Randagi di Marco Amerighi: capire se stessi per non scomparire. Recensione

 Randagi di Marco Amerighi: capire se stessi per non scomparire. Recensione

Che cos’è Randagi, la seconda opera dello scrittore Marco Amerighi? Un romanzo di formazione? Un romanzo generazionale dall’età dell’adolescenza e della prima maturità? Un romanzo sui rapporti familiari complicati, sugli amori impossibili o sugli amici che ci salvano la vita? Randagi, edito da Bollati Boringhieri, è questo e molto altro. 

Randagi di Marco Amerighi: la trama del libro 

Il testo racconta la vita di Pietro Benati che, nato e cresciuto all’ombra della Torre di Pisa, viene al mondo con una sorta di spada di Damocle che gli pende sulla testa, una “maledizione” che vorrebbe gli uomini della famiglia sempre pronti a scomparire, a scappare, a essere assenti in un modo o nell’altro. È capitato al nonno e poi al padre, e Pietro crede che toccherà anche a lui. Nel frattempo, però, la sua vita va avanti in quella tranquilla e quotidiana normalità di chi sembra non eccellere mai: nella musica, negli studi, nei rapporti con le ragazze, ogni suo passo sembra destinato a naufragare in malo modo. Ma questo romanzo ci ricorda che, anche e soprattutto nelle “vite come tante”, non mancano i grandi stravolgimenti, gli incontri che cambiano l’esistenza, la morte scampata come per miracolo, la Storia vista da vicino. Nel raccontare i primi trent’anni di vita di Pietro Benati, Amerighi tesse, con una scrittura mai artificiosa, la trama di un racconto che coinvolge il lettore anche quando sembra divagare. 

Il parterre di personaggi in Randagi

La famiglia di Pietro e i suoi amici, Laurent, Dora e Andrei in primis, reggono le fila della storia insieme al protagonista ma l’intero romanzo è disseminato di personaggi secondari che, se non sono fondamentali ai fini della trama, lo rendono comunque vivo, vero, sincero. Lo fanno assomigliare alla vita reale. 

Fra tutti i personaggi che costellano le pagine di Randagi, quello di Tommaso Benati merita un posto d’onore. Se Pietro arranca nella “mediocrità”, il fratello maggiore, che nel libro viene sempre chiamato T, splende invece di luce propria in ogni campo: nello sport, a scuola, con gli amici e con le donne. Un personaggio così brillante da sembrare una sorta di Seymour Levov in salsa toscana. Tommaso è il fratello grande in tutte le accezioni, il modello, il punto di riferimento costante anche quando non c’è. 

La sua assenza è presenza assoluta: «C’era una sola cosa di cui Pietro aveva bisogno per resistere nello sconforto che dalla pelle sentiva filtrare nel suo corpo e immiserirlo ogni minuto di più, ed era la persona a cui si sforzava di non pensare da più di due anni»

La famiglia Benati, oltre che da T, è composta dal padre Berto detto “Il Mutilo”, truffatore dal passato torbido e dal presente in manette, dalla madre Tiziana, ipocondriaca convinta di dover attirare su di sé quanto di brutto debba accadere ai suoi cari, e dai nonni. E poi ci sono gli amici: Andrei a la muerte, attempato musicista dai modi strani, il più classico dei personaggi di provincia e il più leale fra i compagni di vita, Dora, che combatte con i suoi fantasmi e le sue tendenze masochiste, alla continua ricerca d’amore, e Laurent Morin, il coinquilino sopra le righe. I momenti più assurdi della storia sono riconducibili a lui ma il Laurent non è un personaggio macchietta, è anzi forse il più riuscito dei comprimari. Nel suo folle modo di vivere, è il più lucido, il più centrato dei caratteri.   

E poi, appunto, ci sono tutti gli altri personaggi che Pietro e i suoi sodali incontrano lungo la via, dal professore universitario alla madre di Dora, dall’agente che gli procura il provino a Londra fino a Melany, la moglie americana di T. Tutti ingranaggi di un meccanismo che Amerighi sa ben oliare.  

Pietro Benati, uno di noi

In tutti noi, inutile negarlo, c’è un po’ di Pietro Benati. Musicista talentuoso che manda in frantumi la grande occasione del provino dei sogni, studente diligente e preparato ma non eccellente al pari di chi ambisce al dottorato insieme a lui, esteticamente poco avvenente con quel codino fuori moda e con poca dimestichezza con le donne, fratello minore e con molto meno potenziale di T, recluso in casa dipendente da un videogioco, Pietro sembra sempre destinato a scomparire. Picchiato, maltrattato, abbandonato, solo a 28 anni riesce a fare pace con se stesso e con il passato, imparando a guardarsi dentro. Fino a quel momento sono solo gli altri a capirlo davvero. 

«Di cosa avrei bisogno?»

Dora gli cercò la mano ma Pietro la tirò via e scosse la testa. 

«Di passare una notte con te ogni tre anni? In nome di quello che siamo stati?» 

Avrebbe voluto rispondergli che non era il passato che le interessava, ma il futuro. Avrebbe voluto rispondergli che se il destino le avesse concesso un’altra possibilità per essere felice, be’, allora forse, anzi no, sicuramente, quella possibilità se la sarebbe giocata con qualcuno capace di accettarla così com’era, qualcuno che non le avrebbe mai chiesto di diventare un’altra persona. Qualcuno come Pietro. Ma non gli andava di dirglielo lì, con quegli sconosciuti che la fissavano (…). Pietro, a ogni modo, ci mise un secondo a farle passare qualunque desiderio di cercare una risposta. «Non siamo stati niente».

a cura di Barbara Rossi

Barbara Rossi

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