La verità, vi prego, sulla solitudine al tempo dei social: «T-rex solitario» è il racconto di Lorenzo Zerbola

 La verità, vi prego, sulla solitudine al tempo dei social: «T-rex solitario» è il racconto di Lorenzo Zerbola

Illustrazione di Dario Licata

In linea teorica, il gioco è programmato in modo tale che una partita possa durare 17 milioni di anni, in riferimento a quanto tempo la specie è stata presente sulla terra prima della sua estinzione.

Dalla pagina Wikipedia «Dinosaur Game»

 

Si ricomincia.

Fai colazione con il muesli ai frutti rossi dell’Ins (2 euro e 39 scontato a 2 e 29, biologico anche se non ci credi mai) intanto che scorri le notizie con la vaga paura che il mondo esploda. Viri verso i reel di adolescenti porche. Disagio vario. Battute sulla droga. Assuefatto dalle barzellette, in pratica. Come tuo nonno in tilt che raccontava sempre le stesse.

Meglio che aprire le mail, comunque, o controllare le bollette (hai disattivato le notifiche). Farai finta di niente quando uno dei coinquilini ti chiederà aggiornamenti. Tanto la mora si divide. Ti sorprende invece la banda che scende dall’alto del telefono al 10 percento. Non hai attaccato bene il cavetto ieri notte (e solo tu e la tua ex sapete come fare, ma perché era un suo vecchio caricatore). Ci riprovi e con una certa fatica alla fine prende.

Potevi comunque evitare quella confessione ieri sera, a ripensarci. Ma eri ubriaco e quella bottarella di ketch ha fatto più effetto del previsto. Ipotizzi di scrivere un messaggio, apri la chat, l’incipit è tremendo e lo cancelli. È banale dirlo, ma svegliarsi alle undici con nessuno che ti ha ancora cercato ti atterrisce. Ti amareggia. E per lenire il senso di vuoto, notevole – aggiungeresti – senso di vuoto, apri Instagram. Poi lo chiudi. Riapri e richiudi. Lo ri-riapri. Lo ri-richiudi. Apri Facebook e ri-ri-apri Instagram fino a quando non ti chiedi: chi è ’sta gente di cui guardi le storie? Apri WhatsApp (anche qui hai disattivato le notifiche ma ci torni sempre). Riprendi vecchie conversazioni a cui non hai risposto. Ascolti un vocale di 2 minuti e 35 a uno virgola cinque per. Tema: Chiara e il suo processo di autoconsapevolezza. Metti due per. Ti dice niente. Processo è una delle tante parola-piaga di questi tempi. E tutto ciò che inizia con self-.

Quindi, che fare?

Metterti a disegnare sarebbe dedicarti eccessivamente a te stesso. Finire il poemetto su cui riponi ogni speranza di realizzazione personale e che ti svelerà alla comunità letteraria e per cui ti inviteranno in tutti i festival e festivalini indipendenti pieni di fica in adorazione e grazie al quale stringerai la mano a Stefano Dal Bianco prima che crepi anche se non ti piace e Francesco Targhetta che invece ti piace ti farà i complimenti sinceri perché hai fatto ciò che lui avrebbe sempre desiderato fare senza riuscirci mai e che un giorno ricorderai su un divanetto bianco che hai raggiunto avanzando con un bastone oltrepassando un pubblico seminascosto e mega-applaudente su RaiTre rispondendo all’ologramma di Fabio Fazio autocitando ciò che eri solito dire a proposito della tua innata mancanza di talento ma solo per farti consolare e non farti sopportare soprattutto dalla tua ex che… non oggi. È un po’ troppo per un giorno come questo. Hai tempo: te lo dici da anni, e puoi continuare a farlo. Vai tra.

Raccatti tre individui e vai al fiume. Il telefono è al 35 percento. Può bastare.

Con Francesca, amica di un amico, passi venti minuti in attesa che gli altri due compaiano al bar dei cinesi, punto di ritrovo dove prendete un esoso succo di frutta (viveur, scialacquatore – come disse la tua correlatrice durante la discussione della tesi triennale davanti a mamma e papà confusi e indecisi se sorridere o meno e vestiti al meglio delle loro possibilità –, bohemien, dilapidario non esiste ma si capisce, trentenne senza risparmi, fallito, coglione) e una pasta alla crema secca. Con Francesca si crea una bella intesa. Affinità. Non segue: elettive. Anche in macchina, scherzate meglio voi due degli altri seduti dietro. Siete il fulcro della compagnia casuale dell’anello. Più tardi, al fiume, mentre galleggi come uno stronzo, diffidi però di questa corrispondenza – togli: amorosi sensi. Sei tu che ti adegui, che compensi, che aderisci alle forme degli altri. Sempre questo il punto. Lo scotto da pagare per quel trilione di canne che ti sei fumato da ragazzino-ino-ino. Le pare, diocane. E dato che ti senti professore oggi, con tutte queste casuali cit in corsivo, azzarderesti l’analogia con le Furie che urlano nelle orecchie colpevoli dell’omicida. O a Frodo che indossa l’anello e va in psicosi (hai fatto ridere la classe qualche volta, ma sono già due anni che rispolveri battute, e quelli se ne accorgono o peggio cominciano a non capire più i riferimenti). Ad ogni modo provi a non guardare più Francesca negli occhi per il resto della giornata. Scherzi con gli altri. Stai bene. Rispondi a due messaggi mandando la foto del fiume a mo’ di vendetta. Il telefono al 19 percento.

Decidete di tornare. Ma le colline sono stupende ed è triste tornare in città ancora con il sole. Magicamente sentite provenire dalla piazza del paesino là sopra una musica spagnoleggiante che vi attrae (il testo parla di colite, cucarache, di passi avanti e indietro e hop!, giravolte). Bevete uno spritz campari davanti a una distesa di tavoli della pro loco. Provi a fare una storia ma non ti convince. Ti mettono tristezza i vecchi seduti e i cinquantenni con la polo e il colletto alzato fino alle orecchie. Non sai perché. O forse sì: e se un giorno finisci così? A decadere negli ultimi anni sono state soprattutto queste separazioni tra te e gli altri, queste possibilità di futuro tutte al negativo (la peggiore riguarda i colleghi quando ti ritrovi in discussioni sul futuro dell’insegnamento a sentire giudizi sulle nuove generazioni cui ti assimilano anagraficamente e tu ridi forzatamente al loro utilizzo auto-ironico della parola boomer per qualsiasi cosa). Due anni fa, durante un ritiro in baita post-rottura, post-primo lavoro post-università, post-tutto, Arianna ti ha detto: immagina il te stesso di settant’anni davanti allo specchio la mattina, è lui che devi guardare per capire cosa devi fare e non avere rimpianti rimorsi e via dicendo. Il tuo, le hai detto, vive al primo piano di un palazzo popolare, non ha i denti, fuma due pacchetti di Marlboro rosse, ha una figlia di quattordici anni incinta e una moglie che lo picchia. Arianna ridendo ha aggiunto che ’sto vecchio ti guarda con i polmoni che sfiatano e poi ti dice: almeno potevi scopa’ [respiro arrancato], almeno potevi scopa’, coglione.

Tornate in città. Ti decidi a pubblicare una storia (colline che scorrono dal finestrino, molto suggestivo, molto accattivante, sì sì) col cell al 10 percento. Francesca ti riporta a casa per ultimo. Proponi un’ultima bevuta nel baretto sotto casa perché sono ancora tante le ore che ti separano dal sonno, lo sai. Difficile poi dire chi ha baciato per primo. Lei ti ha guardato in silenzio, facendo cadere apposta un discorso inutile sui gelati confezionati e acconsentendo quindi al tuo avvicinamento a occhi chiusi da film americano.

Nessuno dei due viene. Sudato tanto, forse troppo. Senti di averla delusa in un qualche modo. E vorresti si fermasse a dormire, ma deve tornare a casa dal suo ragazzo con cui ha una relazione diciamo aperta. Così la definisce: diciamo aperta.

Altri video generati con l’AI, meme, reel, porcate. Dati e metadati sulla tua voglia di non fare niente. Lavativo, diceva tuo nonno prima che crashasse definitivamente, e ti costringeva a cercare la parola sul dizionario.

3 per cento che diventa subito 2.

Fai attenzione a collegare bene il cavetto. Lo rigiri sotto la custodia. Inclini il cellulare verso l’alto. Ma non funziona. Provi nuove combinazioni. Soffi dentro il buco della presa.

1 per cento.

Cerchi uno stuzzicadenti e provi a togliere le pagliuzze di tabacco, polvere e fili delle tasche simili alla merda che ti ritrovi nell’ombelico.

Niente. Il telefono si spegne.

La notte fai un sonno senza sogni. Come se non ci fosse campo. E ti svegli con la stessa voglia di vivere del dinosauro di Google dopo essersi schiantato contro il primo cactus.

Apri gli occhi – barra spaziatrice.

Si ricomincia.

Lorenzo Zerbola

Blam

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