Tagli: un racconto di Alice Scuderi

 Tagli: un racconto di Alice Scuderi

Illustrazione di Dario Licata

È successo così. Dopo centinaia di cadute in cui è rimasto illeso, lo schermo si è crepato. Una spaccatura che corre dalla pupilla della fotocamera al labbro dell’auricolare. Una linea di faglia da cui emergono immagini ormai tagliate, vite e cose spaccate per la frazione di secondo in cui il dito le lascerà scorrere via.

C’è vento, un vento cattivo che viene dal mare. Ha aperto uno squarcio nella tenda del balcone; il padre come al solito non ha pensato di chiuderla, tanto non succede mai niente. Nessuno sente i rantoli dei montanti, il languire del telo sfrangiato sotto i colpi del ponente. Nessuno interviene mai. Lo squarcio ha lasciato il tessuto molle e inerme e il vento lo attraversa senza pietà, lasciando intravedere il volto atterrito della madre dietro al vetro.

Giulia riguarda lo schermo: la crepa sembra pulsare nella luce smorta del pomeriggio. La sfiora col dito, percorrendone piano i bordi frastagliati. Si lascia scappare un gemito: una scheggia di vetro le è entrata nell’indice. Dal taglio esce un’unica goccia di sangue, tonda, perfetta.

Giulia si sente bene, come non le capitava da quei giorni pieni di cicatrici segrete nell’ombra del bagno, quello della taverna, che i suoi non usano mai.

Che hai Giulia? Niente ma’, niente.

Nessuno sente i rantoli, nessuno interviene mai.

Anche in clinica il vento cattivo del mare aveva ferito le tende della veranda, ma quei tagli allora non sembravano più tanto belli. Così le avevano fatto credere che fossero brutti, sbagliati, che non fossero importanti. E Giulia ci aveva creduto.

Ma quando era uscita tutto era stato troppo integro: sua madre che fingeva di ascoltarla mentre postava su Instagram; suo padre che la portava a giocare a padel «perché il movimento fa bene», ma poi era con Anna, la sua compagna di partite, che giocava davvero. Giulia finiva a bordo campo, le dita conficcate nella rete e la speranza fortissima di essere almeno colpita dalla pallina.

A casa non poteva tagliare, non poteva usare forbici, e i rasoi, per carità, erano banditi.

Prenotava di nascosto sedute di manicure e pedicure dall’estetista: le forbicine, così vicine alla sua carne fragile, le davano una beatitudine tossica a cui sempre meno riusciva a rinunciare.

Il telefono le vibra nella mano: la notifica dell’ennesimo insulto goliardico sulla chat della scuola illumina lo schermo. La crepa, quel meraviglioso taglio di cristallo, riesce persino a spaccare le parole, lasciandone solo frammenti senza senso.

Giulia alza gli occhi e una smorfia simile a un sorriso le incrina il volto.

L’insegna del negozio di riparazione cellulari è stata crepata dal vento.

No, non lo avrebbe riparato mai più.

 

Alice Scuderi

Blam

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