Nebbia a Roserio: un racconto di Andrea Bernardi

 Nebbia a Roserio: un racconto di Andrea Bernardi

Illustrazione di Gian Marco Ibba

Il calcio è dubbio costante e decisione rapida.

All’improvviso, un gesto maldestro sembra irreparabile,

ma la palla va e viene nel bene e nel male.

Osvaldo Soriano, –Fútbol. Storie di calcio

 

Quell’inverno del 1998 il Lambrate viaggiava pigro a mezza classifica e appariva ormai chiaro che si avviava verso un inesorabile ricambio generazionale.

Dopo due anni di buoni risultati, dove aveva alternato un terzo e un quarto posto, lo smalto sembrava perduto e il gioco fluido e vivace si era involuto in una manovra macchinosa, lenta e abbastanza prevedibile. La forza di molti titolari si era ridotta, così come la velocità e i riflessi. L’esperienza non bastava più, serviva un nuovo entusiasmo, una nuova irriverente spavalderia che solo i ventenni potevano regalare.

Non c’era più tempo da perdere, era necessario far salire in prima squadra i giovani migliori della primavera e ridare slancio all’attacco che, più degli altri reparti, soffriva le ingiurie del tempo.

Il mister Petroni convocò ai primi di gennaio Maggi, un’ala veloce e tecnica, un po’ troppo innamorata della palla ma piuttosto efficace; Fiorentini, una mezza punta abile nell’inserimento in area ma capace di giocare anche spalle alla porta e Rombon, un centravanti di razza con tanti centimetri, abilissimo nel gioco aereo.

La vecchia guardia non la prese benissimo, almeno all’inizio.

Brega, alla soglia dei trentacinque, lì per lì pensò di ritirarsi ma, dopo un burrascoso colloquio con il Mister, decise di sposare la causa e alternarsi in campo con Maggi.

Pinna, un tuttocampista dal tocco di velluto, rinunciò al ruolo di seconda punta non senza qualche pesante invettiva in sardo contro Petroni e le nuove giovani reclute.

Il problema più grosso era però là davanti. Meneghelli, lo storico capitano del Lambrate, non avrebbe mai mollato l’osso. Del resto, anni prima, questa sua testardaggine aveva contribuito a far vincere al Lambrate un paio di campionati e un torneo di un certo prestigio contro squadre ben più blasonate e ora non poteva sparire all’improvviso, facendo di lui un uomo mite e accomodante.

«La Nebbia del Lambro» o «El Scighera», come lo chiamavano i tifosi e gli avversari per quella sua capacità di diventare invisibile in area, voleva giocarle tutte e fino al novantesimo.

Sul campo però appariva appesantito e stanco e nell’ultimo mese soffriva della malattia più temuta da un centravanti: l’astinenza da goal.

Dieci anni di fabbrica e un matrimonio fallito lo avevano infiacchito. Le sigarette e qualche Campari di troppo avevano fatto il resto.

La Nebbia del Lambro non riusciva più nella magia di eludere le marcature strette delle difese. Adesso gli stopper lo vedevano e lo vedevano bene, lo anticipavano e lo fermavano.

Dopo l’allenamento serale di venerdì Petroni affrontò l’argomento con Meneghelli.

«Domenica probabilmente farò entrare negli ultimi venti minuti Rombon.»

«E perché?»

«Per far crescere i nostri giovani dobbiamo dargli un po’ di spazio.»

«Sì, ma non in campionato… in campionato i ragazzini se li mangiano.»

«Per venti minuti correrò questo rischio.»

Meneghelli sbatté con violenza l’anta dell’armadietto metallico.

Tutta la squadra nello spogliatoio si ammutolì.

Petroni alzò la voce e, guardando il vecchio capitano negli occhi, gli urlò: «Non segni da un mese, sei lento, ti anticipano e non reggi più novanta minuti! Il campo non mente mai, è uno specchio!».

Il centravanti rispose tirando un pugno contro la porta dei bagni, raccolse il suo borsone e uscì dallo spogliatoio caldo e fumante per scomparire a passo veloce nella gelida sera invernale.

 

Domenica 25 gennaio il Lambrate doveva incontrare in trasferta la temutissima seconda in classifica: il Roserio. In tutti i bar dell’Ortica si parlava dell’incontro già dall’Epifania. Nonostante la disparità di forze in campo, si azzardavano, con il consueto aiuto di qualche bottiglia, i più disparati e fantasiosi pronostici.

Il risultato della partita era particolarmente importante per entrambe le squadre.

Il Roserio con i tre punti sognava di agganciare in vetta i campioni d’inverno dell’Ausonia mentre il Lambrate, in caso di vittoria, avrebbe potuto distaccarsi da un gruppo di ben quattro squadre racchiuse in un punto, entrando di fatto nella parte superiore della classifica.

Petroni era uomo equilibrato e di buon cuore, ma era piuttosto superstizioso e tra le sue manie c’era quella del rito della consegna della maglia prima della partita. Le maglie, lavate e stirate, venivano deposte dal secondo allenatore su uno dei lettini dello spogliatoio come su un altare votivo, in attesa della consegna solenne.

Petroni come ogni domenica entrò nello spogliatoio per ultimo, si avvicinò al «sacro mucchio», ma vide subito che qualcosa non quadrava. Il consueto ordine era stato turbato, qualcuno o qualcosa aveva violato il rito. Si guardò intorno e vide che il giovane Rombon indossava già la maglia numero 11.

«Se succede qualcosa, la colpa è tua. Non farlo più capito?»

«Ma io sapevo già il mio numero e non credevo che… mi scusi, Mister.»

Petroni fece un cenno d’intesa col capo per rassicurare il ragazzo, ma il suo volto si rabbuiò decisamente. Qualcosa nell’equilibrio cosmico doveva essere di conseguenza mutato, irrimediabilmente.

Il primo tempo si concluse con i padroni di casa avanti di due goal a zero e un dominio pressoché incontrastato del campo.

All’inizio del secondo tempo Petroni fece i primi due cambi ed entrarono Maggi e Fiorentini. Per circa un quarto d’ora sembrò cambiare l’inerzia tattica, ma poi il Roserio riprese ad avere il pallino del gioco e a far girare velocemente il pallone contenendo gli avversari nella loro metà campo.

Intorno al settantesimo incominciò a scendere velocemente una fitta nebbia che avvolse in poco tempo tutto lo stadio. Era un elemento non trascurabile per il gioco, ma la sua entità non era sufficiente per la sospensione dell’incontro. In quell’aria bianca e umida, che l’inverno spesso regala alla Pianura lombarda, il Lambrate sembrò ricompattarsi e trovare quel gioco che forse non aveva mai avuto. Fiorentini prese a muoversi tra le linee mandando in confusione mediani e difensori avversari. Poi un pallone respinto dalla difesa finì sui piedi del giovane esterno del Lambrate. Il terzino del Roserio si lanciò allora all’inseguimento feroce di Maggi che, palla al piede, si era subito involato a velocità folle sulla fascia destra. Quando a stento lo affiancò, a pochi metri dalla linea di fondo, gli entrò con un tackle deciso, ma non trovò nulla, né le caviglie né il pallone. Il numero 14, con una grande giocata, lo aveva saltato con il pallone appoggiato sul collo del piede e, subito dopo, aveva lasciato partire uno spiovente proprio verso il dischetto del rigore. Meneghelli era in leggero ritardo, ma i due centrali che lo braccavano lo erano ancora di più. La palla scese girando come a volte gira la vita, come direbbe Soriano. Il capitano, senza esitare, si tuffò in avanti come l’angelo di una polena e colpì con violenza il pallone che si infilò in rete poco sotto la traversa, alla sinistra del portiere.

Il Lambrate aveva riaperto la partita ma, sul due a uno, la strada era ancora in salita. Il tempo a disposizione era poco e il terreno bagnato e pesante non aiutava la manovra d’attacco bensì il castello difensivo del Roserio.

Il cronista dello stadio faceva una gran fatica a riconoscere i giocatori e in alcuni momenti sembrava inventasse trame di gioco immaginarie. Poi, proprio allo scadere, la sua voce si alzò improvvisamente come se ci fosse una sorta di premonizione: «Maggi parte sulla destra, sponda di Vitali, ancora Maggi, si accentra, passa a Meneghelli, El Scighera nasconde la palla, fa fuori due avversari, scambia con Fiorentini, El Scighera da solo davanti al portiere… Goal!».

 

Ci sono partite che più di altre entrano nella testa e nel cuore, e non necessariamente sono quelle vincenti. Quella non lo fu, fu solo un pareggio. Ma per diverso tempo la storia del Lambrate, che ritrovò sé stesso e il suo centravanti El Scighera proprio nella nebbia, rimase molto popolare in tutta la periferia est di Milano.

A giugno il Lambrate raggiunse un onorevole quarto posto e il Roserio vinse il campionato. Rombon fu inserito nella rosa e smise di indossare maglie anzitempo.

Meneghelli «El Scighera», dopo essersi ritirato da giocatore, prese il patentino e oggi allena i ragazzini in Eccellenza. Insegna a nascondere la palla e a evitare le marcature. Ha smesso di nascondersi. Ha capito che in un certo senso siamo tutti perdenti con una gran voglia di sognare e che il calcio, anche per questo, è molto più di un gioco.

 

Andrea Bernardi

Blam

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