo quindici anni ma non è la prima volta che assisto a un’impiccagione. Però è la prima volta, qui in paese, che viene impiccato un uomo per aver ucciso la propria moglie. Il macellaio, per esempio, è in carcere ma ancora vivo. I contadini, si vocifera, lo fanno continuamente, e poi abbandonano il corpo nelle stalle dei maiali. Anche il podestà l’ha fatto, e in molti hanno giurato che abbia fatto bene a farlo, e il re voleva pure premiarlo con una medaglia, ma poi la regina lo convinse a donargli non solo la medaglia, ma anche una nuova reggia.

«Guarda! Guarda e impara cosa succede a chi sente le voci!» mi grugnisce dall’alto la direttrice dell’orfanotrofio, con la faccia smagrita fitta fitta di rughe, e indica mio padre.

 

Viene aperta la botola, si sente un tonfo e mio padre sprofonda, il collo gli diventa rosso e le vene si gonfiano come vermi. Scalcia l’aria, sembra che voglia correre via.

Mio papà ha tante colpe, aver ucciso mia madre è la più grave, ma quella che ha fatto paura a tutto il villaggio è che sente le voci. Addio papà, riposa sereno, tanto la violenza non ha mai fine finché si è in vita. Me l’hanno detto le voci.

Mattia Cecchini

 

Blam

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