Waste: una rivista da buttare. Quando dal “pattume” nasce una bella realtà letteraria

 Waste: una rivista da buttare. Quando dal “pattume” nasce una bella realtà letteraria

Edoardo, Beatrice, Alessio, Lorenzo, Vincenzo, Andrea e Andrea. E direte: chi sono? Sette persone che stanno contribuendo (anche bene) all’espansione della cultura. La rivista si chiama Waste e pubblica racconti, poesie e tutto quello che, prima di essere completamente buttato, potrebbe avere un’ultima occasione letteraria, magari quella giusta.

Andiamo a conoscerli!

***Attenzione***
Stavolta non basta un caffè, ma un lungo tè!

 

Cos’è Rivista Waste e come nasce il progetto?

 

Edoardo Gazzoni: Waste è definire un punto di vista. Una proposta di stile. Senza troppi ma e se.

Beatrice Nicolini:

Beatrice Nicolini_illustrazione

 

 

Alessio Simoncini: Waste è un sito internet dove pubblichiamo materiale letterario con delle ottime illustrazioni, questa è la definizione minima più corretta, credo. Cercando di ampliare un po’ direi che Waste è un collettivo di persone che condividono un manifesto volutamente ambiguo e interpretabile.

Lorenzo Bianchi: Non trovo le parole per rispondere a questa domanda. Però intanto Rivista Waste è nata. Sarà bello starle vicino e vedere come se la cava.

(Scherzo; il punto è che: We Await Silent Trystero’s Empire)

Vincenzo Moggia: Mi piace pensarla come un laboratorio di creatività in divenire. Nasce da un’intuizione di Lorenzo Bianchi.

 Andrea Innocenti: Waste è un punto di approdo per tutti coloro che vorrebbero condividere quello che può uscire dalla loro penna (e quindi dalla loro testa) tramite una formula schietta e semplice, senza troppi fronzoli: scrivi, ce lo invii e se ci piace lo pubblichiamo (con copertina annessa pure). Più semplice di così si muore. E la vera bellezza di tutto questo è che è aperto a chiunque possegga un foglio e una penna. E un’idea. 

Andrea Stendardi: Waste è una rivista online dal carattere letterario, con un format che propone la pubblicazione dei contributi degli scrittori accompagnati da un’illustrazione grafica prodotta dalla redazione.

 

Chi c’è dietro e quali ruoli avete?

 

Edoardo Gazzoni: Ci sono due anime: illustratori e scrittori. Il dialogo tra i due porta a una sintesi, ed è tramite questa sintesi che penso si possa guardare al futuro, espressivamente parlando.

Beatrice Nicolini:

Beatrice Nicolini_illustrazione_2

 

Alessio Simoncini: Be’, sì. Come dice Edo.

 Lorenzo Bianchi: Illustratori e scrittori. Alcuni illustratori (che riescono a fare più cose in contemporanea) scrivono anche. Gli scrittori, invece, com’è noto sono impacciati quindi non sanno (quasi mai) disegnare. A meno che non siano già illustratori prima di essere scrittori, e a quel punto si torna al discorso del multitasking.

 Vincenzo Moggia: Siamo un gruppo di scrittori e disegnatori, nel mio specifico Lorenzo mi ha coinvolto soprattutto per la sezione di poesia che a breve apriremo.

Andrea Innocenti: Waste è un insieme di persone a cui piace scrivere e persone a cui piace disegnare che hanno deciso di spendere del tempo insieme per un progetto.

Andrea Stendardi: Non credo si possa parlare di ruoli all’interno di Waste. Almeno non per quanto riguarda l’organizzazione e i processi decisionali attorno alle pubblicazioni, per esempio. Certo esiste la doppia natura, letteraria e grafica, e alla fine ogni individualità di redazione ricade in uno dei due insiemi; però la cosa bella è che non c’è un sistema piramidale e il dialogo e il confronto si possono sviluppare attorno a qualsiasi tematica, anche cruciale, in senso orizzontale appunto. Tutto viene deciso in maniera condivisa dagli altri partecipanti al progetto, siamo un gruppo di persone appassionate, che investono parte del loro tempo in questa idea, e questo è molto bello.

 

Perché è una “rivista da buttare” (come recita il vostro claim)?

 

Edoardo Gazzoni: Perché ci sono fin troppe riviste da tenere, soprattutto d’occhio.

Beatrice Nicolini:

Beatrice Nicolini_illustrazione_3

 

Alessio Simoncini: Abbiamo scelto il nome Waste prima di decidere l’indirizzo della rivista, non abbiamo fatto altro che sviluppare un’identità coerente con il nome che ci eravamo dati. Credo che derivi tutto dal desiderio di seguire precisi criteri antieconomici, dal tentativo di rifuggire da quella tendenza manichea che divide il mondo in ciò che è mainstream e in ciò che è alternativo, ignorando, spesso, che ormai anche la retorica antisistema ha una precisa nicchia di mercato. Potremmo quasi dire che la dimensione che un tempo, forse, avremmo chiamato underground ormai è canonizzata, impacchettata e venduta al chilo. Avendo chiaro tutto questo, e dopo un’accurata analisi del mondo delle riviste, ci siamo resi conto che la sola collocazione che rispecchiasse a pieno la nostra vocazione fosse il cestino della monnezza. Potrebbe essere per questo, ma non ci giurerei. Credo ci sia anche una grande dose di paraculaggine.

Lorenzo Bianchi: Perché alla fine tutta la carta prima o poi finisce nel cestino. La materia si disfa e si ricrea. Quello che resta sono le idee, o almeno credo. Spero.

Vincenzo Moggia: Vorremmo che il nostro spazio ospitasse racconti, poesie e disegni che rappresentano almeno in qualche loro elemento una deviazione dallo standard e dalla ‘normalità’ o ‘normatività’, in campo artistico e non solo. Chi ha un gusto che si è formato su questa normalità tenderà, a impulso, a considerare buona parte di queste deviazioni come ‘da buttare’ – ma spesso, e la storia lo insegna (un esempio su tutti: gli Impressionisti al Salon des Refusés) è il luogo dove si nascondono i fermenti più innovativi e interessanti.

Andrea Innocenti: Sono entrato nel progetto quando questo aveva già un nome. La mia interpretazione personale del termine “Waste” è che se proprio vuoi buttare via un tuo scritto, dagli un’ultima possibilità e dallo a noi.

Andrea Stendardi: Quando sono entrato a far parte del progetto “Waste” come illustratore la rivista portava già questo nome; non ho partecipato alle prime fasi di sviluppo di questa idea ma ho sempre apprezzato e condiviso da subito sia lo spirito che appunto il nome.

Come tutti, credo, lo trovo molto evocativo e d’effetto soprattutto per la sua connotazione. Mi ha sempre dato l’idea di qualcosa da cui nessuno potesse sentirsi escluso, qualcosa che potesse essere un punto di partenza per molti (che magari avrebbero buttato altrimenti i loro sforzi nel cestino). Dalla partecipazione può nascere solo qualcosa di positivo, così come è possibile riciclare una buona idea salvandola dall’alternativa della spazzatura.

 

Quali caratteristiche devono avere i racconti per essere pubblicati?

 

Edoardo Gazzoni: La chiave di volta perché un racconto sia adatto a Waste è che non trasudi ipocrisia dalle pagine. Molti, esprimendosi, pongono delle resistenze. Riempiono pagine e pagine di atti mancati e si vergognano di dire quello che vorrebbero. C’è troppo lettore ideale e poca intenzione. Ecco, se inverti le proporzioni, sei adatto a Waste.

 

Beatrice Nicolini:

Beatrice Nicolini_illustrazione_4

 

Alessio Simoncini: Credo che ognuno di noi, seppur con una visione comune di rivista, abbia idee diverse sia di racconto ideale che di racconto impubblicabile. Per quanto mi riguarda, se c’è coerenza con il nostro manifesto, un contenuto non deprecabile, una prosa comprensibile o anche uno solo di questi aspetti, il racconto è da salvare. Poi, se riteniamo che dei passaggi debbano essere modificati ne parliamo con l’autore e cerchiamo di arrivare a una sintesi che soddisfi entrambi. Questo fa sì che se un racconto è stato scritto appositamente per Waste difficilmente viene scartato; logicamente, il discorso è valido anche al contrario, se ci accorgiamo, e spesso lo facciamo, che un racconto è stato inviato per soddisfare la smania di essere pubblicati difficilmente lo prendiamo in considerazione.

Lorenzo Bianchi: Possedere uno sguardo pulsante; la materia letteraria deve scaturire da cacca, intestino, ossa, carne e spirito. Non poniamo canoni di genere, preferiamo essere vaghi di proposito e lasciarci sorprendere dalla roba che ci arriva. Se annusiamo (anche da lontano) la smania ossessiva di pubblicazione scartiamo il materiale al volo.

Vincenzo Moggia: Avere uno stile proprio e un senso, anche dal punto di vista formale; purché, come dicevo prima, sia un senso abbastanza deviato.

Andre Innocenti: Non ci sono limitazioni di genere, ma di intenzione. I racconti che vengono pubblicati possono essere tante cose, ma sicuramente non devono essere ruffiani.

Andrea Stendardi: Dovessi fare un appello agli scrittori direi: esprimetevi. Non pensate troppo alla forma o allo stile di scrittura che non sono parametri importanti dal nostro punto di vista. Quello che conta è scrivere senza ipocrisia, moralismo, presunzione; senza parlare per sentito dire, imitando o forzando espressioni o stili, siate autentici e schizzate voi stessi sulla carta. Agli inizi di Waste anche noi illustratori ci domandavamo quale potesse essere il tono giusto delle illustrazioni, quale lo stile, quali i colori, i soggetti, le atmosfere. Solo quando abbiamo smesso di cercare di individuare un prototipo di illustrazione sono venute fuori le illustrazioni di Waste.

 

Quando un racconto può essere definito immondizia e quando è riciclabile?

 

Edoardo Gazzoni: L’immondizia è data dal pudore che crea maniera per insincerità. Qualunque racconto scritto male, ma schietto, si può salvare.

Beatrice Nicolini:

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Alessio Simoncini: Un racconto è riciclabile quando è stampato su materiali che lo sono, direi.

Lorenzo Bianchi: Si ricicla dall’immondizia, ma la materia per essere riciclabile deve possedere un’anima; se sprizza disagio da ogni poro si può salvare. Ciò che sembra troppo confezionato viene scartato: i prodotti raffinati si espongono nelle vetrine, non si gettano nell’immondizia.

Vincenzo Moggia: Si va sempre di più verso il 100% riciclabile, e questo è ancora più vero nell’arte. Basta trovare il bidone giusto.

Andrea Innocenti: Credo che quando un racconto non stia comunicando proprio un bel niente allora lì è immondizia. Non è facile raggiungere un vertice così alto, ma capita. Non esiste però nessuna regola nell’universo che ti impedisca di scrivere qualcos’altro, e siccome abbiamo un grosso margine di riciclaggio, saremo ben lieti di pubblicare un lavoro migliore. Come calibro per capire dove sta l’immondizia e dove sta il riciclabile è importante concentrarsi non tanto su come dovrebbe essere un racconto (lì il campo è immenso) ma piuttosto come non devrebbe essere (in quel caso è molto più semplice).

Andrea Stendardi: È immondo ciò che è conforme e creato per piacere . Riciclabile è ciò che pur essendo scritto male è autentico.

 

Cosa vi differenzia (o indifferenzia!) dalle altre riviste online?

 

Edoardo Gazzoni: Waste non fa venire sonno.

Beatrice Nicolini:

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Alessio Simoncini: Le immagini carine, i racconti belli e il fatto che ci chiamiamo Waste ma non ci occupiamo – se non su un piano metaforico, s’intende – di rifiuti o raccolta differenziata. Per ora.

Lorenzo Bianchi: Parole ingarbugliate, narrazioni stramboidi e illustrazioni potenti (sempre siano lodati gli illustratori).

Vincenzo Moggia: Che ci siamo noi anziché i redattori delle altre riviste online.

Andre Tallo: Se siete storti vi accoglieremo a braccia aperte.

Andrea Stendardi: L’eccentricità è palpabile, non so se ci distingue da molte riviste là fuori ma non è stata decisa a tavolino, è una caratteristica emersa naturalmente e credo sia un nostro marchio di fabbrica.

 

Qual è l’iter di valutazione e pubblicazione dei racconti?

 

Edoardo Gazzoni: Tutti leggono tutto. La sensibilità è abbastanza condivisa, di solito ci si trova d’accordo.

Alessio Simoncini: La mia sensibilità concorda pienamente con Edo.

Lorenzo Bianchi: Ci sensibilizziamo a vicenda e se qualcuno non è d’accordo a farsi sensibilizzare viene sensibilizzato lo stesso; la sensibilità ti trova sempre, non importa quanto lontano scappi.

Vincenzo Moggia: Li leggiamo e ci confrontiamo in merito alla valutazione e alla pubblicabilità.

Andrea Innocenti: Tutti leggono il racconto e valutiamo se pubblicarlo o meno.

Andrea Stendardi: La valutazione passa ovviamente attraverso la lettura, tutti leggiamo i contributi che arrivano, seguono un confronto per stabilire la settimana della pubblicazione e una sorta di asta tra gli illustratori. Talvolta quando la nostra sensibilità non incontra quella dell’autore possiamo metterci in contatto con lo stesso per lavorare insieme sul materiale che verrà pubblicato, specialmente per quanto riguarda il contributo grafico.

 

Dalla presentazione sul sito, sembrate una rivista accogliente. Quali sono i racconti che proprio gettate nel cassonetto perché impubblicabili?

Edoardo Gazzoni: Rigettiamo l’irricevibile. Esiste un intero popolo di rabdomanti della pubblicazione. Li vedi subito, sarebbero capaci di mandare la biografia della vispa Teresa sul bollettino del sindacato di base degli edili di vigevano pur di dire io c’ero.

Beatrice Nicolini:

 

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Alessio Simoncini: Per me, è impubblicabile ciò che è scontato, senza idee, pensato male e scritto peggio.

Lorenzo Bianchi: Gli ossessivo compulsivi delle pubblicazioni digitali. Quelli che ti mandano i racconti per email scordandosi in cc la lista di tutte le altre riviste a cui lo stanno inviando. Quelli che mandano la loro roba senza aver letto il manifesto. Quelli che mandano la loro roba senza aver neanche dato un’occhiata alla rivista. Quelli che mandano racconti senza spirito né idea.

Vincenzo Moggia: Dal mio punto di vista i crimini peggiori sono un linguaggio ingenuo, una mancanza di impostazione, o un’adesione troppo pedissequa a certi standard che vanno per la maggiore. 

Andrea Innocenti: Come detto prima, ciò che è ruffiano o particolarmente assente di contenuto viene scartato.

Andrea Stendardi: I racconti immondi di due domande fa sono imbarazzanti e impubblicabili.

 

Cosa vuol dire fare rivista oggi e come ci si può distinguere?

 

Edoardo Gazzoni: Fare rivista è come è sempre stato: cambia l’infrastruttura, ma le logiche di fondo sono quelle. Se si parte con l’idea di differenziarsi si sta già prendendo la strada sbagliata. Scrivo per esprimermi, non per essere diverso. Il problema, oggi, è che troppe persone ragionano sui meta livelli. Una rivista letteraria si fa con la letteratura, altrimenti si faceva un bollettino per pubblicitari.

Alessio Simoncini: Credo che avere una rivista sia una rivendicazione pubblica di una visione, di un pensiero o anche solo di un’intuizione e il tentativo di riempire con essa uno spazio fisico. Non credo ci sia necessariamente bisogno di avere un messaggio chiaro e definito, ma la voglia di portare avanti un discorso, quella sì, è essenziale. In questo ragionamento rientra anche la differenza tra una rivista che ambisca a definirsi tale e un blog. Per distinguersi, sempre che sia necessario, basta seguire l’intuizione che sta alla base del proprio progetto.

Lorenzo Bianchi: Un azzardo e uno spreco di tempo, come è sempre stato. Proprio per questo è così importante: se ragionassimo solo in funzione dell’utilità produttiva la letteratura non sarebbe diversa da una qualsiasi delle altre industrie. (A noi piacciono un sacco gli azzardi e gli sprechi di tempo).

Andrea Stendardi: Fare rivista, per il sottoscritto, sta significando mettersi in gioco contribuendo con le proprie capacità; se vogliamo sto sfruttando una possibilità che mi è stata data di poter mettere i miei disegni al servizio di Waste e così facendo migliorare il mio stile, la mia tecnica e produttività. Non credo debba essere seguita scientificamente una formula per distinguersi dagli altri, sondando la realtà del mercato e facendo l’esatto opposto di ciò che potremmo trovare, non sono uno che crede nell’originalità a tutti i costi; per quanto mi riguarda, ripeto, se questa esperienza mi avrà aiutato a migliorare me stesso potrò ritenermi soddisfatto.

 

Cosa rappresenta per voi (che pubblicate) e per gli autori (che vengono pubblicati) avere una rivista, un luogo letterario per appoggiare e dare visibilità alle proprie idee?

 

Edoardo Gazzoni: Avere una rivista è portare avanti un discorso, fare testimonianza culturale. Pubblicare per avere visibilità torna a essere il ragionamento sbagliato, si torna al pubblicatore seriale. Per molti è solo esserci, ma esserci e basta non porta a nulla.

Alessio Simoncini: Retoricamente direi che rappresenta il tentativo di costruzione di un Ethos condiviso, qualunque cosa significhi. Con meno retorica penso sia l’offerta, da entrambe le parti, di un confronto e la condivisione, non scontata, del proprio modo di vedere, o meglio descrivere, la realtà.

Lorenzo Bianchi: Colgo lo spunto di Alessio per buttarci dentro il Logos, pur sposando in toto la sua proposta ethica. A questo punto io direi che sì, ci piace condividere Ethos e Logos della materia letterario/illustrativa. La scrittura e il disegno costruiscono mondi. Costrutti che si articolano in un linguaggio codificato in grado di sfiorare la sensibilità di tutti.

Vincenzo Moggia: Di spazi volendo ce ne sono tanti, più o meno liberi e più o meno visibili; ma la diversificazione e l’ampliamento di questi spazi è sempre auspicabile perché c’è un’infinità di voci possibili e più queste voci entrano in contatto e riescono a confrontarsi tra loro, in spazi in cui si sentano “a proprio agio” in base alle proprie peculiarità di timbro, più si incentiva una crescita personale e comune.

Andrea Innocenti: Esprimersi è tra le prime cose che impariamo da piccoli, ma è sicuramente tra le più difficili da coltivare. Il percorso è tortuoso, dura tutta la vita e subisce una serie infinita di modifiche e blocchi. Dacci il tuo marcio che ti fa bene buttarlo fuori, e se proprio ti vergogni daccelo anonimo, il peggio che può succedere è che non lo pubblichiamo.

Andrea Stendardi: Eudaimonia. Mi sento ermetico in questa risposta.

 

Se vi dico “pop letterario” qual è la prima cosa che vi viene in mente e perché?

Beatrice Nicolini:

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Alessio Simoncini: Bolaño, Camilleri e la parola bookblogger. Il nesso lo ignoro.

Lorenzo Bianchi: William Burroughs. Oppure i Simpson, che poi esistono grazie a Thomas Pynchon. Quindi direi anche Thomas Pynchon, pur non credo sia corretto considerarlo vero e proprio pop letterario, dato che è uno degli scrittori meno fruibili (e più stimolanti) in assoluto.

Vincenzo Moggia: Mogol. Non lo so il perché. Lo chiederò alla mia psicologa.

Andrea Innocenti: Tutte le volte che leggo la parola Waste mi viene in mente per mezzo secondo o Crash Bandicoot o Toxic Waltz degli Exodus. non saprei per niente spiegarvi il motivo.

Andrea Stendardi: Harry Potter perché è popolare.

 

Ci suggerite altre tre riviste letterarie da tenere d’occhio e perché?

 

Edoardo Gazzoni: Lotta Comunista, Il borghese e naturalmente Usa Today.

Alessio Simoncini: Tutto quello che conosco sulle riviste letterarie lo so grazie o a causa di Lorenzo quindi lascio sia lui a rispondere.

Lorenzo Bianchi: Terranullius; narrazioni oniriche dense di nebbia che trovo confortanti. Da quel collettivo è uscito Luciano Funetta che ha poi pubblicato Dalle rovine e Il grido, due tra le letture più stimolanti degli ultimi anni, almeno per me. L’Indiscreto; già rivista storica, ricca di contenuti e di voci autoriali strutturate. L’aggiunta delle Classifiche di Qualità è stata un’intuizione decisiva per ravvivare la giungla delle ottime pubblicazioni penalizzate dalla distribuzione e dalla vendita di libri al chilo. Donne Difettose; ragazze vulcaniche con idee tempestose. Stampano una rivista fantastica con una veste grafica strepitosa. In più organizzano un sacco di eventi culturali bellissimi, come per esempio il Festival Marea Noir.

 Vincenzo Moggia: Argosy, Weird Tales, Amazing Stories. Come? Dovevano essere contemporanee? Ma “l’arte è sempre contemporanea”.

 

C’è qualcosa che non vi ho chiesto, ma che volevate dire?

 

Edoardo Gazzoni: Non mi hai chiesto di Bibbiano.

Alessio Simoncini: C’è stato un momento in cui Waste ha rischiato di chiamarsi L’ornitorinco. Era un altro progetto con altre idee, ma il nome spaccava.

Lorenzo Bianchi: Un po’ di tempo fa un bot ci ha preso di mira la casella di posta inondandoci con annunci di prodotti per il giardinaggio e bidoni colorati per la raccolta differenziata.

Vincenzo Moggia: Sì.

Andrea Stendardi: Abbiamo già finito?

Antonella Dilorenzo

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