Con passi giapponesi di Patrizia Cavalli: il racconto poetico della quotidianità umana. Recensione

 Con passi giapponesi di Patrizia Cavalli: il racconto poetico della quotidianità umana. Recensione

Esistono testi che non possono essere perfettamente inquadrati in una divisione prosa-poesia: Con passi giapponesi, edito Einaudi, è uno di questi. Il motivo è piuttosto lampante: Patrizia Cavalli, autrice di questa raccolta, è una delle poetesse italiane più rilevanti nel contesto contemporaneo. La sua tecnica di scrittura – capace di mescolare sapientemente le forme metriche classiche e un linguaggio immediato, quasi quotidiano – l’ha resa una delle voci più lette e amate dagli appassionati di lirica e non. E forse è per questo che il suo primo testo in prosa è finito nella selezione finale 2020 di uno dei premi più prestigiosi dell’editoria italiana: il Premio Campiello.

Cos’è Con Passi giapponesi: trama (se c’è) del libro di Patrizia Cavalli 

Con passi giapponesi non è un romanzo, ma una raccolta di frammenti fatta di riflessioni, racconti, spunti quotidiani che si allargano sino a diventare meditazioni universali. L’occhio di Patrizia Cavalli è lo stesso della poetessa che nota dettagli insignificanti per intercettare, a partire da quelli, la bellezza che si nasconde nei segreti, nei silenzi, negli angoli del quotidiano. Ed è per questo che, in questo piccolo libriccino, vengono riservate intere pagine alla descrizione di un semplice mal di testa o al racconto del complessissimo microcosmo umano formato dalle gattare di quartiere. Leggere Patrizia Cavalli significa tuffarsi nell’esperienza umana, quella di tutti i giorni: il mercato di paese, le passeggiate in campagna, i complicati percorsi che si possono tracciare con le dita sul corpo di chi si ama. Ma la voce che guida il lettore non è frettolosa o approssimativa, anzi: sembra suggerire un bisogno di lentezza, di raccoglimento. Un bisogno che, nell’era della velocità e della frenesia, non può che essere un marchio di distinzione – una solitudine lussuosa.

Uno sguardo appartato

Non a caso, il testo si apre con un racconto dal sapore volutamente arcaico e labirintico, memore del linguaggio della poesia. La voce narrante, fiera e solitaria, si rappresenta come la sacerdotessa di un culto tutto personale, intriso di abbandono e di una vedovanza ricercata:

in lei primeggiava l’attesa, il sogno del lutto. Sognava vedovanze assolute. […]una cosa soltanto la convinceva, l’abbandono – perché nell’abbandono la lusingava una determinazione a lei contraria che subito rendeva i fuggiaschi quanto di più amabile fosse mai comparso sulla terra

La solitudine di cui questo racconto si fa portavoce è il marchio più esibito di un modo di sentire appartato, singolare: lo stesso che guida tutta la narrazione e che rappresenta l’unico vero requisito per l’esercizio della lirica. È da questa prospettiva altra che si svela il senso di una vita attaccata alla memoria, ai sogni preziosi e intimi di cui sono impregnati i tessuti della nostra esistenza. E infatti, non a caso, tra una pagina e l’altra fa anche capolino un bizzarro ladro di lenzuola, che tenta, a modo suo, di preservare le sue notti e i suoi umori dallo sguardo indiscreto altrui:

L’idea che qualcosa che aveva toccato il corpo nel sonno, che lo aveva avvolto e che ne aveva assorbito gli umori nelle ore dei sogni e delle paure, quando dalla pelle fuggivano sostanze misteriose, gli scarichi delle debolezze e delle visioni, potesse in qualche modo non appartenergli, essere cancellato da una lavatrice, confondersi con le esplosioni chimiche degli altri, era per lui intollerabile.

La scrittura come riflessione interiore

Le parole diventano, attraverso la penna di Patrizia Cavalli, catalogazione di un’esperienza umana che troppo spesso sembra sfuggente, aerea, scontata. Scrivere significa quindi fermare il tempo, darsi una forma, interpretare un sentimento ramingo. Ma in questa riflessione non ci sono verità, né definizioni nette. Ci sono, piuttosto, i chiaroscuri di cui si ammanta l’esistenza umana, le ambiguità del desiderio, la riflessione che è pronta a correggersi, talvolta a contraddirsi. E forse, in fondo, questa indagine non ricerca approdi, ma nuove interrogazioni – in un continuo, inarrestabile, flusso di coscienza.

a cura di Rebecca Molea 

Rebecca Molea

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