Il racconto della domenica: Prima serata di Mattia Petullà

 Il racconto della domenica: Prima serata di Mattia Petullà

Illustrazione di Francesco •†i∂i• Tagliavia

Qualcosa devo dirgli, questo non si stacca proprio.

«Come ti va?»

«Cool.»

Non capisco quasi niente d’inglese.

«Dove potere mangiare italian pizza?»

«Di là vedi quel semaforo? Ti accompagno.» Lo prendo per il braccio. Tanto sono in anticipo. La trasmissione inizia alle nove, cioè alle ventuno. È svedese, ha detto.

«Come si sta in Svezia? È vera ’sta cosa balorda che è buio tutto l’anno?»

«Non tutto l’anno al buio, ma inverno è molto buio.»

Che bello quando una persona ti capisce così velocemente anche se fai solo stupidi gesti.

È triste questo svedese, ed è abbastanza evidente. Quanto tempo ci ho messo a capire che è triste? Un sacco, cazzo.

«Tutto bene?»

«Not really» abbassa la testa.

Non so che dire e meno male che lui qualche parola la capisce. Sta piangendo. Proprio mentre mi sto divorando un pezzo di mozzarella filante succulento. Che figuraccia. «Cosa c’è?»

«Moglie e figli» fa un gesto con la mano, «aereo. Vroooom.» Disegna una croce nell’aria davanti a sé.

«Dead, morti. E io» muove indice e medio rivolti verso il basso come un piccolo uomo che cammina, «I’m here now, ora qui.»

«Ora qui? Come, ora qui?»

Questo ha dato di matto ed è partito così, dall’oggi al domani.

«Cosa fai qui?»

Alza le spalle.

«Senti. Come ti chiami?»

«Assar.»

«Senti Assar, io andare in televisione ora, per lavoro, capito?»

Ha capito.

«Prendi le mie chiavi, io abito a quel portone, vedi? Sesto piano. Tu salire e trovare porta con mio nome “Balducci” ok?»

«Ok.»

«Ok.»

 

«Buonasera.»

«Buonasera, prima volta?»

«Sì.»

«Può applaudire chi vuole e quante volte vuole. Pagamento in ritenuta secca all’origine. Firmi qui, qui, eeeeee, qui.»

«Cosa vuol dire?»

«Non si preoccupi. Piano sei, corridoio centrale, un assistente la accompagnerà al suo posto.»

«D’accordo.»

Faccio parte del pubblico in sala.

È un lavoro importante. Siamo l’avatar del pubblico casalingo dentro lo studio televisivo. Roba seria, che ti può cambiare il risultato delle elezioni.

La quantità di calore che emette quest’illuminazione televisiva è balorda. Da casa non te la immagini neanche. Si suda proprio. I miei colleghi qui a fianco anche loro soffrono il caldo, si vede ma se ne importano meno. Si saranno abituati.

Chissà con quali criteri ci scelgono o se ci prendono a caso.

È finito il contributo dalla regia sulla criminalità metropolitana. Applaudiamo. Ottima ’sta dritta del pubblico. Arrotondi lo stipendio. Sarebbe davvero stupido non approfittarne. I tuoi amici ti prenderebbero per matto se non ne approfittassi, con tutte le noiose conseguenze. E la peggiore è che si preoccuperebbero per te. Chissà come se la intendevano gli amici in altre epoche e se ci si fotteva, sotto sotto, amichevolmente, come ora. Perché non c’è niente di più balordo che fregarsi con le buone maniere. E così io mi dimostro gentile e amichevole e quello mi fotte casa e quello magari sta proprio sul mio divano adesso, magari non si è tolto nemmeno le scarpe e mi inzozza il copridivano. Lo sapevo, non dovevo dargli le chiavi di casa, così, senza neanche pensarci. Perché non ci ho pensato? E ora che faccio, mica me ne posso andare, potrei chiedere al mio collega qui a fianco, ma che figura ci faccio?, e poi siamo numerati, c’è un numero sulla sedia, e se lui poi va a raccontare alla signorina che sono un tipo poco stabile, che si alza continuamente per andare a pisciare?, ho appena iniziato, non posso permettermelo. Mica posso uscire di qui quando ne ho voglia, durante una diretta nazionale, è una cosa importante. Non credo si possa uscire durante una diretta, non dev’essere permessa proprio una roba del genere. Basta che non mette le mani sulla Play. Vado giù di testa se mi tocca la Play. Ti immagini che torno a casa e lo trovo là che magari è andato avanti a Pandemic, mi ha ammazzato qualche dottore importante al Delhi Hospital e mi ha fottuto il lavoro di settimane così, giusto per la curiosità?

Comunque pagano bene. Alla mia destra ci sono seduti quelli della Sinistra. E a sinistra quelli della Destra. O forse il contrario. Si dimenano anche loro. Applaudo. La tipa bionda si deforma aggredendo il tipo dell’altro schieramento. Non fa che ripetere le percentuali statistiche della crescita del paese.

Insomma questo svedese non so perché mi ha scombussolato. Possibile che la vita è così balorda. Fino a un momento prima hai tutto quello che ti sei costruito grazie ai tuoi genitori, a te, al tuo lavoro, ai tuoi maledetti amici. Poi un aereo cade e quando cade un aereo pensi sempre che è impossibile che succeda a te o a qualcuno che conosci. Se cade un aereo sembra sempre un episodio di una fiaba che è meglio dimenticare in fretta. Come quando sei piccolo e ti leggono quelle storie con il cavaliere e il dragone cattivo ed è veramente difficile che tu ci resti male per il dragone che viene trivellato dal cavaliere a colpi di spadone incandescente. Tu, come bambino, non te la senti proprio di provare dispiacere per il dragone anche se alla fine è proprio una gran bella bestia, ben fatta e anche se vuole friggere tutti con il fuoco avrà un cuore pure lui, ma niente, non te la senti lo stesso ed è meglio evitare problemi, di fare strane domande a quel brav’uomo di tuo padre che ti ha letto tutta la storia, anche perché magari non riesce nemmeno più a scopare con la mamma e l’indomani deve pure tornare a lavoro. Pensare che in fin dei conti il cavaliere è un figo, ha fatto troppo bene a ucciderlo, il dragone, e poi se ne torna da qualche bella figa che lo aspetta da anni e anni con i capelli lunghissimi; è decisamente più facile. Insomma, non può capitare a te la cosa dell’aereo. Perché tu c’hai una bella vita normale, positiva. Pensa che storia sarebbe adesso, pensa che sbalordimento sarebbe adesso se mi alzo così, dal nulla, e nello stupore generale del pubblico in studio, del conduttore, del pubblico da casa, della Sinistra e della Destra di questo grande paese, vado là in mezzo, la guardo a quel bel pezzo di signora deputata e le dico ma perché fai questo lavoro così schifo, perché non distendi i muscoli, non ti rilassi? Perché non vai a fare la Prova del cuoco nello studio a fianco? Chissà cosa succederebbe. Non c’è nemmeno un servizio d’ordine, non è prevista un’azione del genere. Non è previsto un colpo di testa del genere. Forse perché ci pagano. Sì, deve essere per quello. Avrei voluto fare il pubblico alla Prova del cuoco io, e alla fine mi hanno messo qui.

Rimango seduto buono buono, è così che si fa.

«Il Pil è cresciuto del tre per cento in due anni grazie a noi.»

«Ah sì? E sa cosa le dico? Se non fosse—»

Forse devo fare qualcosa, non posso continuare così, lasciando che le cose succedano. Alla fine, fa schifo quel monolocale. Sei piani sono infiniti, specie per me che non prendo l’ascensore. Voglio dire, lo so che c’è qualcosa che non va, ma cosa? Sarà questa società di cui tutti parlano dappertutto. Ne parlano tutti dall’alto, come questi qui della tv, come da sopra un aereo che sta per cadere. E mi chiedo perché sono fatto così e non in un altro modo. E visto che faccio tutto per bene dovrei almeno essere una persona eccezionale, essere seduto là in mezzo con uno degli schieramenti e parlare bene bene con frasi belle tonde. E invece non sono niente. Né il cavaliere né il drago. Sono solo molto forte a Pandemic e tengo bene le piante sul balcone.

Sono in piedi e sono in mezzo, sì, sono al centro dello studio e sto accarezzando la faccia della signora deputata che mi guarda terrorizzata e immobile. Mi rendo conto che tutto si è fermato e nessuno applaude. Mi domando come ho fatto, cosa ne pensa il pubblico da casa. E Assar. Lo svedese. Magari mi sta guardando proprio ora.

Che figuraccia.

a cura di Mattia Petullà

Blam

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