Una donna, uno stalker, una relazione tossica: «Riordino» è il racconto di Simona Franchini
Ti svegli che è mattino presto. Cerchi di aprire gli occhi ma hai le palpebre incollate alle ciglia inferiori. Sai che puoi stare ore in quel buio di nuvole e pensieri, perché in realtà non sei immersa nel buio, fluttuano oggetti come corpi celesti nello spazio vitreo: ti passano davanti lasciando una scia di bagliori. Poi succede quello che accade sempre: hai fame. Ti compare un toast al prosciutto. Forse perché la sera prima hai mangiato solo due piatti di minestrone e sai che i carboidrati con te sono sempre inopportuni, arrivano a guastare la pace che ti stai godendo sotto le coperte. Provi a resistere. Provi a goderti quel momento di tenerezza che una volta alla settimana sai che le tue lenzuola possono concederti, visto che la domenica non hai orari. Stai ancora lì ferma con gli occhi chiusi e annusi il profumo della federa che hai cambiato due giorni fa.
A un certo punto decidi che il momento del planetario è finito e apri gli occhi. Allunghi la mano sinistra verso il comodino, schiacci l’interruttore e accendi l’abat-jour. Giri la testa e guardi quella bella struttura che ti sei scelta su misura per te con quel cappello di righe verticali azzurre. Fissi la lampada e senti che intanto le tue pupille si sono rimpicciolite e possono mettere a fuoco quello che ti circonda.
Allontani il piumone e metti i piedi giù da letto. Ti volti e guardi l’impronta che hai lasciato sul materasso: ha la forma di una fossa, quella che ti scavi ogni notte e che al mattino è difficile lasciare perché contiene tracce di te. Muovi pochi passi a destra e poi dritto davanti e sei già nell’angolo cucina. Quel bilocale che hai trovato in centro è abbastanza grande per contenere la tua esistenza. Oppure, te lo fai bastare. In fondo non ci sei quasi mai, solo per dormire o qualche weekend che non vai in giro. Apri il frigo e prendi la vaschetta del prosciutto cotto. Controlli la scadenza, anche se sei abbastanza certa che sia ancora commestibile. Infatti, c’è scritto sopra: «Da consumare preferibilmente entro il 24 marzo». Sollevi la pellicola e annusi. L’odore ti entra prepotente nelle narici. Appoggi la vaschetta sul tavolo e prendi le sottilette. Poi chiudi il frigo e apri lo sportello dove tieni il pane e tutti quei carboidrati senza i quali non esisterebbe la colazione. Dal sacchetto estrai due fette di pane, ci metti in mezzo il formaggio e il prosciutto. Appoggi il toast su una padella antiaderente che stava nello scolapiatti e lo metti sul fuoco. Non hai mai comprato un tostapane. Lasci che il pane si abbrustolisca da un lato e dopo lo giri. Vedi la sottiletta che cola. Ti apri una bottiglia di succo d’arancia. Prendi un bicchiere e te ne versi un po’. Bevi a piccoli sorsi. Il toast adesso è pronto. Lo togli dal tegame, lo prendi con un tovagliolo, ne strappi un angolo, quello meno bollente, e lo metti in bocca. Cominci a masticare.
Pensi che oggi è il giorno giusto per il tuo riordino. Finora hai fatto tutto bene: ti sei alzata con calma e adesso stai facendo colazione. Mentre senti il toast che scrocchia sotto i tuoi denti, ti godi un raggio di sole che filtra dalla finestra. Ti viene da chiudere gli occhi. Ti piace tenerli abbassati. Lo facevi anche quando c’era lui e lo fai ancora. Perché perdere le buone abitudini? Forse ti piace così tanto perché con gli occhi chiusi puoi immaginare tutto e andare dove vuoi. Infatti, ecco che ti vedi lì in Messico, tra le piramidi dei Maya o in Thailandia, tra i templi dorati.
Ma all’improvviso interrompi i tuoi pensieri. Senti suonare alla porta. Sei obbligata ad aprire gli occhi per andare a vedere chi viene oggi, di domenica, a romperti le scatole. Guardi da una fessura della finestra e vedi che è lui. Di nuovo. Instancabile. Tentenni un attimo, come hai fatto altre volte in passato. Altre volte che eri più fragile. Però adesso sei decisa e sai quello che vuoi. Fa parte del riordino della tua vita che ti sei imposta. Sull’altalena della sua instabilità ci sei già salita tante volte e non vuoi più sederti lì.
Guardi di fronte a te: l’avevi pensata per essere una libreria, e invece, oltre ai libri, ci appoggi anche i vestiti, visto che l’attaccapanni non ce l’hai. Chiedi consiglio ai jeans arrotolati e a tutte le maglie, magliette e maglioni; ti senti rispondere: «Non aprire». Tu obbedisci. Sai che è la sola cosa giusta da fare. Per lo meno, la cosa più sensata. Sai che se lo fai salire succede sempre la stessa storia.
Lui suona di nuovo e poi ancora, a ripetizione.
Prendi un orologio e calcoli il tempo. Suona a intervalli di dieci minuti, perché sa che sei a casa. C’è la tua macchina parcheggiata fuori. Resisti. Ormai sei più forte di lui. Continui con il tuo riordino. Vai in bagno e adempi ai tuoi bisogni fisiologici. Poi ti lavi la faccia. Raccogli i capelli in una coda, metti una fascia all’altezza delle tempie e applichi una maschera viso purificante. Aspetti. Senti l’argilla penetrare nei pori e la lasci entrare volentieri perché sai che ti farà bene. Ti siedi sul bordo della vasca da bagno. Lui continua a suonare, ma non t’importa. La porta blindata è chiusa e non può entrare. «Chi è fuori è fuori. Chi è dentro è dentro.» Lo ripeti a voce alta più volte, come quando da bambina giocavi a nascondino. Lo ripeti ogni volta che senti suonare. Chiudi di nuovo gli occhi e adesso sei in Indonesia, vicino a Bali. Stai per salire la cima di un vulcano. Hai lo zaino in spalla e le scarpe da trekking.
Dopo avere suonato dodici volte lui cede. È diventato un puntino insignificante nello spazio della tua esistenza. Un puntino che neppure si vede con un cannocchiale.
Hai ancora la maschera in viso, riapri gli occhi e la tua pelle adesso è tiratissima. L’argilla si sta staccando da sola. È passato troppo tempo. Ti alzi e ti avvicini al lavandino, apri il rubinetto. Fai sgorgare l’acqua, bagni un panno di spugna e ti pulisci la faccia. Quando hai tolto tutta l’argilla senti che sei un’altra.
Di nuovo l’occhio ti cade sulla mensola. Ti avvicini e decidi di mettere in ordine quel campo di battaglia. Sollevi i vestiti uno per uno e li infili nell’armadio. Decidi anche di rifare il letto. Non lo fai quasi mai, ma stavolta pensi che sia necessario. Tutto deve essere in ordine per ripartire da zero. Adesso che sei di nuovo tranquilla, accendi il pc e guardi il volo. Lo trovi, è il tuo. Il prezzo è anche buono. Prendi la borsa, trovi il portafoglio, tiri fuori la carta di credito. Pochi passaggi e il tuo viaggio è confermato. Ora sei pronta per partire.
Simona Franchini
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Complimenti davvero Simona, con il tuo modo di scrivere asciutto e diretto sei riuscita a dare vita a quell’alchimia che mi sorprende sempre e che da forma ad un racconto di spessore partendo da dettagli sottili.