Come si ricordano da adulti le estati della propria infanzia? «Pulverer Hotel» è il racconto di Claudio Bellon

Illustrazione di Angela Barbiera
Da piccolo le vacanze finivano più o meno tutte così: l’auto è ferma sulla ghiaia davanti all’ingresso dell’albergo, le portiere sono spalancate, il bagagliaio è aperto mentre tuo padre si affanna a giocare a tetris con le ultime valigie, le borse, le sacche da golf. Nell’angoscia che ti disorienta, vorresti soltanto scappare o fare il matto come una scimmia, perché restare ancora un minuto in questo luogo, consapevole che tra poco sarà solo un ricordo, è troppo da sopportare.
Non è il luogo la ragione del tuo dolore. Non sei il tipo di bambino che si affeziona alla sala giochi di un albergo o all’aroma sulfureo dell’acqua termale. E non è nemmeno il ritorno a scuola a sconvolgerti. Stavolta è diverso: avverti un po’ di nausea mentre cerchi di trattenerti, mentre il panico ti assale al pensiero di essere smascherato, pur sapendo che, tra poco, nascosto sul sedile posteriore del Range Rover, accadrà l’inevitabile.
Nel sisma che percuote la tua dimensione infantile, per la prima volta, c’è una bambina. Oggi, dopo tutti questi anni, avrebbe l’età per fare l’insegnante, o la scrittrice, o la modella di Victoria’s Secret. Molte cose sono svanite nel tempo, ma non il ricordo di lei, di quando un pomeriggio siete rotolati giù da una collina nel parco assolato dell’albergo. Questa bambina che, per tutta la vacanza, hai sperato di incontrare a colazione e a cena tentando di manipolare il ritmo dei pasti familiari con tre parole semplici ma infallibili: «Mamma, ho fame».
Mentre l’aria calda sale tra gli alberi carichi di linfa e i rigagnoli brillano sotto il sole di maggio, tuo padre sistema l’ultima valigia, con violenza chiude il bagagliaio che pesa come una lapide sulla remota speranza di rotolare, ancora una volta, insieme a lei giù dalla collina.
A questo punto tuo padre gira la chiave nel cilindro di accensione e la centralina coordina l’avvio del sistema. Tua sorella apre la portiera e ti fa cenno di salire. In quest’istante comprendi: per la prima volta ti trovi di fronte alla parola fine. Non sai ancora dare un nome al sentimento che ti ha sfiorato, e che languido si è insinuato dentro di te come un odore nuovo, delicato, simile a quello del glicine e della terra umida.
Senza conoscere l’origine di questo dolore, con il volto nascosto nel gomito, al riparo da occhi ai quali non confesseresti mai la ragione della tua tristezza, puoi lasciarti finalmente andare. E piangi senza fare rumore. Piangi di nostalgia e abbandono, nonostante la tua giovane età. Un pianto nuovo, diverso dai precedenti. E più autentico di tanti che verranno dopo, mentre attraverso le lacrime rivolgi l’ultimo sguardo al versante assolato dove, pochi giorni fa, si è acceso il bagliore della tua prima tenerezza.
Claudio Bellon