Il racconto del mercoledì: Stop di Giacomo Proia
Il rosso del semaforo irrompe sulla faccia del signor Laerte. La sua auto borbotta ferma e solitaria su una strada che si è lasciata la città alle spalle. Gli occhi dell’uomo, fino ad allora coccolati dal chiarore dell’alba, chiedono una stropicciata.
Il signor Laerte è sempre il primo a raggiungere l’azienda che gestisce, lo fa da decenni. Ancora trecento metri per raggiungere la sede, un capannone che domina il paesaggio. Si guarda allo specchietto e rimuove con due dita un lungo pelo che spunta dalla narice destra. La fitta di dolore gli fa contorcere il viso. Resta a fissare il suo volto inondato di rosso, cerca di scrutare qualcosa di nuovo. Ha la sensazione che il suo viso sia così da sempre, che sia nato con quelle guance flaccide, con le orecchie basse e le occhiaie pendenti. Sembra che ci sia qualcosa di diverso dalla gravità ad attirare la pelle del suo volto verso terra, qualcosa che si fa più forte ogni giorno.
Il signor Laerte picchietta le dita impazienti sul volante, accompagnando le sue meditazioni, quelle che da anni lo accompagnano al lavoro. Dopo decenni di pensieri, di regole, di vuoto, sta arrivando la sua illuminazione. Alza lo sguardo e si fissa allo specchietto, stavolta fiero. È arrivato il momento di infrangere una regola, di liberarsi anche solo per un attimo di sé stesso. Un brivido gli sale fino su alla nuca: ha deciso di passare con il rosso.
La sua auto avanza di un metro, l’uomo guarda a destra e a sinistra: non si vede nessuno. Sta per accelerare, ma si arresta subito. È convinto che sia stata la sua morale ad averlo fermato. Anche se a pensarci bene ciò che lui ha sempre chiamato morale è in realtà una paura insormontabile per qualsiasi cosa, per le conseguenze delle sue azioni. Il semaforo non cambia colore. Il signor Laerte ci riprova: toglie il piede dal freno e accelera, stavolta più deciso. Appena la macchina si muove frena ancora di colpo. Non ha guardato a destra e a sinistra. Infrangere una regola sì, senza morire però. Guarda bene, non passa nessuno, può andare. Eppure i suoi piedi non hanno le sue stesse intenzioni: non rispondono più ai comandi.
La mattina è ormai arrivata, l’auto ferma all’incrocio trema, e continua a gettare fumo da più di un’ora. Il semaforo ordina ancora di non muoversi. Il signor Laerte alza gli occhi e si guarda di nuovo allo specchietto. È come se in quel tempo fermo davanti al rosso il suo viso fosse cambiato, come se la sua pelle si fosse tirata.
Il signor Laerte toglie la cintura di sicurezza ed esce di fretta dalla sua auto. Lascia la strada e corre in mezzo ai prati, verso i boschi. I primi alberi, ancora umidi di rugiada, lo hanno inghiottito.
La sua macchina è ancora accesa, con lo sportello aperto.
Giacomo Proia