Un’intervista alla fine del mondo e un ultimo gesto per salvare l’umanità: «Proteo» è il racconto di Luciano De Vivo

Illustrazione di Francesca Vitolo
Lui, tiene una sigaretta con la mano sinistra; siede a gambe incrociate sopra un cuscino. Avvicina uno Zippo con incisa la bandiera americana; accende; la brace è una stella tra le sue labbra. Ha una barba tagliata male.
Io, sono seduta davanti a lui, in questa stanza senza mobili: un mosaico di tappeti e la vista sulla città in pieno giorno; il sole a fargli da aureola. I capelli sono lunghi, scompigliati; indossa una specie di sacco di tela; non mi guarda mai negli occhi. Agita la sigaretta assecondando il ritmo del suo viaggio verso questo nostro tempo.
Partiamo dall’inizio: chi era lei?
Sono nato fuori da questa civiltà. Vivevo disperso nel nulla. Mio padre non voleva che partissi; aveva bisogno di me, ormai era vecchio. Non sarebbe dovuto arrivare ai sessant’anni.
Spegne la sigaretta sul piattino di un servizio da tè e mentre sto per fargli la seconda domanda se ne accende un’altra, sempre allo stesso modo, con gli occhi chiusi e il cerchio rosso della brace a fargli da contorno. Davvero vuole farmi credere di essere comparso nel nostro mondo come un alieno?
Potrebbe essere più chiaro?
Ho lasciato alle mie spalle il peso che mi ancorava al fondale della miseria. Non era facile vivere tra quella gente senza ambizioni. Ho conosciuto la modernità in maniera astratta, delegando al mio futuro la possibilità di darle forma. Era buio quando me ne andai via di casa, solo fuori ho iniziato a percepire la luce. Mi sono imposto un esilio dalla privazione. Nessuno mi starà cercando laggiù: sono stato un senza nome e solo adesso ho la facoltà di definirmi.
Poco fa, riferendosi a suo padre, ha detto che «non sarebbe dovuto arrivare ai sessant’anni». È un modo contorto per dirmi che lo ha ucciso?
Ho eliminato la mia sventura. Vedi, considero il mio avvenire come una seconda nascita. Tu mi chiedi se ho commesso un omicidio e io ti rispondo che invece ogni svolta necessita di una ribellione.
Insisto. Che fine ha fatto suo padre?
Non è mai esistito. Sono io che mi sono dato una vita.
Le mie domande non sono riuscite nemmeno a farlo innervosire. Si nasconde in una nube di non-risposte. È tutto velato. Accende un’altra sigaretta, rinuncio a estorcergli una confessione sul suo passato. Mi rivolgo al presente che conosciamo tutti.
Ed è arrivato qui a New York. Come ha trascorso i suoi primi mesi?
Ero uno straniero in questa città. Mi svegliavo nel mezzo della notte e nella sua assenza di luce scorgevo tutte le facce di questo inferno. C’è un episodio in particolare che mi ha segnato: ero all’ingresso della metropolitana, ho chiesto a un barbone la sua sigaretta, lui che non aveva nient’altro, io che serbavo giusto la mia domanda da porgli, sono come questo tizio, ho pensato, solo, deturpato da strati di insoddisfazione che mi avrebbero condotto alla sua esistenza se non avessi dato una svolta alla mia. Fu in quei giorni che meditai di uccidermi, per poter essere finalmente notato.
E qualcuno in effetti l’ha notato.
Ero ospite in questa comune di tossici. Uno di loro aveva lavorato al «New Yorker» come vignettista freelance e conosceva ancora qualcuno nella redazione. Fu grazie a lui che ebbi la possibilità di far passare un mio racconto al vaglio di un editor tra i più importanti della rivista. Venne accettato e lo firmai con il nuovo nome che mi ero scelto, quello di Peregrino Proteo. Nel testo denunciavo le conseguenze delle politiche sociali adottate da Howard Williams; conseguenze che avevo vissuto per esperienza diretta. Così, una volta resomi conto del mio successo, ho cercato un uditorio che recepisse e condannasse insieme a me quanto avevo – rectius, avevamo – vissuto.
Gli sto per porre una domanda un po’ assurda ma attinente al contesto in cui mi ha introdotto.
Lei si definirebbe un profeta?
Io sono il portatore di un nuovo modo di concepire il tempo. La mia voce avrà una eco fino a quando ci sarà qualcuno che potrà tradurla per gli altri.
Continua a guardare un punto fisso, il sottile abisso delle mie gambe ravvicinate in una posa che quel cuscino rende a tratti sensuale, attraverso il filtro delle sue pupille immense che riducono allo zero ogni possibile costruzione di significato. Ho l’impressione di avere davanti a me un uomo inconsapevole di essere tale, che si identifica con una furiosa volontà di lottare contro l’incertezza. Mette quasi in soggezione, con questa sua aura da santone, ma allo stesso tempo ne percepisco tutta la fragilità, forse perché è di costituzione così scheletrica, e soprattutto perché è un ragazzo.
La sua prima comparsa in pubblico è stata durante un evento poetico. In quell’occasione invitò gli avventori a reagire alle sue parole attraverso l’«esercizio della violenza», come lo ha definito in seguito. Possiamo quindi dire che è una specie di anarchico?
La politica non mi ha mai interessato. Il mio astio è il megafono di un’intera generazione di falliti, come li avete definiti voi. Se ho invitato a compiere un massacro è stato per rendere consapevoli quante più persone possibili. Il mio testo, Teoria e prassi della distruzione borghese, è un invito al risveglio. Io ho indicato una possibilità. Non ho un padre, non ho radici, ma posso essere entrambi per milioni di anime brutalizzate dal vostro modo di intendere la società. Tu stessa rappresenti una costola del problema.
Io? In che modo?
Non hai la facoltà di compiere un miracolo.
Mi faccia capire: a quale miracolo allude?
A quello che solamente il gesto di una parola potrà mettere in atto. Il saggio che ho scritto ha scardinato le porte delle vostre speranze e le ha rese insicure. Il miracolo avverrà quando sarete nudi come lo siamo stati noi fino a oggi.
Mi chiedo se mi voglia spogliare per rendermi vulnerabile o semplicemente umiliare chi non è stato come lui, distrutto dal male che ha eclissato la rivalsa dei diseredati dal branco umano.
Ha parlato di una rivolta in seno al capitalismo, di prospettive di riscatto per chi è messo ai margini, ma non ha dato un’indicazione su come raggiungere questi obiettivi. Lei vorrebbe promuovere una guerra di classe?
Se per guerra intendi una scissione dalla vostra pace allora sì.
D’accordo, poniamo che sia come dice, come pensa che questo possa cambiare le cose?
Vedi, non è il cambiamento quello che noi ci auspichiamo ma un radicale distacco dalla vostra concezione societaria. E per noi intendo la massa di vittime del vostro sistema che ritenete il migliore possibile. Mi chiedevi se avessi ucciso mio padre quando, in realtà, siete voi ad avere ucciso il vostro in nome di un progresso sempre più antagonista del passato.
Spogliare i passanti, addirittura aggredirli fisicamente qualora fossero stati contrari ai suoi inviti non è di certo sinonimo di esistere. A volerle credere, sembra che auspichi un ritorno all’età della pietra.
La vera età della pietra è quella che voi millantate essere la migliore possibile. Ho invitato la gente a evolversi.
Ha di recente annunciato che ci sarà una nuova dimostrazione mercoledì prossimo a Central Park all’arrivo della torcia olimpica. È la sua occasione per farsi vedere al di fuori dei confini nazionali?
Può darsi che dopo quel giorno ci sarà più luce ovunque.
Che cosa intende?
Alla fine, vedrete.
L’intervista si chiude, per suo volere, al calare del sole. Penso che quest’uomo viva di notte, che sogni il suo futuro come uno studio per metterlo in atto l’indomani. Il piattino sul tappeto riporta le carcasse di una decina di sigarette, mezzo pacchetto che ha consumato durante il delirio di un’intervista che ho cercato di condurre verso la ragione e ho finito per perdermi. La sua concezione del mondo moderno sembra scaturire da una mente ibernata, proveniente da un passato che non conosce origini. Poi, questa sua volontà di tornare in pubblico in occasione delle olimpiadi mi fa pensare all’imminenza di qualcosa di plateale e, per certi versi, estremo, a suo modo memorabile. Mentre scrivo queste ultime righe di conclusione è il 14 luglio del 2038 e nel cuore di Central Park è stata allestita una pira alta tre metri.
Le autorità cittadine hanno tentato di rimuoverla ma l’intera area è stata circondata da centinaia di curiosi già dalle prime ore del mattino. Alle 8.30 un uomo è salito in cima alla pira e si è dato fuoco. In rete è pieno di video dell’accaduto: si vede Peregrino Proteo nell’atto di cospargersi di benzina e immolarsi per una causa che nessuno è riuscito a comprendere.
Luciano De Vivo