Binari di Monica Pezzella: un esordio letterario in verticale. Recensione

 Binari di Monica Pezzella: un esordio letterario in verticale. Recensione

Nonostante Binari sia il suo romanzo d’esordio – pubblicato da TerraRossa Edizioni e in libreria dal 26 novembre – Monica Pezzella vanta un’esperienza di tutto rispetto nel mondo letterario. È traduttrice – ha collaborato e collabora con case editrici come Wojtek, Nutrimenti, Fabbri, Ponte alle Grazie, Elliot; è, inoltre, redattrice editoriale e ha fondato “Sulla quarta corda”, una rivista di scrittura verticale che si prefigge di dare voce agli autori e spazio ai testi in grado di “superare il limite estremo, oltre il quale scrivere è violentarsi” che è quanto, a nostro avviso, ha compiuto l’autrice con quest’opera.

Binari: la trama del libro nel rapporto d’amore fra Marcel e Ale

La trama potrebbe banalmente esaurirsi nel seguente modo: un giorno Marcel, che fa l’architetto, conosce un ragazzo, Ale, che si prostituisce e se ne innamora. Punto. Oltre questo c’è però molto altro, non è fondamentale il cosa, bensì il come.

Marcel vede Ale per la prima volta a un ricevimento: “un ragazzo alto e slanciato con i capelli scuri e un po’ scarmigliati davanti in un completo grigio, gli occhi chiari pietosamente smarriti, le mani nelle tasche”. Marcel è incuriosito da questo ragazzo diverso dagli altri ospiti, questo ragazzo che se ne sta lì come se “non conoscesse nessuno”. La visione di Ale si insinua nella sua mente anche dopo aver fatto sesso con Vittoria, sua collega e organizzatrice dei ricevimenti ai quali Marcel partecipa annoiato. E chissà perché, o forse il perché lo sa, Marcel ripensa alle parole di Dareh, a quella sua affermazione sull’amore, sul fatto che è racchiuso e si esaurisce in un solo attimo e che è attrazione ormonale. E l’amore tra Marcel e Ale sarà così: schiavitù, carnale; un rapporto svuotante, che toglie anziché dare, e Marcel si aspetta proprio questo da Ale: “che non gli dia pace che non lo lasci dormire che non lo lasci lavorare che gli tolga il tempo che si prenda il tempo che lo rubi a tutto il resto. Vuole l’unica cosa di cui dice di aver paura. Perdere il controllo”.

La storia con Ale è come il tram che Marcel prende per andare a tornare da lavoro, per essere in un modo e in un altro, un amante delle linee architettoniche e di quelle che convergono verso Ale; questa storia è per Marcel una traiettoria fatta di binari. E benché la si possa segmentare, scambiare l’avanti con l’indietro, andare oltre il capolinea, il risultato non smette di essere lo stesso e cioè che Ale “è stato sempre lontanissimo, troppo lontano” per Marcel.

Che cos’è l’amore?

In un casale di campagna, durante uno degli innumerevoli ricevimenti organizzati dal circolo degli architetti, Dareh, un collega di Marcel, sta parlando di qualcosa che non c’entra nulla con l’architettura. L’argomento è l’amore e chiede agli astanti che cosa sia per loro: “Un sentimento, questo è banale, direi per tutti. Un bisogno? Un istinto? Un desiderio? Eros, attrazione, come per i Greci? Un’illusione? Un’arte? Un mito? Un’utopia? Un mistero?”. Lo stesso Dareh che pone la domanda, cerca di darsi una risposta, collega l’amore a quello per dio, provato una volta in una chiesa in Emilia, un sentimento ultraterreno e carnale al tempo stesso. Soprattutto quando ha rivolto lo sguardo al crocifisso appeso e lo ha visto illuminarsi e ha capito “che l’amore è stato tutto in quell’attimo. Si è esaurito. È stato anche quello un’attrazione ormonale…” giungendo alla conclusione che la definizione di amore “vada cercata nella fisica [] Tachicardia, insonnia, perdita di peso, lacrime. È un’equazione matematica”.

Il quesito sulla natura dell’amore accompagna un po’ tutti i personaggi durante la narrazione. Per Marcel, pensando al suo rapporto con Ale, l’amore è una “schiavitù. Fisica.” Perché per lui Ale è questo: mancanza di libertà. Vittoria, una delle donne con le quali Marcel ha un rapporto sessuale, un giorno gli confessa che secondo lei “l’amore è l’illusione per antonomasia ed è quello che rende la gente felice, a nessuno importa se è vero o no, la felicità è l’unica realtà che conta”. Ale, invece, a un certo punto, riflette sul fatto che “avrebbe continuato ad andare a letto con le donne qualcuna lo avrebbe cercato anche dopo e addirittura anche lui ne avrebbe cercata qualcuna e l’avrebbe rivista fuori dal letto ma avrebbe continuato a dirsi: L’amore però è un’altra cosa.

Una lingua flessuosa

L’incipit coincide con la fine della storia, segue un prima anche se “Adesso, ancora, questa Voce può arrivare a ricordare cose accadute, ma non a collocarle esattamente nel tempo. Difatti, anni o mesi. Molto o poco prima di Ale”; c’è un dopo e, infine, il romanzo si chiude con un inizio. Questa frammentazione temporale contribuisce all’effetto straniante già creato da una lingua flessuosa, conturbante, che lascia senza fiato e che, appunto per questo, è in grado di condurre il lettore a un livello superiore della narrazione. Monica Pezzella utilizza una scrittura verticale, quella stessa proposta dalla rivista che ha fondato e che ne costituisce unico criterio di selezione. È, pertanto, una lingua sperimentale, quella utilizzata. Non è un caso che questo romanzo breve e denso di livelli interpretativi, sia ospitato da TerraRossa Edizioni nella serie Sperimentali, la collana che, secondo quanto afferma la stessa casa editrice, è “dedicata agli scrittori in grado di coniugare solidità narrativa e originalità stilistica”.

a cura di Valeria Zangaro

Valeria Zangaro

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