Il racconto del mercoledì: Guerrieri stanchi di Mariarosaria Conte

 Il racconto del mercoledì: Guerrieri stanchi di Mariarosaria Conte

Illustrazione di Marcella Pera

«Quindi hai deciso di vendere la casa?» chiese lei.

Guglielmo restò in silenzio per un momento, poi rispose: «Mi dispiace, vorrei tanto tenerla. Ma non posso più».

Il bar era quasi vuoto. Così, la cameriera si avvicinò subito al tavolino per prendere le ordinazioni.

Lui chiese: «Cosa prendi, Gemma?».

«Vorrei una limonata ghiacciata.»

«Allora, due limonate ghiacciate, per favore» disse Guglielmo alla ragazza del bar.

La cameriera sembrava confusa. Appoggiò lo sguardo sull’uomo per qualche minuto. Ma non aggiunse nulla. Scrisse sul suo taccuino e andò verso il bancone.

Gemma aveva le dita intrecciate in grembo e le nocche erano bianche nei punti in cui la pelle era tesa. Lui guardava quel corpo esile e ricurvo su se stesso. A un tratto, lei alzò gli occhi verdi, ormai sbiaditi, e parlò, come se non avessero mai smesso di farlo: «C’è tutto di noi in quella casa! Abbiamo scelto ogni cosa insieme… è il posto dove avremmo dovuto invecchiare insieme».

Lui scuoteva la testa. Nel frattempo la ragazza del bar appoggiò le bottigliette di vetro delle limonate e i due bicchieri ghiacciati sul tavolo. Era indecisa su come muoversi, ma ancora una volta tacque.

«Dopo tre anni, sto cercando di andare avanti» finalmente riuscì a dire lui, con voce lenta.

«Vendere la casa ti aiuterà?» chiese lei.

«Non lo so. Ma devo provarci» fece una pausa «e anche tu avresti dovuto provarci.» Gemma lo guardò e tirò le labbra in una specie di sorriso: «Non c’era più amore in me. Senza di lui non avevo più nulla da dare».

Guglielmo batté leggermente i pugni sul tavolino e alzò un po’ il tono: «Io non contavo niente?». Poi rassegnato concluse: «Forse il mio amore per te non ha mai avuto alcun valore».

«Nostro figlio era così piccolo quando… Come puoi essere tanto egoista da parlare ancora del nostro amore?» chiese lei.

Lui, allora, guardò oltre la vetrata del bar. Era solo metà settembre, ma l’aria era molto fresca, le foglie erano cadute e l’erba cominciava a imbrunire. Il paesaggio era già spoglio. I passanti si muovevano veloci nelle loro vite. Guglielmo avrebbe voluto infilarsi nel bel mezzo di una di esse. Poi, trovò il coraggio di chiederle: «Perché lo hai fatto?».

Lei allungò faticosamente una mano dal suo ventre sui pugni di lui: «Perché non c’era più dolcezza in me. La rabbia mi aveva trasformata in una donna che non conoscevo più».

«Ti conoscevo io. Se solo avessi dato un po’ di tempo a noi, per…»

Gemma gli rivolse un lungo sguardo, forse premuroso: «Mi dispiace».

Lui non disse nulla. Restarono a guardarsi sciattamente: due guerrieri stanchi della battaglia.

Nel frattempo il bar si era affollato. Era quasi ora di uscita da scuola. Uno studente si avvicinò e chiese: «È libera questa sedia?».

Guglielmo annuì. E vide dissolversi la figura di Gemma.

Per un attimo ebbe sotto i polpastrelli il ricordo tattile della pelle gelida di lei. Diafana. Abbandonata nell’acqua vermiglia della vasca.

Rimase a guardare la sedia vuota andar via. Poi si alzò. Pagò. E uscì.

Mariarosaria Conte

 

Blam

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2 Comments

  • Bello. Penso che dialoghi così accadano molto spesso, anche se non ce ne rendiamo conto.

    • Grazie! Sì, ne sono pienamente convinta anche io.

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