La cronologia dell’acqua di Lidia Yuknavitch: l’acqua come metafora della scrittura. Recensione

 La cronologia dell’acqua di Lidia Yuknavitch: l’acqua come metafora della scrittura. Recensione

Per Chuck Palahniuk, il cui endorsement sigilla la quarta di copertina del romanzo, La cronologia dell’acqua (nottetempo, 2022) è un libro straordinario, al quale tornare per tutta la vita. La dichiarazione appassionata dell’autore di Fight club genera una curiosità e un’aspettativa che la lettura di questo lungo romanzo non deluderà.

La cronologia dell’acqua di Lidia Yuknavitch: la trama del libro

Il romanzo è il racconto autobiografico dell’autrice, della sua vita di eccessi, violenza, sofferenza e anelo all’autodistruzione, ma anche – e contemporaneamente – la narrazione del suo percorso di trasformazione, di elaborazione del dolore e ricostruzione di sé attraverso l’incontro con la scrittura.

La storia si articola in cinque sezioniTrattenere il respiro, Nel blu, Il bagnato, Resurrezioni, L’altra faccia dell’annegare – i cui titoli dichiarano il rapporto simbiotico che lega Yuknavitch all’acqua: quella delle piscine in cui gareggia da bambina; l’acqua è il rifugio in cui l’autrice torna nei momenti di crisi. All’interno di queste sezioni, brevi capitoli illuminano squarci o episodi più lunghi della vita e delle esperienze di Lidia: dalla perdita del primo figlio all’eroina, dalla dipendenza da alcol e sesso ai vari matrimoni, dall’infanzia di abusi alla carriera professionale, dall’incontro con scrittori del calibro di Ken Kesey (Qualcuno volò sul nido del cuculo) alla scelta lunga e faticosa di fare della scrittura e delle parole la sua seconda casa. La narrazione non si sviluppa in ordine cronologico o secondo uno schema identificabile, ma piuttosto assecondando un procedimento poetico di affioramento, innescato dalla scrittura. Non a caso nel romanzo c’è spazio anche per la metariflessione sul processo stesso dello scrivere: Yuknavitch ha alle spalle studi di critica letteraria, di cui racconta anche in alcuni capitoli del romanzo, e la sensazione, andando avanti nella lettura, è che per l’autrice la stesura di questo memoir prenda forma parallelamente allo sviluppo di una personale teoria estetica e letteraria, e della consapevolezza di sé come scrittrice.

Un libro sul come sopravvivere che contiene anche una dichiarazione d’amore

La cronologia dell’acqua è indubbiamente un libro durissimo. I fatti che vengono raccontati sembrano voler spostare sempre più in là la soglia di tolleranza del lettore. Soprattutto le prime parti sono dense di eventi tragici e violenti, raccontati con la freddezza di un cronista. Ma proprio in mezzo al dramma più buio è la scrittura a offrire una chiave per la sopravvivenza, poiché getta un ponte tra la Lidia scrittrice del presente e la Lidia del passato, colei che viene raccontata; nella scrittura quel ponte diventa dialogo, riconoscimento reciproco, e, infine, pacificazione: «Non è facile abbandonare un io per accoglierne un altro. La libertà lascia cicatrici. Forse può uccidere. Almeno uno dei nostri io. Ma va bene. Ce ne sono altri. Quante volte moriamo? Le parole, come i sé, valgono la pena». La dichiarazione d’amore, e di gratitudine, alla fine è proprio per la scrittura: «C’è chi dice che le parole non possono “capitarti”. Io dico di sì».

La scrittura di Lidia Yuknavitch in La cronologia dell’acqua

«Mi stava uscendo dalle mani qualcosa sul desiderio e sul linguaggio» scrive Yuknavitch nel momento in cui si rende conto del tipo di testo cui sta dando forma. L’autrice deve dare parola a un corpo pensante, curioso, affamato di intensità e di esperienze, che non produce percorsi lineari ma zigzaganti, percorre strade disordinate; le motivazioni alla base delle azioni rimangono spesso in una zona di oscurità e la memoria non è mai fedele. Solo quando inizia a raccontare, Yuknavitch comprende che esistono tante verità quante sono le possibilità di raccontare un’esperienza, ed è per questo che decide che il suo linguaggio, le sue parole, aderiranno al modo in cui il corpo e il desiderio orientano le scelte della sua vita. Nasce così anche la metafora dell’acqua: «Ricordo attraverso lampi sulla retina, disordinati. La vita non segue alcun ordine. Gli avvenimenti non rispondono al rapporto di causa ed effetto come vorremmo. È tutta una serie di frammenti e ripetizioni e trame. Questo condividono il linguaggio e l’acqua. Tutti gli avvenimenti della mia vita si intrecciano nuotando. Senza cronologia. Come nei sogni. Perciò se evoco il ricordo di una relazione o dell’andare in bicicletta o del mio amore per l’arte e la letteratura o della prima volta che bagnai le labbra d’alcool o di quanto amavo mia sorella o del giorno in cui mio padre mi toccò la prima volta – non c’è un senso lineare. Il linguaggio è una metafora dell’esperienza. È arbitrario quanto la massa di immagini caotiche che definiamo memoria; ma possiamo comporre frasi per narrativizzare la paura».

 

A cura di Lisa Burger

Blam

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