Il racconto del mercoledì: La buonanotte di Dio di Marco Simeoni

 Il racconto del mercoledì: La buonanotte di Dio di Marco Simeoni

Illustrazione di Francesca Galli

Le cicatrici vennero dall’acqua. Lei sopraggiunse impartendo valore alla paura e futilità alle preghiere. Sopraggiunse di notte. Qualcuno sopravvisse perdendo tutto ed ebbe l’obbligo di raccontarlo, restando come me invischiato tra passato e rimpianti.

Noi superstiti dell’alluvione, nonostante lo stimolo degli psicologi, parlavamo evitando il discorso, come se gli anni e il silenzio rappresentassero la gestazione di un tempo che avremmo voluto dimenticare. Stavamo attenti anche a non pronunciare alcuni verbi apparentemente innocui: spazzare; scorrere; fidarsi. E alcune parole: via; oltre; troppo.

Quella notte il paese venne risvegliato dal rombo scaturito dalla montagna. Assonnati, in molti uscirono in pigiama per affrontare l’incubo liquido, armati di ombrelli e chiavi.

Non vi raggiungerà, rassicuravano le voci dalle TV accese a macchia di leopardo nelle case.

E poi ci raggiunse.

I detriti trascinati dalla piena presero coraggio, sfregiando facciate, divellendo tralicci dell’alta tensione. Quando l’acqua toccò i cavi elettrici, frazioni del paese furono inghiottite dall’oscurità. Fu la buonanotte di Dio. La foto la scattò Silvia, a tradimento. La scattò, mentre strappavo il nastro verde del pacco regalo. Del suo presente. Fino a quella notte credevo nella certezza del presente. Solo nel futuro si poteva morire.

Silvia uscì al richiamo del rombo: «Il temporale, arriva il temporale!» disse. In tanti lo avevamo sminuito.

La vidi attraversare l’uscio con una smorfia buffa: «Ho lasciato di nuovo il finestrino aperto».

Mollai il regalo, pronto a immortalarla al suo rientro con una foto di rappresaglia, concentrato come un cecchino. Per questo non sentii. Usavamo il suo telefono per fotografarci, tanto da considerarlo un album di ricordi. Con il braccio teso pronto allo scatto, il mio regalo era fermo allo scartamento.

La stanza diventò una palude.

L’inutilità di aggrapparsi all’acqua dovrebbero insegnarla quando si è piccoli. Poco prima di impazzire e urlare bolle, la mia unica preoccupazione riguardava il regalo.

I soccorsi mi trovarono fuori, incastrato tra lo sportello dell’auto ribaltata di Silvia e una cornice di fango.

«Sei stato bravo» il vigile del fuoco provò a tirarmi su. «Saresti finito a valle.»

«Silvia… Silvia? È qui!» Tossii e quasi svenni sollevando il braccio spezzato.

Per convincermi a scavare in quella che era stata la mia infanzia, dovetti uscire e rientrare dalle macerie più volte. Trovai il cellulare di Silvia in un cantuccio della cucina. Aveva la scocca esposta con i circuiti sepolti dal fango. La scheda di memoria era intatta. Mostrava la foto della mia faccia tesa, intenta a strappare il nastro verde.

La fisso ora, immutata dopo 2100 giorni dallo scatto, nascosto nel bagno di questa casa che imparerò a sentire mia.

Quel presente e chi me lo ha regalato, invece, li ho persi nell’alluvione.

Marco Simeoni

 

Blam

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