Il racconto della domenica: Scendi e fammi fare l’amore in acqua di Stefania Maruelli

 Il racconto della domenica: Scendi e fammi fare l’amore in acqua di Stefania Maruelli

Illustrazione di Vera Taccani

E così mi sono messa questo vestitino a quadretti blu con le balze, una cosa ridicola, e ho preso le chiavi della macchina. Non mi sono nemmeno infilata le scarpe, ho guidato così, scalza e ubriaca fino al villaggio. Mentre imboccavo le curve fantasticavo di finire in un fosso, quei desideri melodrammatici che ogni tanto mi prendono, ma la strada la sapevo a memoria, era la stessa da quarant’anni, e né il vino bevuto a cena, né il mirto dopo, mi avevano tolto abbastanza lucidità. E poi mica volevo morire davvero, volevo solo rivederlo e magari arrivare con qualche sbucciatura, qualche graffio, un labbro sanguinante. Gli sarebbe piaciuto?

Quando sono arrivata allo spiazzo che fa da parcheggio, non ci ho messo più di mezz’ora, ho rallentato, spento le luci, individuato la moto, era l’unica: la sua per forza. La macchina l’ho lasciata poco distante, prima di scendere ho preso il telefono, poi ho camminato a passi svelti fino alla moto, e sono rimasta a lungo a osservarla. Non so bene cosa volessi capire, era una come tante, tre bauli, una targa con dei numeri, una moto è una di quelle cose che non saprei giudicare, dire se è bella oppure brutta, davvero non ne ho idea. Era la sua, punto e basta. Mi sono chiesta però se avrei sopportato i lunghi viaggi con il casco, e tutta quella roba con cui bisognava coprirsi. La risposta era no. L’ho superata comunque, ho imboccato il vialetto che passa lungo lo stagno e conduce alla spiaggia: sarei arrivata alla casa passando da lì. Era quasi mezzanotte. La sera prima lui mi aveva detto che aveva fatto il bagno di mezzanotte, mi era parso un invito. Così sono andata direttamente verso la spiaggia, senza fermarmi sotto casa, ma era buio, e avevo paura che lui non fosse da solo, che fosse con lei. Quando sono arrivata in prossimità del bivio, che se vai a destra ti porta allo stagno e se vai a sinistra alla spiaggia, mi è sembrato di vedere un uomo della sua corporatura, alto uguale, secco uguale, stessi capelli arruffati, uscire proprio dal vialetto di casa sua, un asciugamano buttato sopra la spalla.

Però ripeto, avevo bevuto parecchio quella sera, e mi sentivo sola. Luca era già tornato a Milano. Quando è così non mi fido delle mie percezioni, capacissima di essermelo solo immaginato. Ho aspettato comunque che l’uomo scomparisse, poi ho preso anch’io il vialetto di sinistra, per fortuna era illuminato da piccoli lampioni, e così il buio e quello che stavo facendo mi facevano meno paura. Mentre camminavo non sentivo altro rumore se non i miei passi sulla ghiaia, non una voce, solo il frinire dei grilli che a quell’ora era strano. Se era da solo stava nuotando in silenzio, a bracciate leggere, a rana, avrei detto, o forse stava solo galleggiando a morto, braccia e gambe spalancate a stella; se invece era con lei stavano facendo l’amore in acqua, i primi tempi succede, si vuole fare tutto. Ma anche questo lo facevano in silenzio. Era un bene o era un male? Io nemmeno mi ricordo come si fa in acqua. Mentre arrivavo ci avevo anche pensato con una certa apprensione: come si fa? Oltre a questo, avevo paura che a casa si fossero accorti che mancava la macchina, avevo paura che Luca mi chiamasse proprio in quel momento per darmi la buonanotte, è specializzato nello sbagliare i tempi, avevo paura del mio essere lì, soprattutto. Di ciò che significava. Così, una volta arrivata, i piedi ormai sul bagnasciuga, non riuscendo a vedere niente a parte il mare rischiarato dalla luna – che era bellissimo, certo, ma non era quello il momento di fermarsi a guardarlo – sono tornata indietro, ho ripercorso il vialetto a ritroso e, in prossimità del loro terrazzo, mi sono nascosta tra i cespugli di rosmarino.

Chissà cosa avrebbe pensato qualcuno vedendomi, che aspettavo un amante: era l’unica cosa sensata da pensare. Del resto, si era mai vista una ladra con un vestitino a quadretti? Non credo, ma forse mi sbaglio. Mentre pensavo queste sciocchezze ho riconosciuto la sua voce, quel suo accento marcato del Nord, la sua cadenza dolce, e ho sollevato lo sguardo al terrazzo. Allora, come va? ha chiesto al ragazzo, che doveva essere il figlio, e alla ragazza, che doveva essere la compagna, ma sembrava avere la stessa età del figlio. L’ha chiesto scostando una sedia e sedendo a tavola con loro – che prima che lui arrivasse stavano zitti – e sembrava davvero appena tornato da un altro posto, forse quindi era stato in spiaggia e lo avevo mancato di poco. O forse erano solo mie fantasie, forse si era solo appena fatto una doccia, o chissà. Il ragazzo ha annuito come a dire che andava tutto bene, senza però dire parola, stava fumando, lei invece ha detto una frase che adesso non ricordo esattamente, ma aveva a che fare con qualcosa di pratico. Cosa avrebbero fatto il giorno dopo, una cosa del genere. Il tono era vagamente polemico. Lui ha buttato lì una proposta, e la cosa che mi ha paralizzata, mentre ero tra i cespugli, è che fosse di andare alla spiaggia dove la sera prima ci eravamo incontrati. L’acqua è bella, ha detto, trasparente. Chissà se mi stava pensando. Avevamo fatto due bagni, il primo lunghissimo, il secondo anche. La ragazza ha sbuffato. Non sono una da vacanze così, ha detto, non sono una da casa e spiaggia sotto casa, vorrei vedere altre cose, la moto cosa ce l’hai a fare? La voce, ora che aveva elaborato una frase più articolata, era proprio come la immaginavo: stridula, provinciale, lagnosa. Doveva essere brava a letto, altrimenti io una voce così non l’avrei sopportata. Comunque, nascosta nei cespugli, stavo lì ad ascoltare questa conversazione da poco, e nemmeno sapevo perché. Volevo solo fare l’amore con lui finché ero ubriaca, per questo ero andata alla spiaggia, insomma, avevo solo bevuto troppo e passato troppi giorni chiusa in casa a scrivere, tutto l’opposto di quello che la ragazza desiderava fare nella vita.

L’hai capito che non sono una fatta così? ho sentito che ribadiva, e io me la sono figurata a limare le unghie in un qualche centro estetico, jeans strappati e top corto, o a fissare appuntamenti per un amministratore delegato, pantaloni aderenti e décolleté, o in banca allo sportello, camicia di nylon. Lui ha risposto che non era scemo, l’aveva capito che quello non era il suo genere di vacanza, e che quella era solo la prima proposta, un’ipotesi, del resto era un anno particolare, no? Intanto il ragazzo aveva spento la sigaretta e ne aveva già accesa un’altra. Cosa diamine ci facevo ancora lì?

Davvero volevo ascoltare i dialoghi di quei tre? Davvero volevo fare l’amore con un uomo che parlava con quella ragazza? Che addirittura viveva con quella ragazza? Se avesse dovuto succedere, sarebbe successo la sera prima, no? Prima, dopo o durante i due bagni. Ogni tanto controllavo il telefono, e per un attimo ho pensato di mandargli un messaggio: Scendi, ecco cosa gli avrei scritto, ecco cosa avrei voluto scrivere. Scendi e fammi fare questo bagno di mezzanotte, quelli di ieri non mi sono bastati, fammi fare l’amore in acqua che non me lo ricordo più quanto è complicato. È complicato? Boh, l’ultima volta sarà stato a vent’anni. Scendi, ché questa con cui stai parlando non ti capirà mai. Non la senti la voce? Le cose che dice? Ieri tu dicevi cose diverse. Poi la luce del terrazzo si è spenta, improvvisamente, e io sono rimasta immobile ancora qualche minuto, ho infilato la mano in uno dei cespugli, ho strappato un ramoscello di rosmarino e l’ho annusato. Mi è venuta voglia di piangere. Così ho preso il telefono e ho cancellato il suo numero, se non aveva capito che ero lì, sotto casa, che lo aspettavo, non ne valeva la pena, no? Uno che non ti capisce non ne vale la pena. A Luca ho scritto che stavo andando a dormire, lui mi ha risposto che mi amava. Il rosmarino l’ho annusato una seconda volta: non aveva già più lo stesso odore, era amaro, l’ho lasciato cadere a terra. Quindi ho ripercorso il vialetto, a passi più lenti, adesso un poco mi veniva da ridere, non vedevo l’ora di raccontare la cosa alle amiche, farmi dire che ero ammattita, che avevo passato troppo tempo da sola, a pensare, che aveva ragione la ragazza che c’aveva voglia di fare e brigare, di andare in moto, mettersi e togliersi il casco scuotendo i capelli.

Avremmo riso della sua ingenuità, della sua giovinezza, invidiose. Avremmo riso come pazze. Sicuro che è una di quelle che si fotografa i piedi o le gambe, avremmo detto, e lui le fa le foto di spalle, perché è bella anche di spalle, e intanto io avevo addosso quel vestitino a quadretti. Sono arrivata al parcheggio che era l’una passata, ho riguardato la moto e ho fatto una cosa che ancora non mi spiego, ho raccolto un sasso dal vialetto e l’ho lanciato contro lo specchietto di destra. Il vetro in frantumi un po’ mi ha stupito. Mi è venuto da ridere. Pensavo all’espressione di lui quando lo avrebbe visto, e a lei che per via di quel contrattempo non avrebbe potuto fare niente di speciale un’intera giornata. Sarebbe dovuta andare alla spiaggia, farsi molti selfie. Il sasso me lo sono portata in macchina, l’ho appoggiato sul sedile del passeggero, poi mi sono sfilata il vestito e mentre guidavo in mutande ridevo, non riuscivo proprio a smettere. Non sapevo più se ridevo per lo specchietto rotto, per il mio vestitino a quadretti, per la campagnola piena di vita o perché non ricordavo come diamine si facesse in acqua. Non faceva attrito? Avrei chiesto a Luca di riprovare, piuttosto in piscina, o se proprio proprio nella vasca. La ciucca comunque mi era passata.

Stefania Maruelli

Blam

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2 Comments

  • Molto bello. Storia, stile, tutto molto bello. Brava.

  • Bravissima, Stefania, bellissimo, complimenti.

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