“Non esisto senza una matita in mano”, storia di Josephine Tomarchio, illustratrice siciliana

 “Non esisto senza una matita in mano”, storia di Josephine Tomarchio, illustratrice siciliana

A Catania, tra il blu del mare e il nero dell’Etna, Josephine Tomarchio trasforma linee e colori in racconti visivi che parlano di emozioni, impegno sociale e forza femminile. Illustratrice dall’anima inquieta, disegna da quando ha memoria, senza schemi né progetti preordinati. Con il suo stile mutevole ma sempre autentico, ha trovato nell’arte il linguaggio più vero per dare voce a sé stessa e a ciò che la circonda. Ecco la sua storia.

Chi è, cosa fa e dove vive.
Sono Josephine, vivo a Catania, in Sicilia, e disegno.

Ci racconta il momento in cui ha deciso che il disegno sarebbe stato il suo lavoro?
Non c’è stato un momento preciso. Da bambina non ho mai pensato che il mio sogno da grande fosse fare l’illustratrice. Ho iniziato a disegnare a due anni e non ho più smesso. Inevitabilmente è diventato il mio lavoro, perché è parte di me, come bere, mangiare o respirare. Non esisto senza una matita in mano.

Come definirebbe il suo stile?
Non saprei etichettarlo, mi piace cambiare. Per me l’importante è trasmettere qualcosa: un’emozione che esiste, che vive. Non credo nell’arte fine a sé stessa: deve avere un messaggio, deve avere un’anima che pesa.

Che bambina è stata?
Terribile. Disegnavo sempre e ovunque, ero molto curiosa. Volevo vedere, capire, scoprire. Presto ho iniziato a rendermi conto che gli altri non vedevano le cose come le vedevo io e questo mi faceva sentire, spesso, incompresa.

Cosa c’è sul suo piano di lavoro?

Un po’ di tutto. Ma soprattutto l’iPad con cui disegno e che ormai è diventato un’estensione del mio corpo.

Come imposta il suo lavoro? Fa degli schizzi su un taccuino dopo un guizzo di ispirazione?

Mi piacerebbe rispondere di sì, ma in realtà non so mai cosa sto per disegnare: traccio delle linee e l’illustrazione viene fuori da sola. Non c’è uno schema o una costruzione. Sicuramente mi aiuta la memoria visiva: se per strada vedo qualcosa che mi colpisce – uno sguardo, un albero, un naso – rimane impresso e poi riaffiora naturalmente nei miei disegni.

Qual è la richiesta più strana che le hanno fatto?
Ce ne sono tante. Direi tutte le volte che mi chiedono di realizzare, per esempio, loghi aziendali: lo trovo strano perché non sono una grafica, ma un’illustratrice. Mi rendo conto di come questa differenza non sia chiara a tutti.

Ci racconti brevemente i progetti a cui ha lavorato e di cui va fiera?
Quelli che ho realizzato per il sociale, senza un compenso. Progetti in cui ho potuto usare le mie illustrazioni per dare supporto come le iniziative a favore del popolo palestinese, quelle contro la violenza di genere, o quelle sull’impatto che le industrie hanno sull’ambiente. Sono i temi che sento più miei.

Qualche sua opera è stata esposta?

Sì, nell’edizione speciale dei 50 anni della rivista «DWF» è stata pubblicata una delle mie illustrazioni, poi esposta al Pigneto, a Roma, durante Bande de Femmes. Ecco, quell’illustrazione è nata dal desiderio di celebrare e raccontare la forza silenziosa ma potente delle donne. Ho sempre pensato che il potere femminile non venga ben rappresentato, intendo in maniera reale e autentica. Volevo esprimere questa forza con un linguaggio visivo che fosse contemporaneo ed emotivamente pregnante, al tempo stesso accessibile; così ho giocato tanto con i colori per dare il giusto peso al corpo, esprimere la resilienza e la libertà.

Se fosse un quadro famoso, quale sarebbe e perché?
Lo stagno delle ninfee di Monet. Perché è un caos calmo. Ogni scena del dipinto ha i suoi colori dominanti (rosso, giallo, verde, azzurro) ed è tutto costruito con pennellate irregolari e macchie di colore. È dinamico, imprevedibile, eppure regala quiete e pace a chi lo guarda.

Tre illustratori che l’hanno illuminata sulla via di Damasco.

Sicuramente John Tenniel, il primo che ho amato: da piccola avevo un’edizione di Alice nel Paese delle Meraviglie con le sue illustrazioni; la sua creatività mi ha sempre emozionata. Poi George Barbier, per la sua attenzione alla femminilità e perché ho un debole per l’Art déco. Infine Mœbius, che mi ha sempre incantata con la cura dei dettagli e i suoi acquerelli perfetti.

Blam

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