La macchina da scrivere: da Hemingway a Pasolini, storia e curiosità di un oggetto di culto della letteratura

 La macchina da scrivere: da Hemingway a Pasolini, storia e curiosità di un oggetto di culto della letteratura

L’abbiamo vista immortalata in moltissime fotografie assieme a scrittori e scrittrici di tutto il mondo: la macchina da scrivere è diventata nel tempo, e prima che venisse sostituita dal computer, un simbolo dell’attività letteraria e giornalistica. Sono iconiche le immagini che la ritraggono in compagnia di grandi personalità, da Ernest Hemingway a Dario Fo, da Indro Montanelli a Oriana Fallaci, da Philip Roth, passando per Sylvia Plath fino a George Orwell. Ma quando e come nasce la macchina da scrivere? Quali erano i modelli preferiti dagli scrittori? E, infine, si dice «macchina da scrivere» o «per scrivere»?

La macchina da scrivere: una storia che passa anche per l’Italia

Ufficialmente il primo a brevettarla fu William Austin Burt il 23 luglio del 1829 negli Stati Uniti. Si chiamava «typographer» ed è considerata la prima macchina da scrivere della Storia. A ben guardare, però, la sua invenzione fu il frutto di un concorso di inventori, molti dei quali italiani, che di volta in volta la perfezionarono. A Fivizzano nel 1802 Agostino Fantoni inventa un primo rudimentale apparecchio in grado di scrivere. Qualche decennio più tardi, Pietro Conti realizza il «tacheografo» (dal greco: «che scrive in modo celere»), precursore della macchina da scrivere, uno strumento che stampava i caratteri tramite punzoni. Più tardi Giuseppe Ravizza inventa e brevetta il «cembalo scrivano», di cui costruirà alcuni prototipi che porterà in diverse esposizioni anche internazionali, alla ricerca di un finanziatore che non troverà mai. Tra il 1864 e il 1869 a Parcines, nei pressi di Merano, Peter Mitterhofer, dopo diversi tentativi e la costruzione persino di due modelli in legno, ne realizza finalmente uno funzionante, il Wiener Modell 1869, poi perfezionato da uno successivo. Con entrambi i modelli, Mitterhofer si reca a Vienna presso la corte di Francesco Giuseppe I che però, su consiglio dei suoi esperti, non sarà in grado di cogliere la portata rivoluzionaria di questa invenzione. Saranno invece gli americani a farlo, grazie a Christopher Latham Sholes, inventore fra gli altri della tastiera qwerty (il cui nome, vale la pena dirlo, deriva dalla sequenza delle prime sei lettere da sinistra). La sua macchina, a differenza dei modelli italiani, ha una disposizione più funzionale dei tasti: i caratteri più usati non si toccano tra loro ed evitano che la tastiera si inceppi. L’ordine dei tasti di Sholes è ancora pressoché uguale a quello delle nostre attuali tastiere dei computer. La prima azienda a intuirne le potenzialità commerciali e a produrre i primi modelli è la Remington nel 1874, e a cui seguirono i modelli realizzati da altre aziende come la Underwood e la Olivetti.

La macchina da scrivere: i modelli amati da scrittori e scrittrici

«Un uomo può mentire al suo capo, a sua moglie, ai suoi figli, ma non può mentire alla macchina da scrivere. Prima o poi le verità vengono a galla»: diceva Leon Uris. A «confessarsi» al cospetto della macchina da scrivere sono stati in molti e ognuno aveva la sua preferita. Agatha Christie usava la Remington Portable No. 2, Lewis Carrol invece preferiva una Hammond, Ian Fleming ne aveva una placcata in oro della Royal Quite De Luxe. Come dimenticare poi Charles Bukowski e la sua Olympia SG o la Royal di Truman Capote? E poi c’era la leggendaria Lettera 22 della Olivetti, persino messa in mostra al MoMa di New York fra gli oggetti che hanno fatto la Storia del design italiano. Quando la Lettera 22 apparve sul mercato negli anni Cinquanta, in poco tempo divenne un successo commerciale e uno status symbol per molti intellettuali. La usavano personalità come Indro Montanelli, ma anche Oriana Fallaci, Pier Paolo Pasolini, Enzo Biagi.

Macchina da scrivere o macchina per scrivere, to be or not to be: la Crusca risponde

Macchina da scrivere o per scrivere? Secondo la Crusca il dubbio su quale forma usare deriva «dall’opinione che espressioni costruite con un sostantivo seguito da DA + INFINITO, come appunto macchina da scrivere, debbano interpretarsi in italiano come equivalenti a “macchina che deve essere scritta” e non a “macchina con cui si scrive” o “macchina che serve a scrivere”, apparentemente allo stesso modo in cui una “macchina da parcheggiare” è oggi, inequivocabilmente, una “macchina che deve essere parcheggiata” e non una “macchina che serve per parcheggiare”. In altri termini la preposizione DA seguita da INFINITO conferirebbe al verbo valore passivo e all’intera espressione un significato di “necessità” e non una configurazione di fine o scopo. Quest’ultima sarebbe invece correttamente espressa dal costrutto formato con PER + INFINITO. Da qui l’idea che accettare l’uso di macchina da scrivere in luogo della “più corretta” alternativa macchina per scrivere sia una concessione all’illogicità della lingua parlata». Tuttavia, precisa la Crusca, «la preposizione da […] può essere usata per indicare lo scopo, la destinazione dell’oggetto di cui si parla, l’uso o la funzione a cui esso è adibito. Con una differenza: nell’italiano contemporaneo il costrutto DA + SOSTANTIVO con valore finale è molto più vitale del suo gemello DA +INFINITO: si contano, in effetti, molte espressioni come sala da ballo, scarpe da tennis, auto da corsa, […] ecc. e molte meno come, appunto, macchina da scrivere o da cucire», forme, quest’ultime, che sono «residui cristallizzati di un costrutto che era certo molto più produttivo in passato, ma ciò non toglie loro il diritto di stare e restare nel vocabolario dell’italiano». Da o per scrivere: entrambe le forme sono perciò corrette.

 

A cura di Valeria Zangaro

Valeria Zangaro

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