Sara Gamberini: dal pensiero magico a Infinito Moonlit. L’intervista alla scrittrice

 Sara Gamberini: dal pensiero magico a Infinito Moonlit. L’intervista alla scrittrice

Sara Gamberini, nata a Verona e laureatasi in Lettere moderne, torna in libreria con un nuovo e atteso romanzo: Infinito Moonlit (Nn editore, 2022). Il suo primo romanzo, Maestoso è l’abbandono (Hacca, 2018), è stato salutato con favore dalla critica e dal pubblico diventando un caso editoriale, mentre per Topipittori, nel 2020, è uscito Quando il mondo era tutto azzurro, una favola pensata per giovani lettori. Con Infinito Moonlit, Sara Gamberini instaura un dialogo con il mondo sottile, con l’energia impalpabile che ci circonda, abbattendo, nella storia delle sue protagoniste, Teresa e Maria – rispettivamente madre e figlia – il confine che divide la realtà dalla spiritualità. È in una casa immersa nella natura che le protagoniste vedono dissiparsi le difficoltà che hanno segnato il loro percorso, è grazie al contatto magico che potranno ritrovare la strada verso sé stesse. Nell’intervista l’autrice ci spiega cosa significa pensare la magia!

 

Nei tuoi libri il confine tra il mondo reale e quello che spesso identifichiamo come immaginazione, il mondo sottile, è impercettibile. Nella storia c’è uno sconfinamento continuo tra i due piani. Da dove nasce l’interesse per indagare meglio il «mondo parallelo»?

È una ricerca a cui mi dedico da qualche tempo, ma non c’è un vero motivo per questa mia passione, è accaduto. Un giorno ho incontrato una persona che mi ha permesso di avvicinarmi a ciò che resta un po’ invisibile e che si nasconde tra le pieghe del reale, e la mia ricerca ha avuto inizio. Questa persona non è un maestro o un guru o un saggio, è solo un uomo molto speciale. Lui non sa di avermi favorito questo accesso, o forse sì, chissà. Non sono un’appassionata di new age, non cerco una via facile, anzi, dubito molto, e non mi lascio persuadere facilmente. Quindi è come se si fosse all’improvviso aperto un vecchio cancello su un giardino bellissimo e molto misterioso. Impossibile non crederci, e impossibile non entrare. Ma io non avevo mai cercato quel luogo, non sapevo nemmeno che esistesse. Un giorno l’ho visto, così. Il modo per connettersi con i mondi sottili credo abbia molto a che fare con l’amore. È una connessione che non avviene attraverso la mente, i progetti, i propositi razionali – cose che non possono raggiungere l’anima –, è di un’altra specie.

Se pensi alla tua scrittura, che definizione daresti della spiritualità o meglio di ciò che tu spesso definisci «pensiero magico»?

C’è un proliferare di iniziazioni e di corsi e di ritiri sciamanici nel bosco (lo scrivo con ironia affettuosa, so che ci sono anche percorsi validi), che spesso si occupano della parte più superficiale dell’anima, del cuore; io invece sono dell’idea che l’invisibile, le dimensioni sottili siano più misteriose, segrete, più difficili da avvicinare. E anche da definire. Richiedono una certa dedizione e molta, molta serietà. Ad esempio per alcuni percorsi un po’ magici è importante studiare, certo, e sentire, presagire, desiderare, ma anche possedere una vocazione, un talento, e avere la possibilità di accedere a sapienze antiche che difficilmente si trovano nei manuali. Mi piacerebbe restituire un po’ di serietà e di riconoscimento a queste antiche tradizioni, a tutto ciò che nei millenni gli esseri umani hanno studiato e scoperto, conosciuto, contemplato. È un piccolo patrimonio da custodire, al pari di tutti gli altri. Veniamo da lì.

Quando scrivi cosa conta di più per te: la razionalità o l’impulso creativo?

Gli editor con cui ho lavorato potranno testimoniare: la razionalità non è il mio forte nella scrittura. Eppure, dopo l’ispirazione che mi aiuta molto a scrivere, interviene una forma di rigore a me del tutto sconosciuta prima, lavoro alle frasi con grande intenzione, ritorno su una pagina molte volte.

In Infinito Moonlit, il personaggio di Maria, la figlia, è misterioso. Credi che Maria, o tua figlia, ti abbiano insegnato qualcosa a proposito dell’invisibile? Maria è un personaggio nato dalla necessità di comunicare con una parte di te più profonda?

Infinito Moonlit è un romanzo che ha preso spunto da alcuni aspetti della mia vita ma che non rappresenta la mia vita. Ad esempio non ho mai incontrato Giovanni (il tiepido fidanzato di Teresa [N.d.R.]) nella realtà, e mia figlia non dialoga con le entità nel bosco. Non ancora, almeno. Maria per certi versi mi somiglia, e anche Teresa, sua madre. È un po’ come nei sogni, ogni personaggio mi rappresenta in parte. L’insegnamento che ritengo più prezioso per me si trova in un piccolo ma importante passaggio all’interno della storia: quando le insegnanti sostengono che Maria indugi nel pensiero magico un po’ troppo a lungo, fuori tempo, e Moussa – il padre di Maria, di origine senegalese e di fede musulmana, ma intimamente animista –, rimane perplesso dopo il colloquio proprio perché lui indugia da sempre nel pensiero magico, e non ha certo intenzione di smettere di farlo. È interessante guardare a come crediamo ciecamente in una teoria, in un’interpretazione, in un’idea tra tante, che finisce per svanire non appena adottiamo un altro punto di vista.

La tua scrittura sembra un incontro tra mondi: quello di Teresa e Moussa, razionalità e animismo; quello tra generazioni, Teresa e Maria, che sono un ponte tra qui e l’oltre, tra l’evidente e il nascosto, il presente e il passato. È effettivamente così?

Sì, in Infinito Moonlit ho voluto guardare alle relazioni solo dal punto di vista del destino. E ho voluto mostrare come uno stesso fatto possa avere infinite interpretazioni. Moussa, se accade qualcosa di spiacevole, contempla la possibilità che siano intervenuti gli spiriti. Le insegnanti danno le loro interpretazioni. E lo stesso fa la psicoanalista di Teresa. E Teresa. Nei mondi sottili lo stesso fatto ha un significato diverso. A volte capita che ci sentiamo impauriti, l’insensatezza e l’imprevedibilità del mondo ci sopraffanno, e proviamo a cercare un numero soddisfacente di teorie e di ragioni che assicurino un significato lineare delle cose, ma non sempre il senso di un accadimento è l’aspetto più importante di quell’accadimento.

«Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è starci seduto vicino e sapere che non lo potrai avere mai», così ha scritto Gabriel García Márquez, sei d’accordo? Nel tuo libro c’è un amore non corrisposto che hai definito «una forma di amore altissima». Che cosa intendi?

Non è tanto l’amore non corrisposto a rappresentare una forma altissima d’amore, quanto la forza che Teresa trova, a un certo punto, di continuare ad amare qualcuno che non la ama abbastanza. La forza di dare dignità al suo amore, al suo sentire. L’amore univoco, a vuoto, viene spesso bistrattato. Gli amici, i familiari, quando qualcuno ti lascia o non ti ama, cercano delle spiegazioni o accusano chi non ti vuole più di essere un egoista, superficiale, crudele. Come se l’amore avesse dignità solo se ci soddisfa, altrimenti diventa una malattia, qualcosa da eliminare. Invece ha un senso avere cura dell’amore che resiste, a qualunque costo. L’amore che non produce relazioni sensate a volte serve a elevarsi, ad esempio, a imparare ad amare finalmente qualcuno che non siamo noi. All’improvviso, vicino al bosco, a Teresa è sembrato così naturale provare amore. Giovanni nonostante tutto, riesce a trovare un equilibrio per non dover smettere in fretta di amare, anche se non riceve niente in cambio.

C’è chi sostiene che siano le anime dei bambini a scegliere la famiglia in cui nascere e i genitori con cui crescere. Ammesso che sia vero, secondo te perché Maria sceglie Teresa?

Questo lo si scopre proprio alla fine del romanzo, quando viene fatta una piccola rivelazione che permetterà di capire quanto in realtà Maria e Teresa si somiglino.

Inoltre, mi piaceva occuparmi di questo luogo comune che vede con frequenza ruoli invertiti tra genitori e figli; mi pare accada quando si guarda a una storia, a una relazione, avendo in testa già mille interpretazioni, mille pregiudizi. Anche se a prima vista potrebbe sembrare il contrario, in realtà è Teresa a proteggere Maria, sempre, ed è lei a offrire alla bambina la possibilità di scoprire a pieno la sua natura, la sua vocazione, il suo posto nel mondo. Credo sia un grande dono, specie se arriva da un genitore, perché dimostra che gli adulti possono vederti, riconoscerti ed essere dalla tua parte. Possono riuscire a difenderti abbastanza, come dirà Teresa alla fine.

 

A cura di Paola Zoppi

Blam

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