Il racconto della domenica: Il sacco di Filippo di Danilo Di Prinzio

 Il racconto della domenica: Il sacco di Filippo di Danilo Di Prinzio

Illustrazione di Angelo Carmisciano

Saturnino era già lì, poco prima di me e guardava non so cosa; sorrideva in un modo del tutto nuovo, come mai prima d’ora. Scendevamo velocissimi lungo il pendio, uno dietro all’altro. Le erbacce si piegavano al nostro passaggio; le spine ci graffiavano le gambe; il cielo era bianco, luminoso; semplicemente bello.

Anche se lo slittino era piccolissimo, comunque ci entravamo comodamente in due, perché Saturnino era tutto ossa e pelle per colpa della sua malattia, e si vedeva che ci soffriva, ma quel giorno non gli importava niente, o almeno credo. Per una volta sembrava libero e felice. Nel frattempo che gli altri preparavano il pranzo sulla loggia, noi eravamo venuti qui. E non era solo un’emozione, era qualcosa di più, tanto che si vedeva proprio che a Saturnino gli stava esplodendo l’universo dentro. Avevamo detto che saremmo andati a fare una passeggiata verso il ponte, lungo la strada che passava vicino alla casa dei vicini, gente di campagna e tanto simpatica, anche se quel Filippo, con il suo modo strano di fare e di parlare, ci spaventava un poco. Si portava appresso sempre un sacco di stoffa enorme sulla spalla. Mia cugina Carmelarita diceva che dentro quel sacco Filippo ci metteva i serpenti raccolti per la campagna, quelli velenosi, e che a lui non facevano niente perché era pazzo. Non ho mai capito perché i serpenti non mordevano ai pazzi, ma così era. Ogni volta che ci vedeva, diceva che se ci comportavamo male, ci avrebbe ficcati lì dentro insieme ai serpenti. Un giorno mamma lo sgridò a tal punto che per un po’ non disse più nulla. Saturnino era sicuro che ce l’avesse con lui. Un giorno lo aveva guardato con l’occhio cattivo e si era convinto che prima o poi lo avrebbe rapito e rinchiuso dentro il sacco.

Ci siamo calati dalla collinetta sugli slittini di plastica almeno cinque volte, e scendevamo rapidi come se sotto non c’era terra ma ghiaccio. Prima di chiamarci per il pranzo, siamo riusciti a salire un’ultima volta; io davanti con le mani aggrappate alla terra e Saturnino dietro, attaccato a una corda che mi ero avvolto intorno al busto. Avevo la forza necessaria per portare in cima tutti e due. Appena arrivati sopra, ci siamo fermati un attimo per riprendere fiato e nel frattempo guardavamo tutto il paesaggio d’intorno: il castagno gigante al centro dell’orto di nonna, gli olivi; ma soprattutto c’erano viti ovunque, a destra, a sinistra, sulla collina di fronte. Poi all’improvviso Saturnino mi aveva proposto una sfida. «Vediamo chi arriva prima» mi aveva detto e, con lo slittino che gli avevo lasciato, aveva iniziato a scendere velocissimo, e io dietro a rincorrerlo. A un certo punto avevamo iniziato a gridare forte forte, fregandocene delle spine, delle foglie, dei rami, insomma di tutto. Io gridavo, Saturnino pure, poi ancora io e poi lui. L’avevo quasi affiancato ed eravamo quasi arrivati, quando Saturnino si era trovato a fare una brutta sterzata e poi una giravolta pazzesca che lo aveva catapultato così, bum!, in una siepe piena di spine, e Saturnino aveva iniziato a gridare, sì, ma in un modo diverso, un modo che era anche una sorta di pianto brutto. Poco dopo era uscito agitando le braccia per aria: un serpente gli penzolava dall’ascella, mentre lui, poveretto, continuava a gridare come un pazzo. E subito dopo si è buttato a terra con gli occhi spalancati. Io non ho saputo che fare. Sono rimasto lì come uno scemo. Dalla loggia si sentiva un rumore di sedie, di piatti, di persone che scendevano dalla scala e che facevano tutto veloce. Saturnino respirava a fatica, io non capivo niente. Tutti quanti erano venuti ad aiutarlo; anche mia cugina Carmelarita che aveva una faccia arrabbiata e guardava verso la casa dei vicini.

C’era Filippo laggiù, con il sacco sulle spalle e quel sorriso che hanno i pazzi come lui.

Danilo Di Prinzio

Blam

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