E poi saremo salvi di Alessandra Carati: il romanzo dei sopravvissuti. Recensione

 E poi saremo salvi di Alessandra Carati: il romanzo dei sopravvissuti. Recensione

È l’esordio di Alessandra Carati, E poi saremo salvi, che si è aggiudicato un posto nella dozzina del premio Strega 2022 come candidato Mondadori: un romanzo sui conflitti storici e quelli emotivi, che, grazie a una scrittura ben equilibrata e mai banale, smentisce qualsiasi stereotipo circa l’immaturità delle opere prime.

 

E poi saremo salvi di Alessandra Carati: la trama del libro

Bosnia, aprile 1992. La guerra irrompe nella tranquillità abitudinaria della piccola Aida e la costringe a fuggire via, insieme alla madre incinta: è l’inizio di un viaggio terribile e spaventoso, nel tentativo di raggiungere il padre e mettersi in salvo. Fuori dal finestrino dell’autobus che dovrebbe condurle a destinazione c’è devastazione e sofferenza; dentro, le famiglie accalcate l’una sull’altra si stringono per farsi coraggio, intonando preghiere musulmane. Aida capisce poco di quello che accade, nella sua innocenza di bambina, e l’orrore si ricostruisce solo per immagini monche: un autobus finito in una scarpata, un bambino insanguinato, le grida d’aiuto rimaste inascoltate, i maschi strappati alle madri, due occhi gialli e un fucile nascosti nel buio. Sembra impossibile raggiungere la meta e allontanare quella tragedia che, fino a qualche giorno prima, appariva remota, eppure accade: Aida, Fatima e Damir si ritrovano per una coincidenza fortuita e oltrepassano il confine. È l’inizio di una nuova vita, il momento della ricostruzione.

 

Separazioni, tradimenti, schizofrenie

La narrazione procede, da questo punto in poi, per salti temporali: l’arrivo in Italia durante lo stesso 1992, insieme alla nascita di Ibro, il maschio a lungo desiderato; l’inizio degli studi e le prime esperienze adolescenziali, che colgono Aida impreparata; infine, la vita adulta. Mentre gli eventi si moltiplicano, la famiglia progressivamente si incrina, diventando un nucleo sempre più incomprensibile da cui la protagonista sente la necessità di emanciparsi. Ma la separazione, per chi ha attraversato una tragedia, ha inevitabilmente il significato di un tradimento, e così Aida diventa un’estranea, nel tentativo di reinventarsi e concedersi la possibilità di un’altra vita, lontana dai veti familiari e da quel mondo che, dopo esserle stato strappato improvvisamente in un pomeriggio di aprile, ormai non le appartiene più. Dopo aver abbandonato la casa d’origine, mantiene i contatti solo con il fratello Ibro, anche lui recalcitrante verso le aspettative che tutti ripongono in lui: un ragazzo che, crescendo, diventa sempre più scomposto e inafferrabile. Aida sa che qualcosa non va, in questo fratello che scappa di notte e ritorna pieno di lividi, e proprio per questo gli sta vicino, cercando di indovinare quella parola – schizofrenia – che, da sola, potrebbe sciogliere il mistero del dolore. La diagnosi, tuttavia, arriva quando sembra troppo tardi, e il fantasma della distruzione si insinua tra le pagine come un destino a cui è impossibile sottrarsi.

 

Un racconto del dolore elegante e misurato

La scrittura di Alessandra Carati in questo romanzo è elegante, misurata: non indugia nel dolore per compiacere chi legge, ma lo attraversa rispettosamente, lasciando al silenzio il compito di suggerire quei traumi di fronte ai quali il linguaggio è povero di parole. Un talento sicuramente degno di nota, per una scrittrice al suo esordio, a cui va aggiunta la capacità di costruire una storia solida e coinvolgente, costruita a partire da immagini sparse in cui si sintetizza tutto il senso del crollo, della ricostruzione, della cura e del legame affettivo.

«Mi sono avvicinata e l’ho chiamato piano: “Djedo” [Nonno]. […] Piangeva e ripeteva: “Oči moji mili” [Occhi miei adorati]. Eravamo i suoi nipoti amati, sopravvissuti alla guerra e alla povertà, immaginati nella lontananza. Era l’ultimo momento in cui poteva tenerci vicini.»

Al contrario di molte narrazioni che si confrontano con temi di un certo carico emotivo, E poi saremo salvi non cede mai alla semplificazione, ma si sofferma piuttosto su quelle contraddizioni insolvibili su cui si regge tutta la nostra precaria umanità. Non ci sono quindi giusti, in questo romanzo, né è possibile identificare con certezza vittime e carnefici: ciascuno è, alternatamente, entrambi – perché la salvezza esige un riscatto, e qualcuno deve inevitabilmente rimanere indietro.

 

Un romanzo sulle cose che perdiamo

E poi saremo salvi è un romanzo sulle cose che perdiamo durante questo viaggio intricatissimo e doloroso che è la nostra esistenza: quelle da cui siamo strappati via e quelle che, invece, consapevolmente abbandoniamo per conquistarci uno spazio nel mondo. Per Alessandra Carati, «nessuno è incolpevole» (La primavera hitleriana, E. Montale), nel tempo della narrazione come in quello della Storia, ma non per questo meno degno di comprensione o perdono. L’umanità che emerge in queste pagine è fatta anche di inciampi, e le cose che sembrano perdersi nel passato, in fondo, non vanno mai davvero via – come cicatrici sulla pelle, diventano parti della nostra inafferrabile identità: segni di riconoscimento per chi è sopravvissuto all’inondazione.

 

«Sorrideva. Il suo cuore conteneva tutti i fiumi, le montagne, le foglie, le nuvole, l’argento della nostra terra. E la nostra terra era così profonda che nessuno avrebbe potuto decifrarla».

 

a cura di Rebecca Molea

Rebecca Molea

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