Come ogni venerdì: un racconto di Diego Scordino

 Come ogni venerdì: un racconto di Diego Scordino

Illustrazione di Elsa Capalbo

Cominciò con lo stupro, o con le pillole. Ormai non importava più. Anna era lì, gli occhi vuoti, il vetro freddo della finestra e poi il nulla. L’odore non cambiava mai. Lenzuola lavate, fiato pesante. A volte arance, a volte merda. D’esterno solo i brandelli. Scampoli smorti e tutti uguali.

Marco strinse le mani. Lesse la stessa frase quattro volte e poi la lesse di nuovo. Non entrava più niente, era ora. Chiuse il libro e cercò la forza di rialzare gli occhi. Sentì l’odio per quel letto immacolato. Come i fiori e le medicine. Come i paesaggi inchiodati alle pareti. Ogni cosa era sbagliata. Ogni secondo di ogni giornata.

Anna era lì.

La mano poggiata sul muro. La schiena curva. Lo sguardo assente. E quei capelli, quei maledetti capelli, perfetti come se niente fosse accaduto. Neri, pettinati appena. Lei, una su mille. La ragazza più bella che avesse mai visto. Ripensò a quei giorni con la luce accesa. Ai dolci, al mare. Ai denti, alle parole sulla pelle. Al suo collo, a Firenze e poi alla luna. Ripensò a quella prima volta in cui ebbe paura. A quella notte in cui si disse cosa sono senza lei.

Forse fu lo stupro. Il sangue, la sirena, i camici attorno. E pian piano, la morte. Vederla affogare nei vestiti. Amarla e scoprire che non bastava più.

«Anna, devi mangiare.»

Non poteva capire cosa significasse odiarsi. La nausea. Vomitare l’aria. Sentirsi sporchi dopo una doccia. All’inizio erano urla, sfoghi senza senso. Cambi d’umore. E poi, lentamente, l’apatia. Forse furono le pillole. Troppe, tutte assieme. Un corpo freddo sul tappeto. Altre sirene, altri camici. E poi terapie, terapie e terapie. Sale bianche, riviste. Fantasmi. Quell’esistere insensato, vegetale. Estate, inverno. Un anno identico in ogni giorno.

Marco si alzò. Mise a posto tutto. Non fece rumore. Fuori era buio, dentro di più. La guardò per l’ultima volta e fece la cosa più dura di tutte: sorrise.

«Ci vediamo venerdì prossimo.»

Dal volto nemmeno un accenno. La bocca muta. Gli occhi, pure. Marco strinse i pugni e fissò le vene, dense, lunghe, come lacrime sotto la pelle.

«Ti amo» le disse. «Ti amo.»

Dall’atrio, la stanza di Anna sembrava soltanto una porta qualunque. Marco firmò in silenzio tutti i fogli che gli misero davanti.

L’infermiera, guardandolo uscire, pensò di non aver mai visto un uomo più triste in tutta la vita.

 

Diego Scordino

Blam

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