Ritratti di scrittori: Fëdor Dostoevskij. Chi era? Scoprilo in 5 parole

 Ritratti di scrittori: Fëdor Dostoevskij. Chi era? Scoprilo in 5 parole

Ritratto illustrato di Sonia De Nardo

Un’acuta sensibilità e un’innata predisposizione alla lettura del reale hanno reso Dostoevskij un punto di riferimento non solo del panorama artistico russo, ma della letteratura universale. Vissuto nella Russia zarista dell’Ottocento, lo scrittore di Mosca concepì capolavori in grado di regalare floridità culturale a un’epoca intera. Più ci si addentra nelle sue pagine e più ci si rende conto di come non leggere Dostoevskij equivalga a una condanna all’inconsapevolezza: nessuno come lui ha saputo studiare l’essenza umana, grazie all’abilità nello sviscerare le contraddizioni annidate nell’animo dei singoli. A diciotto anni, scrisse al fratello Michail queste parole: «L’uomo è un mistero. Bisogna risolverlo e se anche ci hai provato tutta la vita non dire di aver perso tempo; io mi occupo di questo mistero, perché voglio essere un uomo».

Fëdor Dostoevskij: chi era lo scrittore in 5 parole

Patimento

L’intera vita dell’autore russo – con l’eccezione di qualche breve tregua di spensierata serenità – fu segnata dalla sofferenza: a sedici anni perse la madre, a diciotto il padre; seguirono le morti del fratello Michail – con il quale curava delle riviste letterarie – e, nello stesso anno (1864), della sua prima moglie Marija. Ma a sentire nel petto il terrore di chi è prossimo alla morte fu lo scrittore stesso. Nessun evento, infatti, lo sconvolse tanto quanto la condanna a essere fucilato per volere del regime censorio instaurato da Nicola I: «Oggi sulla piazza Semënov a tutti noi è stata letta la sentenza di condanna a morte […]. Avevano legato al palo tre di noi per l’esecuzione della condanna. Io ero il sesto, chiamavano tre alla volta, dunque io ero al secondo turno e mi rimaneva da vivere non più di un minuto». Ma proprio a un passo dalla fine, venne comunicata agli sventurati la commutazione della pena a quattro anni di lavori forzati in Siberia. Non aveva torto Leopardi quando nello Zibaldone scriveva: «Qualunque è d’animo veramente e fortemente poetico […] nasce infallibilmente destinato all’infelicità».

Epilessia

L’epilessia, che ai tempi di Dostoevskij i medici chiamavano «mal caduco», pare essere prerogativa degli spiriti più geniali, tanto che recenti studi intendono dimostrare che lo stesso Dante ne soffrisse. Questa patologia nervosa tormentò l’autore russo a partire dal 1857, anno del primo attacco epilettico documentato: «In modo assolutamente inaspettato mi è capitato un attacco di epilessia che ha spaventato a morte mia moglie, e colmato di tristezza e angoscia me […]. Il dottore mi ha detto che si tratta di autentico mal caduco e che mi devo aspettare di morire in uno di questi attacchi». L’incubo della malattia alimenta le pagine dello scrittore in una duplice forma: non solo in senso rovinoso, come sprofondamento nell’abisso, ma anche come raptus mistico, un morbus sacer ippocratico capace di condensare nell’istante l’indefinito dell’universo. L’epilessia colpisce personaggi fondamentali dei romanzi di Dostoevskij, come Smerdjakov in I fratelli Karamazov (1901) e il principe Myškin in L’idiota (1902), svolgendo sempre una funzione decisiva: il primo se ne serve come alibi per l’uccisione del proprio padrone, il secondo, grazie alla malattia improvvisa, si salva da un tentato omicidio.

Ludopatia

Dostoevskij cercò di trovare nell’alcol, nel sesso a pagamento e nel gioco rimedi a un’indole timida e clinicamente insicura. Il pungolo dell’azzardo lo incalzò per tutta la vita, costringendolo a instaurare un rapporto morboso con la letteratura. Le continue difficoltà economiche, aggravate dalla ludopatia, costrinsero lo scrittore a fuggire dai creditori e a condurre una vita di corse contro il tempo, oppresso dal peso delle scadenze imposte dalla tirannia degli editori. Caso emblematico è la stesura di Il giocatore (1941), avvenuta sorprendentemente in soli ventisei giorni. Se l’impresa fosse fallita e i tempi non rispettati, l’editore Stellovskij, da contratto, avrebbe avuto il diritto di pubblicare tutti i romanzi dell’autore senza pagargli nulla, per la durata di ben nove anni. L’«opera del miracolo», non a caso, parla proprio di un personaggio che ha dato l’anima al gioco, risucchiato dal vortice della dipendenza così come la pallina è risucchiata dalla roulette.

Sottosuolo

Pagina dopo pagina Dostoevskij conduce il lettore nel luogo oscuro e sotterraneo della nostra anima, nel quale albergano tanto le passioni più profonde, quanto le depravazioni e contraddizioni che non riusciamo a osservare e controllare. Proprio da qui nasce l’uomo del sottosuolo, quell’eroe ideologico che comparirà in tutte le opere più mature dell’autore, a partire dal monologo narrativo che segna una svolta nella produzione dostoevskijana: Memorie dal sottosuolo (1919). Celebre l’incipit, capace di attirare immediatamente l’attenzione di chi legge: «Io sono una persona malata… sono una persona cattiva. Io sono uno che non ha niente di attraente». L’impossibilità da parte del protagonista di nascondere l’evidenza della propria depravazione sfocia in un paradossale senso di perverso godimento per il dolore e l’umiliazione. Da qui deriva un continuo ritrattare sulla propria auto considerazione, come se il protagonista oscillasse tra una falsa e migliore visione di sé stesso e una più sincera e bassa. Ma in ogni caso ciò che emerge, come fa notare l’esperta e traduttrice di Dostoevskij Maria Candida Ghidini, è che «la verità sull’io alla fine rimane inaccessibile all’introspezione».

Polifonia

Quando si parla di Dostoevskij non si può non parlare di polifonia, ossia di quel coro di voci che sostengono il romanzo e lottano, in un continuo confronto di intonazioni. Ma senza successo: a nessuna delle voci è possibile riconoscere la nitidezza dell’assolo. Il risultato è un totale senso di disorientamento da parte del lettore, che solo con difficoltà può tentare di distinguere quale sia il vero pensiero dell’autore. Lo scrittore moscovita era un attento osservatore della realtà e ne aveva colto l’essenza multiforme e indefinita, come se la certezza non potesse trovare posto nel grande caos della società umana, anticipando così i grandi temi del relativismo esistenziale. È proprio in questo, nello studio sottile dell’uomo e del mondo, che rintracciamo quel carattere di universalità che fa di Dostoevskij un autore senza tempo.

Fedor Doestoevskij: i primi libri da leggere per conoscere questo scrittore

  • I fratelli Karamazov, Einaudi, 2014
  • Le notti bianche, Mondadori, 2016
  • I demoni, Feltrinelli, 2016
  • Delitto e castigo, Mondadori, 2016
  • L’idiota, Mondadori, 2017
  • Memorie dal sottosuolo, Garzanti, 2022

 

A cura di Alessandro Pasini

Blam

Articoli Correlati

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *