Nodi: un racconto di Francesca Cassanelli

 Nodi: un racconto di Francesca Cassanelli

Illustrazione di Arturo Di Grazia

Venerdì ho vomitato la cena sul tabriz di Giulio: i fagioli all’uccelletto, il pane, un calice di vino rosso, una pera. Quando lui ha visto quella poltiglia che dal medaglione centrale si estendeva ai motivi herati e faunistici poi su, fino alle frange esterne, il suo corpo ciondolante si è come gonfiato, allungandosi verso l’alto. Ha mantenuto quella postura insolita per una frazione di secondo, per poi riprendere la sua forma di sempre.

 

Qualche ora prima avevamo litigato e per questo mi era venuta la nausea.

«Ancora non mi hai spiegato perché ti sei tagliata i capelli in quel modo assurdo» aveva cominciato, mentre sistemava la spesa nel frigorifero. «Non capisco» continuava a ripetere. «Proprio non lo capisco.»

Parlando, evitava di guardarmi, per paura di offendermi con il suo rammarico.

«Ho dovuto farlo.»

La mia replica senza senso aveva il solo obiettivo di disorientarlo, di farlo piombare in una meditazione guidata da dubbi e rabbia che non mi avrebbe attivamente coinvolto.

«Che cosa vuol dire che hai dovuto farlo?»

«Mi sentivo i pidocchi» avevo risposto.

Le rughe sulla fronte di Giulio si erano fatte profonde e le sue sopracciglia si erano unite per formare un orribile tetto spiovente sopra i suoi occhi.

«Non hai i pidocchi.»

In effetti, non avevo i pidocchi. Ma in quel momento mi era tornata alla mente la storia di una vecchia compagna dell’asilo che una mattina si era presentata a scuola con la testa rasata. La mamma le aveva tagliato i capelli con il rasoio elettrico perché in classe era scoppiata un’epidemia di pidocchi. Per rimediare al disastro io e le altre bambine le avevamo disegnato i capelli con un pennarello marrone, trasformando la sua cute in uno spaventoso groviglio di righe.

«Lo hai fatto per farmi un dispetto» aveva continuato Giulio con la voce di chi è stato punito ingiustamente. Io lo avevo guardato a lungo, cercando di non sbattere le palpebre, e siccome sembrava che non avesse altro da aggiungere, avevo iniziato a urlare cose molto cattive. Avevo preso le sue parole, quelle più recenti e quelle vecchie di settimane, e gliele avevo gettate in faccia come una vergogna. Lui aveva acceso la radio e avevamo ascoltato la rassegna stampa. Avevamo cucinato e mangiato in completo silenzio. A poco a poco si era calmato probabilmente scambiando il mio mutismo per imbarazzo e senso di colpa. È tipico di Giulio confondere il motivo dei miei silenzi per qualità che lui apprezza moltissimo. Per buona educazione, innanzitutto, e sensibilità. E anche per un certo tipo di intelligenza che, dice lui, ha a che fare con la mia emotività.

Mentre svuotavo i piatti nel contenitore dell’umido è arrivato il primo conato.

Non ho provato a raggiungere il bagno, mi sono fermata in salotto e mi sono messa carponi sul tappeto che ricopre quasi per intero il parquet. Giulio non è corso a prendere un secchio. Ha appoggiato invece il palmo di una mano sulla mia fronte, sostenendola con fermezza. Con l’altra mano mi ha accarezzato una tempia per levarmi le ciocche di capelli dal viso. Le sue dita si sono irrigidite appena si è reso conto che non c’era più nulla da trattenere e salvare. I miei capelli se ne stavano ritti e forti, la mia testa così simile al vello ispido su cui poggiavo le mani e le ginocchia.

Quando ho finito mi sono accasciata a terra, vuota e tranquilla. Giulio è uscito e io ho dormito per un’ora o due. È rientrato a notte fonda e mi ha svegliato premendo contro la mia guancia il dorso gelido della mano.

Siamo rimasti alzati fino all’alba per ripulire tutto, insistendo a turno con una spugnetta per i piatti, rovinando irrimediabilmente gli arabeschi del tappeto.

 

Francesca Cassanelli

Blam

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