Ritratti di scrittori: Antonia Pozzi, chi era? Scoprilo in 5 parole

 Ritratti di scrittori: Antonia Pozzi, chi era? Scoprilo in 5 parole

Ritratto illustrato di Sonia De Nardo

È solo attraverso la poesia che possiamo conoscere davvero Antonia Pozzi. La sua è stata una vita breve ma intensa, colma di arte e passione. I testi si riferiscono a episodi di un’esistenza tormentata e solitaria, per cui trova conforto e liberazione solo nella scrittura. Di fatti, l’anima della poetessa è costantemente travagliata, incompresa, prigioniera di un modo di essere che altri scelgono al suo posto. Inizia a scrivere a diciassette anni, ma nessuno dei suoi testi verrà pubblicato e apprezzato mentre è in vita. Oggi, possiamo avere accesso all’intera produzione letteraria, copiosa nonostante i pochi anni di attività, dal momento che Antonia Pozzi decide di porre fine al suo malessere a soli ventisei anni: «Ho paura, e non so di che: non di quello che mi viene incontro, no, perché in quello spero e confido. Del tempo ho paura, del tempo che fugge così in fretta. Fugge? No, non fugge, e nemmeno vola: scivola, dilegua, scompare, come la rena che dal pugno chiuso filtra giù attraverso le dita, e non lascia sul palmo che un senso spiacevole di vuoto. Ma, come della rena restano, nelle rughe della pelle, dei granellini sparsi, così anche del tempo che passa resta a noi la traccia».

Antonia Pozzi: chi era la poetessa in 5 parole

Istruzione

Nasce nel 1912 in una famiglia borghese di Milano e riceve un’istruzione completa e meticolosa; gli stimoli culturali e letterari sono significativi e tali da incidere sulla personalità di Antonia adolescente, che sceglierà di seguire gli studi classici. Proprio durante il percorso liceale, avviene un episodio che segnerà l’intera esistenza della ragazza: la storia d’amore con il professore di latino e greco Antonio Maria Cervi. In una lettera indirizzata alla nonna e datata 21 agosto 1928, così lo descrive: «Una gran fiamma dietro a una grata di nervi, un’anima purissima anelante a sempre maggior purezza, destinata purtroppo a inaridirsi sola, in una sete inesauribile di sapere, di perfezione, di luce». La relazione viene fortemente osteggiata dalla famiglia di lei; ciò produce una crepa che non si ricostituirà mai e che la condurrà verso un destino di frustrazione. Persino dopo la morte di Antonia, il padre cancellerà il nome del professore dai quaderni in cui si trovano le poesie a lui dedicate. L’amore, così intenso e contrastato, costituisce uno dei temi centrali del corpus poetico dell’autrice.

Natura

Un secondo aspetto che contraddistingue la produzione di Pozzi è il rifugio nella natura, nelle sue montagne, dove trova ristoro per scrivere e studiare. Questo amore nasce a partire dal 1918, quando inizia a trascorrere le vacanze nella provincia di Lecco. «Lontano, in un triangolo di verde, / il sole s’attardava. Avrei voluto / scattare, in uno slancio, a quella luce; / e sdraiarmi nel sole, e denudarmi, / perché il morente dio s’abbeverasse / del mio sangue. Poi restare, a notte, / stesa nel prato, con le vene vuote: / le stelle – a lapidare imbestialite / la mia carne disseccata, morta». Riusciamo a percepire il mondo come lei lo vede, lo sente… e non è forse questo il potere universale della letteratura? E così le lunghe passeggiate, arrampicate, nonché i paesaggi circostanti, diventano vivi, rigogliosi, nei diari dell’autrice. Leggendo le descrizioni, riusciamo a immergerci in un mondo tutto nuovo, quel mondo che è e sarà sempre suo e che va oltre l’esistenza terrena.

Fotografia

Non è soltanto nelle poesie, ma anche nelle fotografie che è possibile riscontrare un rapporto viscerale con l’ambiente circostante: «[…] Vorrei che chi, prima o poi, ritroverà le mie foto, e si soffermerà a guardarle, potesse sentire l’odore del fieno, il profumo della polenta rimestata per strada nei grandi paioli». L’attività fotografica è fervida e oggi ne abbiamo accesso grazie a raccolte curate dopo la morte dell’autrice. Come la penna, così l’occhio di Antonia Pozzi è uno specchio fedele della sua interiorità. Particolarmente toccante è la foto che ritrae due bambini di spalle, a Pasturo, nell’estate del 1938: sullo sfondo si ammirano le montagne tanto amate dall’autrice, sotto un cielo nuvoloso. È intitolata Angelus della sera e le sensazioni suscitate sanno di pace e malinconia, conforto e tensione, un ossimoro eterno che dilania la poetessa. Oggi, abbiamo accesso alla produzione fotografica grazie a Dino Formaggio, a cui Pozzi scrive: «Caro Dino, l’altro giorno hai detto che nelle fotografie si vede la mia anima: e allora eccotele. Perché l’unico fratello della mia anima sei tu e tutte le cose che mi sono state più care le voglio lasciare in eredità a te».

Poesia

Come definire, quindi, la parola-chiave che sottende tutto il resto: la poesia di Antonia Pozzi? È diretta, intensa, costituita da versi brevi che arrivano dritti al punto. Sono tante le correnti artistico-letterarie che influiscono sul suo stile: l’Ermetismo, l’Espressionismo… e poi, ancora, i molteplici viaggi, Sicilia, Grecia e Africa del Nord durante una crociera, poi Vienna e Venezia. Il fermento culturale degli anni tra le due guerre si sviluppa nei circoli letterari, ma le donne hanno difficile accesso, e devono sapersi «far accettare», rientrando in alcuni canoni specifici. Il circolo banfiano è uno tra questi, ma lo stesso Antonio Banfi, suo professore di filosofia, è critico nei confronti dei versi dell’autrice, che confessa di voler imparare a scrivere in prosa e tenta di abbandonare la poesia: fortunatamente, non lo farà: «E poi – se accadrà ch’io me ne vada – / resterà qualche cosa / di me / nel mio mondo – / resterà un’esile scìa di silenzio / in mezzo alle voci» (Novembre, Milano 29 ottobre 1930).

Suicidio

Un altro allievo di Banfi, Vittorio Sereni, poeta vissuto nel secolo scorso, nel componimento 3 dicembre così scrive: «All’ultimo tumulto dei binari / hai la tua pace, dove la città / in un volo di ponti e di viali / si getta alla campagna / e chi passa non sa / di te come tu non sai / degli echi delle caccie che ti sfiorano. / Pace forse è davvero la tua / e gli occhi che noi richiudemmo / per sempre ora riaperti / stupiscono / che ancora per noi / tu muoia un poco ogni anno / in questo giorno». Sereni conosce Antonia Pozzi durante il periodo universitario: entrambi frequentano la facoltà di Lettere e Filosofia e un profondo legame di stima li unisce, le parole citate descrivono l’eterno saluto all’amica, che si toglie la vita il 3 dicembre del 1938, in seguito a un miscuglio letale di barbiturici. I lasciti della fine fanno sì che i testi della poetessa vengano raccolti e pubblicati, permettendo ai lettori di avere accesso a una figura prodigiosa e tormentata.

Antonia Pozzi: i libri da leggere per approcciare questa poetessa

  • Diario di poesia, Prefazione di Eugenio Montale, A. Mondadori, Milano, 1964 (quarta edizione, con 176 poesie)
  • Diari, a cura di Onorina Dino e Alessandra Cenni, Scheiwiller, Milano, 1988
  • Soltanto in sogno. Lettere e fotografie per Dino Formaggio, a cura di Giuseppe Sandrini, Alba Pratalia, Verona, 2011
  • Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere (1919-1938), a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, Àncora, Milano, 2014

a cura di Giusi Chiofalo

Giusi Chiofalo

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