I figli del diluvio di Lydia Millet: un romanzo vertiginoso che sfiora la distopia. Recensione

 I figli del diluvio di Lydia Millet: un romanzo vertiginoso che sfiora la distopia. Recensione

Selezionato tra i migliori libri del 2020 da diverse testate giornalistiche americane, finalista al National Book Award, I figli del diluvio di Lydia Millet, nuova uscita della casa editrice NNeditore, è un romanzo sorprendente destinato già a diventare un piccolo classico, Il Signore delle mosche per la nuova generazione.

I figli del diluvio di Lydia Millet: la trama del libro

Un gruppo di famiglie prende in affitto una vecchia villa sull’Oceano dove trascorrere l’intera estate. Per i genitori questo significa scandire le giornate tra aperitivi, cene, balli di gruppo e musica assordante, sotto lo sguardo critico dei figli, ragazzi e ragazze tra i sette e i diciassette anni, che ben presto decidono di ripudiare la genitorialità trasferendosi, inizialmente per gioco, nelle grandi case costruite sugli alberi attorno al lago. Tuttavia, l’arrivo di un uragano sconvolge i loro piani costringendoli a fuggire dalle loro case e dalla villa, allagata e resa ormai inagibile, per raggiungere una terra più lontana. La banda di ragazzini dovrà sopravvivere alle calamità con l’aiuto del proprio ingegno e della propria determinazione, grazie anche alle intuizioni del piccolo Jack che, ispirato da una Bibbia illustrata, insegnerà agli altri il valore della natura e del rispetto per l’ambiente.

“In quel periodo, come molti di noi, stavo venendo a patti con la fine del mondo. Il mondo che mi era familiare, perlomeno. Gli scienziati dicevano che stava per finire, i filosofi che stava per finire da sempre. Gli storici dicevano che c’erano già state epoche oscure. Tutto si sarebbe risolto comunque, perché alla fine, se eri paziente, l’illuminazione sarebbe arrivata, insieme a una vasta gamma di aggeggi Apple.”

Lo scontro generazione di fronte all’emergenza climatica

I figli del diluvio è una sorta di distopia ambientata in un futuro non così inverosimile: la Terra è rapidamente sconvolta dal surriscaldamento globale; gli uragani, prima sporadici, ora colpiscono a ripetizione il nordamerica, isolando le grandi città, distruggendo i grattacieli e provocando uno stato di crisi simile alla guerra civile. La fine del mondo si  avvicina inesorabilmente. Di fronte all’emergenza climatica gli adulti appaiono totalmente impreparati, inclini ad affogare le preoccupazioni nell’alcol e nelle droghe, svelando la loro incompetenza, la loro colpevole ingenuità. I giovani, invece, reagiscono con resilienza a ogni sacrificio imposto, mostrandosi appassionati, idealisti e più coerenti dei loro genitori. In un futuro apocalittico va in scena lo scontro generazionale per eccellenza, verso un incredibile ribaltamento dei ruoli. 

“Ma l’idea che quei rottami che vagavano per la grande casa fossero una visione di quello che ci aspettava…col cazzo. Avevano avuto delle ambizioni? O semplicemente anche solo un po’ di rispetto per se stessi? Ci facevano vergognare. Erano un monito.”

Romanzo allegorico di grande originalità

Ironico, cinico, a tratti doloroso ma mai angosciante, I figli del diluvio è un romanzo di grande originalità che conduce il lettore verso orizzonti distopici non immediatamente riconoscibili. La protagonista Eve, il cui nome è solo uno dei tanti richiami alla biblica creazione del mondo, racconta la vicenda con il tono sarcastico e sprezzante degli adolescenti che non si lasciano scalfire dalla prepotenza del mondo degli adulti. Nel romanzo si raccolgono, più o meno celati al lettore, una serie di riferimenti alla Bibbia (il diluvio, l’arca degli animali, il parto in una stalla riscaldata dagli asini, la città di Bethlem) che rendono il racconto una vera allegoria. Inizialmente, ancorato ai canoni sociali dei nostri tempi, il romanzo di Lydia Millet scivola poi progressivamente verso l’irrealtà, acquisendo elementi fiabeschi e sfocati in una corsa vertiginosa verso un finale tutto da immaginare. 

“Pensavo alle piattaforme luccicanti nello spazio, alle navicelle argentate che si muovevano tra miliardi di stelle. Pensavo all’edera che cresceva sui resti di palazzi e monumenti. Poi sento qualcosa pungermi e penso: Sarà mica una zecca che striscia su di me? Proprio adesso? Che mi scava nella pelle? E poi penso: Aspetta. Lascia perdere la zecca. Perché ci lamentiamo sempre? Abbiamo la fortuna di essere vivi.”

a cura di Silvia Ognibene
@silviabookolica

Silvia Ognibene

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