Ritratti di scrittori: Dino Buzzati, chi era? Scoprilo in 5 parole

 Ritratti di scrittori: Dino Buzzati, chi era? Scoprilo in 5 parole

Ritratto di Sonia De Nardo

Dino Buzzati (nato a San Pellegrino di Belluno nel 1906 e morto a Milano nel 1972) è stata una delle personalità più eclettiche del Novecento italiano. Pittore, giornalista, scrittore, compositore di musica per opere, reporter, critico d’arte: potremmo continuare. Da molti viene definito il Kafka italiano, per la fascinazione occulta e sospesa che traspare nelle sue opere. Ma Buzzati non è solo questo: è anche fiaba, ironia, dolcezza di sguardo, passione travolgente. E, soprattutto, è un autore dalla lingua immediata, quotidiana, diretta. Trasportati dalle sue parole, la realtà sembra nascondere molto di più di quanto esibisce, e per un attimo sembra possibile percepire il respiro dell’assoluto.

Dino Buzzati: chi era in 5 parole 

Giornalismo

Buzzati ha iniziato la carriera giornalistica da giovanissimo, dopo la laurea in giurisprudenza. Aveva 22 anni e gli era stata data la possibilità di fare un praticantato al Corriere della Sera. Da quel giorno, via Solferino – il luogo dove si trovava la sede del giornale a Milano – sarebbe diventata come una seconda casa. Si occupò di letteratura, critica musicale, critica artistica, cronaca nera, cronaca sportiva. Fu inviato di guerra, prima in Etiopia e poi a Messina. Era un intellettuale impegnato, colto e preciso; proprio per questo a lui assegnarono l’editoriale del 26 aprile 1945, il giorno in cui la Liberazione era ormai diventata realtà. Si intitolava Cronaca di ore memorabili, e basta leggerlo per capire che i suoi articoli non sono semplicemente testimonianze storiche, ma veri e propri racconti di un’epoca, di un sentire umano. La sua penna era incredibilmente brillante, rapida, a metà tra il racconto e il resoconto. E questo guizzo – che ricorda da vicino la lezione calviniana sulla Rapidità – è forse uno degli elementi più iconici di Buzzati, ciò che rende il suo stile unico e irriducibile, anche nella narrativa.

Sogno

Lo abbiamo detto prima, e vale la pena ricordarlo: la realtà, nelle mani di Buzzati, è una giostra impazzita e cangiante. In molti lo hanno avvicinato, per questo motivo, al coevo movimento del surrealismo. Ma in realtà Buzzati non ebbe mai la precisa intenzione di ascriversi a una filosofia esistenziale o artistica; il suo sguardo – sospeso, onirico, irreale – era frutto di una particolare concezione della vita, intesa come un pullulare di cose remote e insondabili che, talvolta, possono fare capolino dagli interstizi dell’esistenza. Certamente le storie di Buzzati sono immerse nel sogno, ma il sogno che tratteggiano è un sogno multiforme, che transita di continuo dal tenebroso all’immaginifico. Viaggiando nelle sue storie si ha la netta sensazione di stare sospesi su un ponte che affaccia sull’abisso, e il lettore non saprà mai se nella caduta si svelerà, di fronte a lui, l’orrore o un mondo incantato. Ma la bellezza dei racconti di Buzzati, in fondo, è tutta qui: in questo senso del destino che incombe, nel mistero che avvolge le cose, nei risvolti cupi che una fortezza può rivelare. E vale la pena di farsi trascinare in questa corsa impazzita, perché, al di là di tutte le stranezze in cui ci immerge, c’è sempre un nucleo di verità, una sorta di universale, che potrebbe – per un attimo – palesarsi a chi sa interrogarlo.

Arte

Nel 1968, Buzzati disse che: «Dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie». E infatti, i suoi quadri hanno spesso il senso di “storie dipinte”, non solo per la loro caratterizzazione narrativa, ma anche per una certa vicinanza con i temi che aveva già indagato nei suoi romanzi e nei suoi racconti. Fu sua la prima graphic novel italiana: si chiamava Poema a fumetti e raccontava, in chiave pop e moderna, il mito di Orfeo e Euridice. E la fascinazione per il mito, per l’irrazionale, per il sogno – ancora una volta – è il fil rouge di tutta la sua produzione artistica, che sembra coniugare quelle atmosfere spettrali tipiche di De Chirico a un’ironia giocosa che potremmo ritrovare solo nelle illustrazioni per bambini. Il mondo di Buzzati è un mondo «stralunato», è il mondo in cui tutto è possibile e, proprio per questo, tutto incute timore e fascinazione. Ma è anche un mondo divertente, spiritoso, goliardico: un incanto da cui è bello lasciarsi irretire.

Racconti

Quando Dino Buzzati vinse il Premio Strega era il 1958 e il libro in lizza si intitolava Sessanta Racconti. E non dovrebbe stupire che sia una raccolta di scritti brevi ad essere stata premiata, piuttosto che un romanzo, perché – da buon giornalista – proprio a questa tipologia di narrazione Buzzati aveva dedicato il maggior impegno. Negli anni avrebbe sistemato e risistemato i suoi racconti moltissime volte, ed è da questo continuo ripensamento che nasce la famosissima raccolta La boutique del mistero o, ancora, I sette messaggeri. In poche pagine Buzzati riusciva a racchiudere tutto il senso di un’esistenza, di un mistero, di un sentimento vago. C’è, per esempio, il racconto di un invito superfluo: «Vorrei che tu venissi da me una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo»; l’immagine – ne I sette piani – di un ospedale ipnotico e terrorizzante in cui la morte è un approdo ineluttabile; e, ancora, narrazioni suggestive e fiabesche in cui il destino sembra guidare le fila della storia. Per leggere un racconto basta pochissimo, ma a volte possono volerci mesi per riuscire a penetrarlo fino in fondo: Buzzati, questo, lo aveva capito.

Attesa

Se c’è un’immagine che ritorna, in tutte le opere dello scrittore, è quella dell’attesa: lenta, folle, inesorabile, ipnotica. L’attesa di cosa? Forse di nulla, sicuramente di qualcosa che non verrà. Il deserto dei tartari, l’opera più famosa di Buzzati, è tutta incentrata su questo nucleo di senso, e sebbene sia un romanzo in cui non accade nulla, arrivati all’ultima pagina è come se, al contrario, tutto si fosse consumato: quell’attesa che il protagonista, Giovanni Drogo, vive – incredibilmente lunga, statica – pare insinuare che forse siamo tutti in un limbo, protesi verso qualcosa che ci aspettiamo o che vorremmo. E forse questo qualcosa non arriverà mai, sembra suggerire il romanzo; forse il senso dell’esistenza si è raccolto tutto lì, in quella sospensione, nell’essere custodi fedeli di un ideale. Lo stesso emerge anche in Un amore, dove il protagonista corre furiosamente – come, del resto, fa la scrittura – verso una donna, Laide, in attesa che quella passione possa riscattarlo e simboleggiare una risposta – la risposta, quella decisiva. Ne vale la pena? Non è la domanda giusta da porsi. Bisognerebbe, piuttosto, chiedersi se non sia quasi necessario che avvenga così, per noi esseri umani: noi che siamo perennemente in bilico sul futuro e mai completamente immersi nel presente. Buzzati, questo, è riuscito a raccontarcelo, con una precisione chirurgica che impressiona. E leggerlo, allora, è quasi necessario, per venire a patti con tutti i chiaroscuri che ci rendono esseri umani.

 

Dino Buzzati: i libri da leggere per approcciare a questo scrittore

  • Il segreto del Bosco Vecchio, Treves-Treccani-Tumminelli, 1935
  • Il deserto dei tartari, Rizzoli, 1940
  • Sessanta Racconti, Mondadori, 1950 (qui sono raccolti anche gli scritti di La boutique del mistero)
  • Un amore, Mondadori, 1963
  • Poema a fumetti, Mondadori, 1969

a cura di Rebecca Molea

 

 

 

 

Rebecca Molea

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