Sofia Pirandello: intervista all’autrice di Bestie, tra Sud, scrittura e antenati importanti

 Sofia Pirandello: intervista all’autrice di Bestie, tra Sud, scrittura e antenati importanti

Bestie (Round Robin editrice, 2022) è il secondo romanzo di Sofia Pirandello, classe 1993, dottoranda in Filosofia, fondatrice e membro della rivista di arte contemporanea «Tbd Ultramagazine». Le parole di Lucia, protagonista e voce narrante del romanzo, ci restituiscono un racconto evocativo e violento in cui si legge tutta la potenza della scrittura dell’autrice. Rivista Blam! l’ha intervistata per voi: abbiamo parlato di Sud, scrittura, donne, poteri magici e antenati importanti. Buona lettura!

 

Bestie è stato tra le proposte presentate al premio Strega 2023 ed è candidato al premio Comisso Under35: cosa rappresenta per te tutto ciò?

Sono felice. Banale, ma vero. Indipendentemente dall’esito, il fatto che Bestie possa navigare a testa alta in contesti simili è per me l’obiettivo fondamentale. Oltretutto, mi sta dando l’occasione di conoscere altre persone che scrivono e non avrei potuto chiedere di meglio.

Cosa significa per te appartenere a un luogo? E qual è il luogo a cui sei maggiormente legata?

Ci sono diversi posti che mi sono rimasti attaccati. Roma su tutti, ma anche New York e, ovviamente, la Sicilia tutta. Mi piacciono quei posti che mi garantiscono gli incontri fortuiti e i tempi dilatati. Appartenere a un luogo per me ha sempre a che fare con le persone con cui l’ho vissuto.

Cos’è il Sud per Sofia Pirandello?

Per me è connesso alla famiglia, soprattutto a quella materna. Per questo motivo per me il Sud è anzitutto la Sicilia. Ovviamente mi riferisco a delle province specifiche e dei luoghi in cui, almeno per un po’, ho potuto vivere. In effetti, il Sud in generale, come tutte le semplificazioni, è un luogo che non esiste e che è spesso evocato, non solo in Italia, a discredito delle persone che ci vivono. Questo è uno dei problemi che Bestie cerca di affrontare, per proporre una visione alternativa a quella di un Sud disperato.

Come vivi il fatto di essere al contempo la pronipote di Pirandello e una scrittrice tu stessa?

Devo dire che per me è solo una coincidenza, una curiosità di cui mi ricordo se qualcuno me lo fa notare. Ho cominciato a scrivere quando ancora non sapevo chi fosse. Per me Pirandello è un grande autore fra molti altri e molte altre, ma quando penso a questo nome penso piuttosto a mio padre, alle mie sorelle e a mio fratello, ai miei cugini, agli zii e così via (famiglia numerosa). È talmente tanto tempo che nella mia famiglia si fanno lavori completamente diversi dalla scrittura che questa connessione è, se si guarda alla realtà, del tutto fortuita. Credo che sia molto più probabile che la mia passione per i libri e per la scrittura sia legata a mia madre, che quando ero piccola mi raccontava o mi leggeva delle storie e mi invogliava a farlo a mia volta.

Il tema del suicidio è abbastanza presente in Bestie: è, infatti, il marchio che si porta addosso la famiglia della protagonista. Tuttavia, Lucia decide di rifiutare tale scelta, soprattutto di opporsi al «guasto» che ne consegue, inteso come marciume e spreco. C’è qualche collegamento tra questa decisione e l’atto di violenza e liberazione che avviene quasi alla fine?

Il suicidio è sempre stato, per varie ragioni, un tema per me importante. Volevo che la vicenda di Lucia fosse piuttosto legata a una volontà di autoaffermazione, alla rivendicazione del proprio spazio. Contrariamente a quanto avveniva al protagonista del mio primo libro, l’ipotesi di togliersi di mezzo neppure la sfiora. Di fronte alla sofferenza profonda, spesso inflitta da altri, Lucia sceglie altre strade.

Le donne in Bestie sono depositarie di un antico sapere, custodito in formule magiche e sogni da decifrare, e precluso agli uomini. Di cosa si tratta?

Credo che questa idea sia per alcuni personaggi del libro un conforto e un modo per proteggersi, oltre che una conseguenza del rifiuto di quanti non le accettano come donne canoniche e perciò le considerano pericolose e maledette. È una finzione che si raccontano anche per rivendicare uno spazio di potere che intimorisca chi tenta di costringerle entro confini troppo stretti. Non credo che ci sia un’essenza magica del femminile da cui gli uomini sono esclusi, ma penso che per alcune delle donne di Bestie questo possa essere un sogno vissuto a occhi aperti per trovare il coraggio e la giustificazione di usare la forza, persino la violenza, per difendersi e per affermarsi. E per costruire una relazione con le altre, sulla base di un sapere che si tramanda di madre in figlia, tra amiche.

«La scuola serviva a imparare il minimo indispensabile per aiutare papà, non certo a straparlare per riferire i fatti nostri, o peggio, per dire cose che non si devono pensare» rammenta la narratrice. Credi che la scrittura delle donne, almeno in passato, fosse un atto funzionale e non creativo?

Non credo che esista una scrittura specifica delle donne, che per questo abbia un carattere diverso da altre scritture. In questo passaggio pensavo piuttosto al sospetto che si nutre a volte nei confronti della libera espressione di una persona, indipendentemente dal genere, soprattutto quando, durante l’infanzia, dimostra di avere pensieri ai quali da adulti non siamo abituati, che ci possono spaventare e che forzano delle norme che abbiamo fatte nostre.

Alla luce di questo, cosa vuol dire per una donna scrivere oggi? Ci sono ancora delle difficoltà e dei pregiudizi nei confronti delle scrittrici?

Quando ero a scuola di rado mi venivano proposte delle scrittrici donne. Credo che ancora oggi ci sia una certa resistenza a inserirle nel canone della Letteratura, italiana e mondiale. Di certo, sulla scena ipercontemporanea le cose sono di molto migliorate. L’impressione è che, comunque per venderne l’opera spesso si cerchi un po’ di romanzarne il personaggio, con dettagli sulla vita privata (matrimonio e figli su tutti). Ma sono comunque molto felice del fatto che in libreria si trovino ormai davvero molti titoli firmati da donne e da persone che non si riconoscono nelle soluzioni offerte dal binarismo di genere.

Cosa significa per te scrivere? Come descriveresti la tua scrittura?

La propensione alla scrittura mi è sempre venuta naturale, anche se poi spesso è una sofferenza. Scrivere per me è necessario eppure è molto faticoso, alle volte anche snervante. Mi capita di riscrivere gli stessi passaggi più volte e credo che quello che alla fine ne risulta è una scrittura molto essenziale e abbastanza sintetica.

E come avviene il processo che porta dall’idea alla realizzazione di un’opera?

È come una lunghissima digestione (e indigestione). Mi capita di pensare a una storia in maniera ossessiva, anche per mesi e anche senza scrivere niente. Poi di solito butto giù degli appunti su carta. Quando comincio a scrivere pezzi consistenti, ricopio al computer e continuo da lì.

Chi sono i tuoi scrittori e le tue scrittrici di riferimento?

Se penso allo specifico di Bestie, direi sicuramente Clarice Lispector, Gesualdo Bufalino, Goliarda Sapienza. Più in generale, Ágota Kristóf, Elsa Morante, Magda Szabó, Heinrich Böll, André Gide, ma di sicuro ne sto dimenticando molte e molti.

In Bestie ricorrono molte parole in lingua siciliana che spesso perdono di intensità e pregnanza nella traduzione in italiano. Per chiudere questa intervista, ci lasceresti in dono un termine di questa lingua meravigliosa a cui sei particolarmente legata?

Per me il siciliano è inscindibilmente legato ai miei nonni materni, che sono di Catania e che mi hanno sempre parlato inserendo qua e là qualche parola in dialetto. Mi ricordo mio nonno Salvatore che dopo pranzo dichiarava la sua stanchezza urlando «m’addummiscii!». Anche in Bestie il dialetto è molto presente. Mi piace che febbre si dica frevi e ho una passione per tutti quei termini come incudduriatu (intricato), che già solo per come suonano riescono a rendere perfettamente l’idea del loro significato.

 

A cura di Vincenza Lucà

Blam

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