Il racconto del mercoledì: Holden (O di valigie, dicembre e poesia a sproposito) di Martina Peroni

 Il racconto del mercoledì: Holden (O di valigie, dicembre e poesia a sproposito) di Martina Peroni

Intercapedine dei sogni – Illustrazione di Juliana Duque

Caro Holden,

forse ci voleva dicembre per capirlo davvero. L’aria secca e gelata, questo vorticare di neve, il buio alle quattro e le luci fuori. Due linee di febbre e un’idea improvvisa – le valigie che non prepari, i posti a cui non dici addio, ciò che non ti curi di mettere sotto una teca di vetro. Tutte le cose che non hai idea di dove vadano a finire, come le anatre quando i laghi ghiacciano. Chissà se si trovano tutte insieme in una specie di intercapedine dove non c’è vuoto e non c’è polvere, chissà se dicembre non è poi che questo: un ultimo luogo da salutare, un ultimo ripensamento, il momento sospeso. 

Ché dicembre non è lo stesso per tutti e le case sono anche quei posti assurdi dove non vedi l’ora di tornare prima ancora di essertene andato, ma poi esiti e non entri. Non ancora. Come se volessi andare via già prima di essere arrivato.

Da fuori, dopotutto, non è che un quadro giallo sporco come tanti nell’aria livida che promette neve e mantiene solo buio. Perché questa non è New York, questa finestra sparisce tra tante, forse tra poco si spegne. Ma non finisce il ballo, non muore la fiamma. Non si perde l’odore. Perché forse ci vuole dicembre per capirla davvero, quella sensazione di essere nell’unico posto comodo, asciutto e caldo nel mondo. Fuori piove. Fuori non piove. Non importa. 

Ci sono storie di cui ti fidi, e tu probabilmente lo sai, no? Quella frase sugli autori a cui vorresti telefonare appena chiuso il libro, quelle vicende che magari nemmeno finiscono – chissà di cosa è pieno il loro intercapedine, chissà se il loro dicembre somiglia un po’ al mio, un po’ al tuo o a nessuno dei due. Forse è per questo che mi viene tanta voglia di andare fuori tema, ché anche a me farebbe impazzire l’idea di spendere tremila battute solo per raccontare di qualcuno che ha scritto poesie su un vecchio guanto per sentirsi un po’ meno solo in mezzo a un campo in cui nessuno era pronto ad acchiapparlo. Forse è per ciò che questa lettera la sto scrivendo a te, che magari ne andresti matto o magari non la sopporteresti, ma mi piacerebbe tanto – davvero, davvero tanto – alzare il telefono e potertele chiedere, tutte queste cose.

Forse non risponderesti. Forse seguiresti con lo sguardo un altro riquadro d’oro slavato oltre il vetro, il turbinare di neve, la musica di un disco spezzato.

O forse sì, e tireremmo fuori da quell’intercapedine decembrino uno per volta tutti gli irrisolti, i non fatti, i non detti. Starebbero bene in una teca di vetro tutta loro, dopotutto. O forse, raccontando troppo, inizierebbero a mancare anche loro, chissà.

Una donna con una di quelle valigie che rimangono sempre in giro.

Martina Peroni

Blam

Articoli Correlati

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *