Smezziamo: la rivista letteraria per viaggiare con le parole. Intervista

 Smezziamo: la rivista letteraria per viaggiare con le parole. Intervista

Sarcasmo, sagacia, deliziosa imprevedibilità, narrazione intelligente. Sono questi gli ingredienti della ricetta perfetta di Smezziamo, la rivista letteraria che viaggia all’interno delle storie che circolano su ogni mezzo di trasporto possibile, e anche inimmaginabile. Un’auto, un bus, un aereo, una navicella spaziale, basta che ci sia movimento e che i conducenti siano le parole. Prendetevi un caffè e conoscete, insieme a noi, Smezziamo!

 

Cos’è Smezziamo? 

Federico: Per darti un’idea di Smezziamo c’è solo un semplice modo: andare sul sito di Smezziamo! Stiamo parlando di un magazine letterario che viaggia sull’online e il verbo viaggiare, ovviamente, non è messo lì per caso. Nella nostra rivista, infatti, potrai trovare tutti racconti che hanno come filo conduttore, un mezzo di trasporto che si muove su Roma, giocando a tratti con la fantasia, spesso con la realtà, prendendo comunque spunto dalle esperienze vissute o immaginate dei vari autori. Con Smezziamo cerchiamo di dare spazio a racconti in abitacolo: avventure su un vagone della metro, pensieri sparsi sui binari di un tram, dialoghi avvenuti su un taxi, su un’Enjoy. Potresti trovare la storia di auto in coda sul GRA che crea traffico di proposito per incontrarsi all’insaputa dei conducenti, oppure guidatori che sulla Tiburtina se la prendono con la marea di ciclisti che invadono impunemente ogni corsia. Ecco queste storie non le abbiamo ancora scritte, ma ci hai appena dato due spunti.

Chi c’è dietro il progetto e quali sono i vostri ruoli?

Federico: I macchinisti fondatori, oltre che autori, siamo io (Federico Cirillo) e Lorenzo Desirò. Ci occupiamo anche della comunicazione e della condivisione dei contenuti sui social (ne approfittiamo per dirvi che ci trovate un po’ ovunque, proprio come gli autobus di Ro…ah no). Quindi, coloro che da quando sono saliti a bordo hanno deciso non scendere mai (per fortuna): Matteuccia Francisci e Annalisa Maniscalco. La prima è una vera e propria figura mitologica, una sorta di jolly che fa tutto e che non si tira mai indietro. Autrice, editor, attrice, influencer – anche se non lo ammetterà mai – e lettrice, insomma è sempre al posto giusto. Annalisa, oltre che autrice, ci dà una grande mano nell’editing e nella correzione di bozze, vista la sua lunga esperienza in varie case editrici. Questo il gruppo storico, poi alle varie fermate salgono e scendono altri collaboratori che ci hanno aiutato e ci aiutano tuttora. Penso, ad esempio, ai fantastici illustratori Simona Settembre e Stefano Pontecorvi che ci regalano delle vere e proprie opere d’arte ogni volta!

Com’è nata questa rivista e perché avete scelto questo argomento (che è davvero originale!)?

Lorenzo: Banalmente, l’idea di mettere su un progetto editoriale è nata in un pub. All’inizio eravamo solo io e Federico e avevamo pensato di fare una rivista che raccogliesse al suo interno articoli, approfondimenti e racconti che avrebbero potuto parlare della realtà che avevamo intorno, quindi di Roma. Ma volevamo un contesto attraverso cui raccontare questa realtà, un contesto unico per tutti gli articoli. Allora, dopo qualche riflessione, abbiamo pensato di ambientare ogni singolo pezzo della futura rivista sui mezzi di trasporto. I mezzi erano l’espediente per parlare di tutto e in qualsiasi modo: inventando personaggi, prendendo spunto da quelli che vedevamo nel nostro quotidiano, sfruttando le situazioni surreali che ogni giorno erano davanti ai nostri occhi. Questa idea originaria poi, grazie al contributo di Annalisa, Matteuccia e altre persone, che all’inizio ci hanno dato una mano, è cambiata e si è deciso di virare verso i racconti brevi (o brevissimi) ma sempre ambientati sui mezzi di trasporto.

Dite la verità: il traffico di Roma vi ha influenzato?

Annalisa: Il traffico di Roma non solo ci influenza, ma ci manca tantissimo! Traffico significa gente, movimento, rumore, vita. Significa sofferenza e riuscita. Significa tempo che passa sempre uguale, sì, ma almeno teso verso uno scopo. Nostalgia da quarantena a parte, nel traffico – e in particolare nelle ore di punta in metropolitana, o nella folla senza distanziamento sociale di un autobus – si annidano i germi di tantissime storie. Ed è un contagio, quello delle storie, che speriamo non si estingua mai.

Al di là dell’ambientazione, che caratteristiche devono avere i racconti per essere pubblicati?

Matteuccia: Inizialmente ci orientavamo principalmente su racconti brevi che parlassero della realtà quotidiana, quella proprio di ogni giorno. Racconti, insomma, che immaginavamo non solo ambientati, ma anche letti durante un viaggio su un mezzo pubblico. Poi abbiamo cominciato a ricevere anche racconti diversi, alcuni onirici al limite del delirante, altri molto lunghi e suddivisi in episodi, fino quelli non ambientati sui mezzi pubblici in senso stretto. Al di là dell’ambientazione, quindi, che rimane comunque il vincolo che ci siamo voluti dare, forse la caratteristica che ci piace di più è la schiettezza. Racconti che dicano qualcosa e la dicano senza nascondersi, anche a rischio di sembrare scorretti.

Qual è il procedimento di valutazione che adottate?

Matteuccia: Lunghe serate a casa di Annalisa a dire tutto e il contrario di tutto sui racconti ricevuti, e se alla fine siamo convinti l’uno delle opinioni dell’altro, li pubblichiamo. Anche a distanza di mesi, perché capita che qualcuno senta qualcosa in un racconto che gli altri non avvertono. Siamo dei rimuginatori, che a Roma si chiamano in un altro modo. E ci fidiamo del giudizio reciproco. Il difficile è dirsi, quando i racconti sono i nostri, che non ci piacciono. Per quello di solito ci facciamo aiutare dalle birre, abbiamo notato che dopo un certo numero la verità viaggia più facilmente.

C’è un fascino che accomuna i mezzi di trasporto, i movimenti e le storie. Cosa rappresenta per voi l’unione tra movimento e parole?

Annalisa: La narrativa è la cronaca di una trasformazione, che è per sua natura un processo dinamico. I personaggi di un racconto compiono sempre un movimento, e così facendo “accompagnano” i lettori verso una qualche scoperta di sé. Associare il movimento drammaturgico dei personaggi all’attraversamento di uno spazio su un mezzo di trasporto ci sembrava il modo più immediato e insieme efficace di rappresentare questa verità ancestrale: chi si ferma è perduto.

Anche voi, come Rivista Blam, utilizzate le illustrazioni a corredo dei racconti. Alcuni tendono a dire che sia un connubio superato. Per voi cosa rappresenta questo matrimonio “monotono”, ma che va a gonfie vele?

Lorenzo: Non sappiamo se questo connubio illustrazioni-racconto sia superato o meno, e se è vero che l’immagine dà un qualcosa in più al racconto, speriamo anche nell’inverso e cioè che il racconto dia valore all’illustrazione. Quello che è certo è che oggi siamo nella società dell’immagine, nonché della rapidità e dell’effetto istantaneo. Chiunque decida di scrivere e soprattutto di leggere compie delle operazioni nettamente in controtendenza rispetto al momento storico in cui siamo. Oggi il fattore tempo è vitale e tutto deve essere rapido, la lettura invece richiede tempo e riflessione. Unendo un’immagine, che apparentemente ha tempi di lettura più immediati e che sicuramente cattura l’attenzione in tempi brevi, a un testo, forse può essere una buona soluzione per far riflettere sui due elementi, sul testo stesso e a fine lettura anche sull’immagine scelta e ideata per quel testo.

Perché dare vita a una nuova rivista senza scopo di lucro? Perché era necessario?

Federico: A noi le cose non necessarie ci piacciono da morire. Avevamo voglia di scrivere, di creare qualcosa che rappresentasse il nostro stile e dare sfogo alla nostra indole, ossia quella di inventare osservando ciò che ci circonda. È necessario? Chissà.

Chi fonda una rivista letteraria lo fa per piacere, per visibilità, per cos’altro secondo voi?

Annalisa: Chi scrive spera di avere qualcosa da dire agli altri; fondare una rivista, per noi, ha significato condividere le idee, testarle e provarne la tenuta prima ancora di farle uscire a incontrare gente. Ci siamo posti dei vincoli creativi e ci siamo letti a vicenda con disponibilità e attenzione, ma anche con severità e autocritica. Molte delle cose che abbiamo scritto non vedranno mai la luce; quello che abbiamo pubblicato ci sembra, se non degno del tempo di chi ci legge, almeno coerente con le promesse della rivista.

Suggerite ai nostri lettori tre riviste letterarie indipendenti da tenere d’occhio e perché.

Matteuccia: Sono tante le riviste letterarie che ci piacciono, ma dato che ce ne chiedi solo tre: Ammatula, Carie e Crack Rivista. Per la qualità dei racconti e la cura nella scelta delle illustrazioni che li accompagnano, ma anche per la caparbietà nella distribuzione, anche cartacea, dello splendido lavoro che fanno. Se creare una rivista letteraria oggi è da pazzi, loro sono più bravi di noi ad essere pazzi, e questo ci ha fatto sentire da subito di essere sulla giusta strada.

Se questo periodo storico fosse un mezzo di trasporto quale sarebbe?

Lorenzo: Per quello che stiamo vivendo, per colpa del Covid, di sicuro un’ambulanza. Gli ultimi decenni invece – parlando dell’Italia – sono caratterizzati dall’immobilismo, dalla crisi economica, dall’egoismo, dall’avanzata dell’antipolitica e dei particolarismi a discapito della comunità e della socialità. Forse si possono paragonare a un’automobile ferma e incidentata, che ostinatamente continuiamo a riparare sostituendo pezzi superflui e continuando a litigare su quale micro-parte del cruscotto dobbiamo cambiare quando in realtà dovremmo sostituire il motore o addirittura abbandonare definitivamente quell’auto per comprarne una nuova che possa andar bene per tutti.

C’è qualcosa che volevate dire che non vi ho chiesto?

Tutti: Non sapremmo…c’è qualcosa che non ci hai chiesto ma che in realtà vorresti chiederci? Nel caso ti risponderemo con un racconto!

 

 

 

Antonella Dilorenzo

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