Cuore Allegro di Viola Lo Moro: la parola poetica come esercizio di comprensione del sé. Recensione

 Cuore Allegro di Viola Lo Moro: la parola poetica come esercizio di comprensione del sé.  Recensione

Viola Lo Moro è tante cose: socia della Libreria delle donne di Roma, Tuba; co-fondatrice nel 2017 del festival delle scrittrici InQuiete (che celebra l’edizione 2021 proprio in questi giorni); scrittrice e attivista femminista, ha scritto e scrive per Leggendaria, Letterate Magazine, Femministerie e molte altre riviste letterarie e femministe. Con Cuore Allegro, il potente esordio edito da GiulioPerrone Editore, Lo Moro è poetessa.

Cuore Allegro: una scrittura precisa ed evocatrice

La raccolta di poesie, pubblicata a ottobre 2020, nasce a partire da poche parole dirette e semplici, ma che arrivano sulla carta dopo un intenso e significativo processo di selezione: i componimenti creano immagini che hanno la potenza visiva di un racconto.

L’introduzione di Elvira Seminara già si concentra sull’importanza di una scelta accurata: “i verbi segnalano attrito, sforzo, moto e sforamento. Le parole sono arnesi, strumenti sul corpo, perché tutto – anima e verbo è materia, sostanza viva che fermenta, si apre e si decompone”.

Organizzata in quattro parti – ognuna di queste introdotta da una citazione significativa –, nella raccolta Lo Moro scandisce e quasi viviseziona parti diverse di se stessa, della sua esistenza. Dalle parole dell’Io lirico che si racconta in Cuore Allegro emergono dolore, rabbia, una frustrazione che a volte scorre nella quotidianità come sangue nelle vene e infiamma; altre volte è percepita come un fenomeno altro, come qualcosa da osservare tristemente e di cui prendere atto.

Tenera è la notte, il primo componimento della raccolta, fa entrare chi legge nei luoghi estremamente vividi della mente dell’autrice; a Lo Moro servono poche parole per costruire una scena. Nella prima poesia si parla di speranze deluse, dell’attesa di una notte che l’Io lirico ha sperato fino all’ultimo fosse tenera, dolce:

Tenera è la notte pensavo

ma non è vero.

Appuntita e uncinata è la notte

attraversa di spillo il costato

preleva il capello nello scarico stomaco

Niente di tutto questo: non c’è dolcezza nella notte, la tranquillità non arriva e anzi, con lei tornano il tormento e il dolore che vengono a galla risalendo in noi – in lei – dai meandri più nascosti e più bassi, quasi sul punto di essere digeriti e invece no. Tutto ciò che il silenzio e il buio della notte avrebbero dovuto nascondere, risale in realtà e soffoca, impedisce di andare avanti.

Tutta la prima parte della raccolta sembra dominata da un’atmosfera molto intima, casalinga. Sono poesie che non escono dal letto, parole che guidano chi legge tra le pieghe delle lenzuola creando un discorso di privata sofferenza e delusione, frustrazione, speranza disattesa e fiducia in momenti, luoghi che nella realtà dei fatti non la meritano. L’ Io lirico qui cerca qualcosa che non riesce a trovare.

Esterrefatta contemplo l’emergere di orche -guizzo d’amore per l’assassina-

balene

gigantesche tartarughe

un tirannosauro.

Il cuore allegro non so come si irrora

 Presente nella seconda parte della raccolta e posizionata quasi al centro fisico dell’oggetto libro, Cuore Allegro è la poesia che dà il titolo a tutto, ed è comprensibilmente una delle più potenti dell’intera raccolta: parla di una promessa difficile fatta al termine di una vita, di quelle che non è possibile rifiutare e nemmeno mantenere. All’Io lirico viene chiesto da un morente di mantenere il cuore allegro. Ma come fare, si chiede l’autrice, come tornare a una serenità in un mondo nel quale la persona manca? La sensazione è che chi parla non si sia prima di allora preoccupata di tenere il cuore allegro in maniera consapevole, mentre ora la situazione è cambiata completamente. Lo Moro decide di trovare il fuoco che brilla nel buio, il riflesso caldo del sole sulla superficie dell’acqua; decide di trovare il suo personale modo di tenere il cuore allegro e mantenere la promessa data.

sarebbe semplice mentire a un morente

ma non prima di udire il contraccolpo

del filo spezzato.

Tengo il cuore allegro.

L’orgasmo mi è rimasto sulle labbra

 La terza parte della raccolta sembra invece dominata da un Io lirico continuamente impegnato in una sorta di mediazione tra corpi e parole, l’allontanarsi e il riappacificarsi di due amanti intimamente consapevoli della distanza reciproca ma non ancora pronte a dirsi addio, non ancora pronte a dividersi:

Portando all’eccesso la complicanza del nostro amore

ho confuso te con me

noi con me

il non-noi con il non-me

In poesie come Compost, Il sonno delle amanti o ancora Straripare si alternano energie creatrici e distruttrici, nella continua ricerca di un equilibrio tra le due.

L’ultima parte della raccolta si presenta infine come la più interessante e allo stesso tempo più difficile da identificare e chiarire. I versi di Lo Moro descrivono un periodo – cronologico e sintattico –  complicato, una mente che percorre tutte le direzioni possibili; l’Io lirico prende le misure di ciò che è successo, di ciò che prova, degli eventi nella sua vita.

I petali sono sintomo tangibile

della sostanza crudele delle cose:

si sopravvive da sole

si fiorisce in due

dalla fioritura una deve soccombere

La quarta parte è confusione e bilancio, è consapevolezza dolorosa della propria nuova presenza nel mondo. Lo Moro  – e noi insieme a lei – fiorisce sì, ma non come ci si aspetta.

a cura di Alessia Cito

Alessia Cito

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