Un amore di Sara Mesa: il desiderio come esercizio di traduzione impossibile. Recensione

 Un amore di Sara Mesa: il desiderio come esercizio di traduzione impossibile. Recensione

Nell’etimo delle parole si nasconde spesso un significato più profondo di quello che a prima vista si potrebbe intuire. Desiderio, per esempio, deriva dal latino desiderare, un composto formato da una particella privativa (de) e il sostantivo sidus, che in italiano si può rendere come «stella». Mancanza di stelle, in altre parole: il desiderio era, per i latini, ciò che nasceva dall’assenza e prendeva forma nella lontananza.

Al centro di Un amore di Sara Mesa – pubblicato da La Nuova Frontiera e di recente candidato al premio Strega Europeo – c’è esattamente questa stessa tensione verso qualcosa che rimane distante e inafferrabile, al di là di tutti i tentativi messi in atto per avvicinarlo. La scrittura è confessione di questa impossibilità e, al tempo stesso, anelito a superarla. Ma l’amore, così come la traduzione, rimangono misteri: enigmi il cui fascino consiste nell’impossibilità di decifrarli compiutamente.

 

Un amore di Sara Mesa: la trama del libro

La protagonista del libro, Nat, è una ragazza in fuga: quando la incontriamo nel romanzo si è da poco trasferita in un piccolissimo centro rurale della Spagna per riconquistare una sorta di libertà – una stanza tutta per sé – che le conceda il raccoglimento necessario a svolgere il mestiere di traduttrice. La Escapa, però, non si rivela un posto accogliente: i vicini la guardano con diffidenza, la casa in cui vive cade a pezzi e il proprietario che gliel’affitta si rivolge a lei con aggressività e invadenza, rivelando una certa dose di misoginia repressa: «Dice piano – ma Nat lo sente perfettamente – che è stufo delle donne. Più dai, dice, peggio è. Sono tutte pazze, delle maniache».

La traduzione, intanto, procede affannosamente. Le parole resistono a Nat, assumono contorni sfuggenti e imprecisi. A un certo punto diventano un’ossessione: una voce martellante che le risuona nella testa di continuo, che l’accompagna mentre fa la spesa, mentre accompagna qualcuno alla porta, mentre osserva l’uomo che le ha appena fatto una proposta sessuale andare via. Le parole sono amiche e nemiche, colonna sonora e rumore di sottofondo. Come l’amore.

 

L’amore come istante privilegiato

Per un lettore italiano, il titolo del romanzo di Sara Mesa richiama immediatamente l’omonimo libro di Buzzati: un racconto delirante e vorticoso su un amore, appunto, che rimane per lo più vagheggiato e osservato a distanza; un amore non convenzionale, tra l’altro, che lega un uomo borghese a una prostituta in un rapporto necessario e totalizzante. Nel libro di Sara Mesa avviene qualcosa di simile: c’è una donna, Nat, che fino a un certo punto della narrazione conduce una vita assolutamente ordinaria, e poi c’è un pomeriggio – un pomeriggio preciso, che ricorderà per sempre: «Nel suo ricordo risuonerà una parola – droit – e una frase – le droit de sauver» – che mette un punto e inaugura una nuova storia, l’unica storia, come direbbe Julian Barnes: «Pensa che un solo istante – per esempio, quell’istante – basti a giustificare una vita intera».

 

Il desiderio come distanza obbligata

L’amore che ne deriva – imprevisto, tormentato, assoluto – è la risposta a un interrogativo inconsapevole che, pure, era lì, sottopelle e pulsante. Da quel momento, Nat si lascia travolgere dalla passione: osserva l’uomo che ha accanto, cerca di indovinarne i pensieri, lo prova; ripassa ossessivamente i suoi gesti, le circostanze del loro incontro, i suoi spostamenti e i suoi sguardi. Andreas però le sfugge di continuo: non si lascia scoprire, non tradisce i suoi segreti; resiste a tutti i suoi tentativi di interpretazione come i testi che sta traducendo, e, come questi ultimi, confina Nat nella posizione di chi può solo limitarsi a guardare a distanza l’oggetto del suo desiderio. La sua tensione inconcludente è obbligata da ciò che prova, da questa fondamentale e inappellabile condizione di distanza che soggiace al concetto stesso di desiderio, appunto: «La fatica amorosa è questo: una fame che non viene saziata, un amore che rimane aperto […]. Desiderio dell’essere assente e desiderio dell’essere presente: il languore sovrappone i due desideri, pone l’assenza nella presenza» (Frammenti di un discorso amoroso, Roland Barthes).

 

Amore e lingua: due territori nell’ombra

In questo senso, Un amore è anzitutto un libro sulle cose che ci sfuggono: su quei territori che rimangono per necessità inaccessibili perché altri, nonostante tutti i tentativi che possono essere messi in campo per forzarne l’entrata. L’amore e il linguaggio, nella vita e nel romanzo, abitano la stessa ombra e traggono di lì la loro fascinazione, perché ciò che rimane solo vagamente intuito porta ancora con sé il guizzo della possibilità, dell’inaspettato: di ciò che potremmo essere se. Ed è questo spazio tra l’eventualità e il reale a tormentare Nat, che si ostina a mettere insieme i pezzi, a dargli un senso, provarne un altro, ricominciare da capo. Quasi che amare fosse un esercizio di traduzione impossibile – l’approssimazione al significato di un linguaggio sconosciuto che coincide con l’oggetto del nostro desiderio.

 

La scrittura di Sara Mesa in Un amore

Un amore di Sara Mesa è un romanzo sulle contraddizioni dei rapporti umani, siano essi d’amore, d’amicizia, di vicinato. Ma è anche un romanzo su cosa significhi essere donna in una cultura che respinge la possibilità attiva del desiderio femminile e che vede in questa manifestazione un errore di sistema, una sbavatura da stigmatizzare. Con uno stile diretto e coinciso, Sara Mesa conduce il lettore lungo quel percorso stentato che porta dalla cattività all’emancipazione, alla riconquista di sé. E lo fa senza svolazzi retorici, ma con piena lucidità: non a caso ha raggiunto la finale del premio Strega Europeo.

 

A cura di Rebecca Molea

Rebecca Molea

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