Lei: un racconto di Elena Beatrice

 Lei: un racconto di Elena Beatrice

Illustrazione di Linda Demichelis

Non avevo mai notato quanto fosse grande questa stanza. Almeno venticinque tavoli di quelli in stile birreria. E altrettante finestre rettangolari lungo tutto il perimetro. A occhio e croce duecento persone, quasi tutte sedute. Davanti a loro: computer, libri, quaderni, penne ed evidenziatori. Studiano. Oppure leggono. Qualcuna di loro dorme appoggiata con la testa sulle braccia incrociate.

Dovrei studiare, apro il computer, ma mi distraggo subito: da qui, oltre una delle finestre, si vede una mansarda. Sarebbe bello viverci. Torno a guardare lo schermo. Non dura molto, perché davanti a me c’è questa ragazza, è bellissima, sul serio. Ha i capelli lunghi e ondulati color miele. Continua ad arrotolarsi una ciocca al dito e a tirarla. Non tirare bellezza, sei meravigliosa, non ti trattare così. Vorrei dirglielo ma è meglio non immischiarsi, avrà i suoi motivi per tirarsi i capelli.

Ha degli occhi incredibili, con una brillantezza strana. Sta leggendo Ogni cosa è illuminata, uno dei miei libri preferiti: prima cosa in comune. Lo tiene con la mano sinistra mentre con la destra è impegnata a strapparsi quella chioma stupenda. Vedo solo gli occhi sopra il bordo superiore del volume, non riescono a stare fissi sulle righe.

Stai tranquilla dolcezza, leggi che se superi le prime trenta pagine non riuscirai più a smettere e tutti i problemi del mondo svaniranno. Questo è quello che vorrei dire. Non parlo perché è meglio non immischiarsi, avrà i suoi motivi per non riuscire a concentrarsi.

Inizio a scrivere la mia presentazione sul pc. In realtà fingo, con la coda dell’occhio continuo a sbirciare di fronte a me. Anche lei sta fingendo di leggere: un altro aspetto in comune. Ora sembra attirata da qualcosa alla sua sinistra. Seguo il suo sguardo, ma non c’è nulla lungo la traiettoria.

Posa il libro sul tavolo, incrocia le braccia sopra il volume e ci appoggia la testa. La chioma di miele cade in avanti. Finalmente un po’ di pace per la sua ciocca, è attorcigliata al dito, ma per lo meno non la strattona più.

Sento una bella arietta sul viso. È quasi ora di pranzo, inizia a fare caldo e ho fame. Mi alzo, questione di pochi minuti, vado alla ricerca di uno snack alla macchinetta. Prendo i biscotti, sono molto tentata dal panino al salame e formaggio, mi convinco però che i biscotti senza zucchero della Galbusera diano un’immagine migliore di me. Nella scelta considero anche la facilità di condivisione, un biscotto light è più elegante da offrire rispetto un pezzo di panino al salame.

Quando torno, lei non c’è più. Merda. Per il rimorso di essermi allontanata, divoro quasi tutti i biscotti. Valuto di andare a prendere quel panino, ora lo vorrei più che mai, poi lei torna. Che sollievo.

Vorrei tanto sorriderle, ma lei sta fissando una mosca che si sfrega le zampette appoggiata sul tavolo. Con un gesto fulmineo ma silenzioso la schiaccia, non me l’aspettavo. La guardo: sembra persa. Le lacrime iniziano a scorrerle piano sul volto. Le vorrei dire che è solo una mosca, che i suoi capelli color miele sono meravigliosi. Le vorrei porgere l’ultimo biscotto, anche se non sa di niente. Ma non lo faccio, meglio non immischiarsi, avrà le sue ragioni per piangere.

Chiude il libro e finalmente mi guarda, sento un brivido lungo tutto il corpo, uno di quelli che forse preannunciano qualcosa. Uno di quelli per cui vale la pena andare in biblioteca a luglio per fingere di studiare. È il momento di sorriderle. Riesco a muovere i dodici muscoli che servono per farlo ma lei ha già spostato lo sguardo. Cazzo.

E in un attimo tutto accade. Si alza, si volta verso la finestra, piede sinistro sulla sedia, piede destro sul davanzale. Poi vola. L’ho vista solo io, in slow motion.

Un tonfo, questo l’hanno sentito anche gli altri. Alzano le teste. Non capiscono.

Qualcuno urla in strada.

Elena Beatrice

Blam

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