Ritratti di scrittori: Giorgio Manganelli, chi era? Scoprilo in 5 parole

 Ritratti di scrittori: Giorgio Manganelli, chi era? Scoprilo in 5 parole

Ritratto illustrato di Sonia De Nardo

«Intanto che sono uno scrittore lo sta dicendo lei. È un’illazione o una diffamazione […]».

Per un uomo – non chiamiamolo scrittore! – che ha scritto tantissimo, è utile lasciare che siano le sue stesse parole a dirci chi era e chi, soprattutto, non era. Giorgio Manganelli ha sperimentato moltissime forme, in molti casi cercando di ridefinirle, spesso anche di delegittimarle e di destituire, prima di tutto, sé stesso, l’autore: molte pagine teoriche a partire da La letteratura come menzogna accolgono formulazioni sulla letteratura in merito all’inutilità dell’autore; al testo inteso come spazio profondo, moltiplicato e pertanto infinito e al lettore come solo centro unificante di significato.

Riguardo alla straordinaria compiutezza che caratterizzò Manganelli sin dai primi scritti, Calvino scrisse che l’autore, il quale esordì dopo i quarant’anni, sembrava «uscito come Minerva dal cervello di Giove, maturo e armato di tutte le sue doti».

Giorgio Manganelli è stato un critico irriverente, uno scrittore prolifico, un giornalista ironico, un traduttore appassionato. Il suo curriculum, seppur vasto, non ci dice tuttavia abbastanza riguardo alla «sarabanda pirotecnica» della sua opera, come è stata definita. Proviamo a descriverlo attraverso cinque parole, cinque temi, che possano aiutare a orientarsi nella sua vastissima produzione.

 

Giorgio Manganelli: chi era lo scrittore in 5 parole

 

Madre

La figlia Lietta e parte della critica sono concordi nell’affermare quanto il rapporto conflittuale con la madre abbia segnato l’attività letteraria di Giorgio Manganelli, e anzi, addirittura, sembra averne determinato l’avvio: lo scrittore arrivò a raccontare che l’esordio letterario con Hilarotragoedia non avrebbe avuto luogo se non dopo la morte della madre, la quale in realtà era ancora in vita e pare avesse persino letto e apprezzato il libro. La pubblicazione dell’opera, peraltro, fece infuriare Carlo Emilio Gadda, il quale lesse nella descrizione manganelliana del «vipistrello materno», nella ricchezza linguistica e stilistica dell’opera, una possibile parodia di La cognizione del dolore, pubblicato nella sua forma finale poco tempo prima.

Come molte donne con le quali Manganelli intrecciò relazioni burrascose – la moglie Fausta Chiaruttini e Alda Merini sono gli esempi più noti –, anche la madre dello scrittore scriveva poesie; il conflitto con la figura materna rappresenta uno degli elementi fondanti della nevrosi che accompagnerà Manganelli fino ai suoi ultimi giorni, nonostante il tentativo di esplorarlo in un intenso percorso psicoanalitico.

Non è un caso che, nella riscrittura di Pinocchio che Manganelli opera in Pinocchio: un libro parallelo, la figura parentale che assume caratteristiche più capricciosamente vessatorie sia quella della Fata. Ogni apparizione di tale personaggio nel testo di Collodi sarà associata, nel commento di Manganelli, a temi e significati oscuri, e quando la Fata agirà da madre nei confronti del burattino, lo scrittore non perderà occasione di descriverla come «tentata dalla crudeltà», nel richiedere prove di cui non ha alcun bisogno per puro «sadismo educativo».

Pinocchio

Da uno scrittore affascinato dall’inganno quale Giorgio Manganelli è – uno dei suoi testi teorici fondamentali si intitola La letteratura come menzogna – ci si aspetterebbe che l’attrazione verso la figura di Pinocchio, che lo induce a speculare per molti anni su vari aspetti dell’opera di Collodi, possa essere legata anzitutto all’immagine più popolare del burattino: il suo essere il bugiardo per antonomasia. In realtà altri elementi assumono una posizione di maggiore rilievo all’interno del già citato Pinocchio: un libro parallelo. Anziché la propensione a mentire, la caratteristica di Pinocchio a cui Manganelli guarda con più interesse è piuttosto quella a disubbidire.

Le avventure di Pinocchio rappresenta un testo eternamente fertile di interpretazioni per tanti, ma per Manganelli diventa anche spazio in cui è «archeologicamente» – definizione che gli è molto cara – possibile rinvenire tracce di soggetti e temi vicini al suo immaginario.

La scrittura misteriosa di Collodi gli concede lo spazio giusto per l’impianto di un’operazione letteraria che rimane a metà tra il commento e la riscrittura, e finisce per generare una dimensione testuale il cui unico statuto possibile è la condizione di esistenza parallela rispetto al libro originale.

Ma Manganelli va ancora oltre e forza ulteriormente la struttura del testo, approfittando della propria posizione di parallelista per fermarsi a riflettere sulla natura del suo progetto. Nascono da questa necessità i momenti del tutto teorici accolti nel Libro parallelo, in cui continua quindi un’interrogazione profonda sul senso di fare letteratura, mai arrestata sin da La letteratura come menzogna.

Per Manganelli, dunque, la letteratura è luogo di inganno, nel quale l’autore smette di essere determinante mentre il testo eredita la sua centralità. Nel rifuggire la ricerca di significato, di impegno e soprattutto di mimesi del reale, egli volge lo sguardo al fantastico: ricongiunge così la sua ricerca a un libro e a un personaggio che tanta fascinazione hanno sempre esercitato su di lui.

Inferno

«Che l’uomo ha natura discenditiva». È questo l’assioma che Manganelli propone nell’incipit della sua prima opera, un assunto sviluppato nelle forme barocche di Hilarotragoedia. Ed è un refuso particolarmente invitante a trasformare la «nottataccia d’inverno» che apre l’amata fiaba di Collodi in una «nottataccia d’inferno» (lezione riportata in una delle edizioni critiche al tempo consultate dall’autore), e a fornire a Manganelli la chiave per penetrare il testo e renderlo altro.

A fronte di una lettura, anche superficiale, della sua produzione narrativa, è difficile non notare l’incidenza di termini che, come nel caso del refuso, si collochino nella sfera semantica dell’infero, dell’oscuro, del notturno e della morte.

Tema d’elezione, rintracciabile da Hilarotragoedia a La palude definitiva, l’infero è tappa necessaria dell’itinerario «adediretto» dell’esperienza umana descritta nell’opera di Manganelli; i temi notturni sono sempre declinati nei registri della sua immancabile ironia: anche quelli, infine, esorcizzati eppure mai rimossi o depotenziati.

Traduzione

Al momento del suo esordio nel panorama letterario italiano, Manganelli ha alle spalle numerosi anni trascorsi come insegnante, critico e traduttore di letteratura anglofona. Ancora oggi il suo nome viene associato alla traduzione dei racconti di Edgar A. Poe, ma Manganelli fu anche traduttore di Henry James, George G. Byron, Thomas S. Eliot e John Webster, fra gli altri. La traduzione dei Drammi celtici di William B. Yeats fu pubblicata postuma; andarono falliti allo stesso modo vari tentativi del giovane e appassionato Manganelli di far pubblicare altre traduzioni di Yeats: forse, racconta Viola Papetti «il mago Yeats non vuole essere accostato da quel discepolo troppo demoniaco».

Viaggi

Il 1974 inaugura la pubblicazione in volume di una serie di resoconti di viaggio: nelle vesti di collaboratore di importanti quotidiani nazionali, infatti, Manganelli si troverà in Cina, in India e nelle Filippine, nella penisola scandinava e in Islanda, in Pakistan. Dal viaggio nel continente asiatico nascerà Cina ed altri orienti, appunto nel 1974, mentre Esperimento con l’India, L’isola pianeta e altri settentrioni e L’infinita trama di Allah saranno raccolti in volume solo dopo la morte dell’autore.

Soltanto al 2018 risale la pubblicazione di Viaggio in Africa. Lo scritto racconta del viaggio compiuto negli anni Settanta nella parte orientale del continente africano: Manganelli è al seguito di un gruppo di lavoro inviato in Africa da una multinazionale, la quale aveva in progetto di costruire una grande strada che andasse dall’Egitto alla Tanzania. Il progetto non viene mai realizzato e il lavoro di Manganelli, assoldato come «cantore dell’impresa», di conseguenza mai pubblicato. Il suo punto di vista deve apparire, peraltro, troppo critico nei confronti dell’intervento imperialista dell’uomo occidentale in Africa, in quanto gli vengono richieste dal committente diverse modifiche.

In ogni spedizione, Manganelli è un viaggiatore poco eroico, piuttosto goffo; è un professore milanese in preda alle sue nevrosi che spesso si lascia sopraffare dall’incontro fisico con certi luoghi, dai quali si irradiano stereotipi prepotentemente radicati nell’immaginario occidentale. La sua prosa, che rimane densissima anche in questi reportage, si distende tuttavia in molti passaggi, mettendo da parte i funambolismi linguistici per lasciare spazio a momenti genuinamente contemplativi: Manganelli si mostra dissacrante e onesto, iconoclasta e spaurito nella sua corporeità impacciata, spesso ipocondriaco, ma sempre superbo nel suo intelletto irripetibile.

 

Giorgio Manganelli: i primi libri da leggere per conoscere questo scrittore

  • Hilarotragoedia, Adelphi, 1987
  • La palude definitiva, a cura di Ebe Flamini, Adelphi, 1991
  • Il rumore sottile della prosa, a cura di Paola Italia, Adelphi, 1994
  • Pinocchio: un libro parallelo, Adelphi, 2002
  • Cento piccoli romanzi fiume, Adelphi, 2016

 

A cura di Chiara Marino

Chiara Marino

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