Blurb: la storia della fascetta (dei libri) più controversa dell’editoria

 Blurb: la storia della fascetta (dei libri) più controversa dell’editoria

«Dal best seller che ha venduto oltre un milione di copie», «Un evento editoriale mondiale», «Vincitore del premio…», «Un nuovo thriller geniale», «Un inno all’amore e alla vita», «Un thriller adrenalinico e sorprendente», «Un fenomeno da dodici anni sempre in vetta alle classifiche»: quante volte abbiamo letto queste frasi – esagerate, sensazionalistiche, enfatiche – sulla copertina di un libro? Blurb, strillo, fascetta: sono tutti i nomi per indicare quella striscia di carta, spesso colorata, che avvolge il libro e contiene cifre di vendita, o la partecipazione a premi importanti, o elogi sopra le righe di autrici o autori famosi o di personalità note. Il blurb ha perciò una funzione persuasiva e pubblicitaria: dovrebbe invogliare all’acquisto del libro. E voi in quali altri blurb vi siete imbattuti?

Quando nasce il blurb e perché si chiama così?

Il blurb è nato probabilmente negli Stati Uniti e, secondo la Npr, la radio pubblica statunitense, il primo a usarlo è stato Walt Whitman nel 1856. L’anno precedente Whitman, che allora era ancora sconosciuto, manda il suo Foglie d’erba, raccolta poetica che di lì a poco sarebbe diventata il successo che tutti conosciamo, al famoso filosofo e scrittore Ralph Waldo Emerson. Dopo la lettura, Emerson scrive una lettera di elogi a Whitman, lettera che verrà poi pubblicata sul «New York Tribune». Alla ristampa nel 1856 Whitman e il suo editore decidono di inserire una frase tratta dalla lettera di Emerson sul dorso del libro. La frase era: «Ti vedo all’inizio di una grande carriera».

Il termine «blurb» per indicare la pubblicazione di giudizi favorevoli sulle copertine dei libri è coniata soltanto nel 1906 dall’umorista americano Gelet Burgess che sulla copertina del suo Are you a bromide? fa stampare la fotografia di una ragazza con la mano vicino alla bocca intenta a strillare; ai lati una didascalia recita: «Miss Belinda Blurb in the act of blurbing».

La cattiva reputazione dei blurb

«Naturalmente penso che gli strilli siano diventati un cumulo di fesserie, ma questo forse è il punto di vista dello scrittore, e il lettore qualunque non capisce gli scambi di favori che spesso ci stanno sotto»: è questo che F. Scott Fitzgerald scriveva al suo editor Max Perkins nell’ottobre del 1933, poco prima di pubblicare Il grande Gatsby. Già allora il blurb aveva una cattiva reputazione. «Lo scetticismo dei lettori nei confronti dei blurb è anche dovuto ai sospetti sull’onestà – o meglio, la scarsa onestà – di questi giudizi. Non è certo un segreto che le case editrici spesso commissionino espressamente dei blurb nel tentativo di aumentare le vendite, facendosi restituire qualche favore e blandendo gli scrittori di alto profilo nella speranza di ottenere lodi sperticate del libro in uscita»: afferma Lucas Thompson in un saggio uscito per la prima volta nel 2015 sulla «Los Angeles Review of Books» e tradotto da Martina Testa qui.

La polemica sui «blurb travisati»

«Esagerazione» è forse l’aspetto che più caratterizza i blurb. Ed è dall’esagerazione, appunto, che la polemica di quest’estate è partita e ha coinvolto diversi giornalisti, tra cui James Marriott del «Times», Thomas-Corr della «New Statesman» e Johann Thomas-Corr del «Sunday Time», che si sono lamentati per l’uso improprio da parte della Penguin Random House delle proprie recensioni alla nuova edizione di Beyond Order: 12 More Rules for Life di Jordan B. Peterson, psicologo canadese. Infatti, nonostante le recensioni non fossero state positive, l’editore ha estrapolato frasi fuori contesto, che invece sembravano elogiare il libro, e le ha usate per il blurb. A iniziare dalla Society of Authors (SoA), molti hanno chiesto una regolamentazione e una maggiore trasparenza nell’uso dei blurb. Anche perché, per riprendere le parole di Lucas Thompson, «c’è un limite al numero di nuovi romanzi che si possono definire “straordinariamente avvincenti” o “incredibilmente originali” prima che queste espressioni comincino a perdere qualunque significato».

 

A cura di Valeria Zangaro

Valeria Zangaro

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