Il racconto del mercoledì: Risveglio di Giulio Papadia

 Il racconto del mercoledì: Risveglio di Giulio Papadia

Illustrazione di Andrea Caputo

Destatomi in terrazza all’acme del meriggio torrido, disteso all’ombra sempre più esigua di una palma nana in via di essiccazione, mi chiedevo la cagione del mio essere così esposto al fuoco di giugno. Il disordine, i bicchieri, i superalcolici, le birre brodose allocate sul tavolino poco discosto mi suggerivano che s’era fatta festa. I parenti dovevano esser fuori per motivi che non mi sovvenivano, e io avevo reclutato qualche disgraziato come me affinché mi tenesse compagnia, gozzovigliando fino all’estremo sonno che mi aveva colto.

Non si stava affatto male in quel metro quadrato di inferno terrestre all’ultimo piano, malgrado stessi perdendo copiosamente liquidi sotto forma di sudore. Volgarmente attirato da un suono gutturale che proveniva dalla strada, mi sono affacciato e ho allumato un vecchio canuto e decrepito, di età variabile fra i settanta e i centovent’anni. Proteso in avanti a quarantacinque gradi circa, era intento a massaggiarsi il pomo d’Adamo emettendo un gorgoglio mortale di suoni ovattati.

Si prolungava il sapiente maneggiare ayurvedico, a stimolare emissione catarrosa. Ho visto la densa secrezione dal colore cangiante – giallo, verdastro, marrone – penzolare dalle labbra del matusalemmico per qualche secondo prima di staccarsene, avendo guadagnato spazio fra le fenditure della dentiera lercia. Sonoro il contatto col suolo, impronosticabile l’effetto. La sostanza lutulenta ha preso a muoversi di sua volontà, descrivendo serpentine sul manto bituminoso, sciogliendo i tombini di ghisa decorati con anacronistiche effigi littorie, corrodendo l’asfalto in profondità fino a creare una voragine di dimensioni notevoli. L’autore della sgradevole installazione artistica, situata proprio sotto casa mia, se ne stava a guardare il suo capolavoro con una punta di malcelato orgoglio, le mani giunte senilmente dietro la schiena ricurva.

Lui, fonte primigenia di quella motriglia, s’è dileguato poco appresso, svomando grumi e umori acidi a intervalli fissi, disseminandoli come le molliche di pane della fiaba dei Grimm per serbare memoria del tragitto percorso.

Giulio Papadia

Blam

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