Goliarda Sapienza non è solo “L’arte della gioia”. Tutto ciò che c’è da sapere sulla scrittrice, raccontato in 5 parole

 Goliarda Sapienza non è solo “L’arte della gioia”. Tutto ciò che c’è da sapere sulla scrittrice, raccontato in 5 parole

Cento anni fa, il 10 maggio del 1924, nasceva a Catania la scrittrice Goliarda Sapienza, un’artista e intellettuale che per lungo tempo è rimasta nell’ombra delle sue stesse parole. Ogni esperienza che fece nella sua vita fu riportata su carta – scriveva sempre a mano, di solito al mattino e con le luci giuste – così da regalarci uno spaccato profondissimo e puntuale della sua intensa esistenza. La ricordiamo oggi ripercorrendo la sua vita e citando il suo capolavoro L’arte della gioia.

Goliarda Sapienza: chi era la scrittrice in 5 parole 

Civita

Goliarda Sapienza nasce nel quartiere Civita di Catania dal matrimonio fra Maria Giudice e Giuseppe Sapienza. I genitori, entrambi ferventi socialisti, si ritrovarono in seconde nozze già con diversi figli ciascuno: vivevano tutti sparsi tra la piccola casa Sapienza e in altre case di amici e parenti, perché per loro – per Maria, soprattutto – la famiglia è un’istituzione che si allarga sempre di più senza restringersi mai. Nelle stradine del quartiere, Goliarda impara il mestiere della vita, ma anche molti altri; per un periodo è persino aiutante del grande maestro puparo Nino Insanguine, che le trasmette l’amore per le parole e quello folgorante per il teatro. È tra i vicoli della sua città che Goliarda ha la sua prima esperienza sessuale e amorosa con la fedele Nica: sarà uno shock per lei scoprire che la sua compagna d’infanzia non è solo amica, ma anche sorella, figlia illegittima di Giuseppe.

Madre 

Maria Giudice è una figura fondamentale nella vita di Goliarda Sapienza. Pavese d’origine, giornalista, attivista e figura di spicco del Partito socialista italiano, trasmise ai figli l’amore per la libertà, fisica e intellettuale, lei che non s’era mai sposata perché i legami dovevano essere tutti liberi e naturali. A Goliarda, nata e cresciuta nel ventennio fascista, non fu permesso neanche di frequentare la scuola: il rischio che venisse influenzata dal pensiero del regime era troppo alto, meglio dunque farla studiare in casa, dove non vi erano vincoli, né regole sociali da rispettare.

Nel 1941 Maria lasciò la Sicilia per trasferirsi a Roma, per permettere a Goliarda di frequentare l’Accademia nazionale d’arte drammatica, e insieme alla figlia fu attiva nella Resistenza. La sua morte nel 1953 getta Goliarda in una depressione che la porta vicina al suicidio: nelle memorie Il filo di mezzogiorno del 1969 ripercorre il terribile momento del ricovero in clinica e le successive sedute di elettroshock a cui fu sottoposta.

Povertà

Nella capitale, Goliarda si affaccia al mondo del cinema, lavorando con artisti come Alessandro Blasetti, Luchino Visconti e Citto Maselli: con quest’ultimo inizia una relazione durata quasi un ventennio che fu totale, simbiotica, ma sempre aperta alla libertà; insegnamenti, questi, che scorrevano nelle sue vene dall’origine dei tempi. Fu proprio Maselli, dopo la scomparsa di Maria Giudice, a spingere Goliarda a scrivere; lei, come dichiarò più volte in seguito, non ne voleva sapere niente: era notoriamente risaputo che gli scrittori facevano la fame, e lei di continuare a essere povera era proprio stufa. Ma poi l’urgenza, le dita che pizzicavano, la gola che si asciugava, il bisogno di riportare i pensieri su carta – enormi pacchi di fogli e penne biro – e così fu l’inizio del suo primo romanzo Lettera aperta (1967).

Rebibbia

La povertà, in effetti, fece fare a Goliarda delle cose che molti – abituati a seguire le norme sociali – non si sognerebbero neanche: nel 1980 fu denunciata da una sua amica per averle rubato dei gioielli, che rivendette poi al banco dei pegni usando la carta d’identità di sua cognata, che a suo dire le somigliava. Quella, come affermò in seguito Goliarda, altro non era in realtà che una prova di amicizia: se l’amica l’avesse denunciata davvero, allora non era un’amica vera, quindi tanto meglio essersene liberati. Fu portata a Rebibbia, dove rimase per cinque giorni: si dispiacque, in seguito, di non essere rimasta più a lungo. Ma quelle centoventi ore trascorse in carcere furono sufficienti perché partorisse L’università di Rebibbia, un resoconto magmatico della sua permanenza in un luogo che per lei ha rappresentato la realtà, nuda e cruda, della vita e delle sue molteplici sfaccettature e contraddizioni.

Modesta

L’arte della gioia, il romanzo di Goliarda Sapienza portato sul grande schermo da Valeria Golino, fu iniziato nel 1967 e concluso nel 1976. Quasi dieci anni di dedizione assoluta, scrittura e riscrittura di un’opera che riuscì a vedere la luce solo nel 1998, pubblicato a spese del secondo marito Angelo Pellegrino. Le maggiori case editrici, nel corso degli anni quando Goliarda era ancora viva, lo avevano rifiutato per i motivi più disparati: troppo tradizionale, o troppo poco, immorale, sperimentale, non adatto al pubblico italiano. Così tanto che, come per altre opere nostrane, il riconoscimento arriva solo dopo il successo della traduzione in tedesco, e di quella francese: finalmente nel 2008 Einaudi lo pubblica. 

Così conosciamo Modesta, che è tutto ed è niente: è uomo ed è donna, è assassina, ma anche vittima, è una ragazzina e poi una donna che vuole solo una cosa, più di tutte: essere felice e godere della vita fino in fondo. Non vi sono limitazioni, né regole che possano fermarla. Modesta si racconta a noi lettori parlando di sé in prima persona, e poi in terza, cambia continuamente registro – scritture e riscritture di Goliarda con la sua fedele penna biro – e si fa vividissima, vicina, reale. Un animale di carta e inchiostro che Goliarda coccola per lunghissimi anni e che si prende il suo spazio nel mondo quando lei non c’è più: ci lascia nel 1996, angosciata per il destino della sua nemesi letteraria. Chissà cosa avrebbe detto, oggi, a saperla così libera nel mondo come aveva sempre voluto essere lei.

 

Goliarda Sapienza: i primi libri da leggere per conoscere questa scrittrice

  • L’arte della gioia, Einaudi, 2008
  • Lettera aperta, Einaudi, 2017
  • Il filo di mezzogiorno, La nave di Teseo, 2019

 

A cura di Martina Renna

Blam

Articoli Correlati

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *