“L’amore mio non muore” di Roberto Saviano, storia di Rossella Casini uccisa dall’ndrangheta perché ha creduto nell’amore

L’amore mio non muore (Einaudi, 2025) è una storia vera. Roberto Saviano si serve di fatti e nomi reali sì, di testimonianze autentiche, intercettazioni, inchieste, atti giudiziari sì e, laddove i dati scarseggiano nel ridare corpo alle vicende, Saviano si avvale dell’immaginazione. Quel corpo e quelle vicende appartengono a Rossella Casini. Il volto in copertina è tutto ciò che rimane di lei. L’immagine – risalente al libretto universitario di Rossella e rinvenuta da due giornaliste di «Repubblica Firenze» –, che Saviano ha tenuto sotto gli occhi per tutto il tempo della scrittura, è una foto d’altri tempi, in bianco e nero, come quei film muti che lei amava tanto e da cui l’autore ha preso ispirazione per il titolo. Gli occhi di lei appaiono spenti, la bocca serrata, senza sorriso, con i denti nascosti che sembrano non poter addentare più la vita. Gli occhi non guardano lontano, sono fermi su un obiettivo vicino e drammatico, al quale ha deciso – in nome di un amore – di abbandonarsi, di dire il suo Sì come una vitale, coraggiosa, passionale Molly Bloom: «Mi chiese se io volevo sì dire di sì, il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì».
L’amore mio non muore di Roberto Saviano: la trama del libro
Simbolo, dal greco sýmbolon: segno nel quale ci si riconosce. Rossella Casini è una studentessa universitaria poco più che ventenne, vive a Firenze con il padre Loredano e la madre Clara negli anni delle contestazioni giovanili. È una donna fuori dai cliché: istintiva, curiosa, libera da ideologie. Come le persone pure, erra senza corazze affidandosi a un impulso irriducibile: quello di amare. L’amore è per lei misura di tutte le cose, l’unico filtro attraverso il quale vive e comprende il mondo. Simbolo, dal verbo greco symbállo: unire due parti distinte. La vita di Rossella cambia quando incontra Francesco Frisina, studente calabrese con cui nasce una storia travolgente e passionale. Durante una vacanza a Palmi, Rossella scopre che la famiglia di Francesco è coinvolta in una faida tra clan della ’ndrangheta calabrese: quello dei Gallico (coi quali i Frisina sono schierati) e dei Condello. Rossella sceglie di restare accanto a Francesco, convinta che l’amore che provano l’uno per l’altra possa non solo salvarlo, ma addirittura porre fine alla guerra. Simbolo, antica tessera o anello spezzato in due: sugella un patto tra due parti. Rossella supplica Francesco di confessare, di rompere il silenzio. Ma «noi questo siamo» si rivela essere l’unico assioma perseguibile dalla famiglia Frisina, fondato sull’omertà. E così Rossella, la straniera dagli occhi azzurri, diventa di colpo una minaccia. Rossella Casini viene violentata e fatta a pezzi, col consenso di Francesco. I giudici parleranno di responsabilità «mastodontiche», ma senza prove e senza un corpo, nessuno dei Frisina sarà mai condannato. Di Rossella oggi resta solo la parte di un anello spezzato, quello che non muore e che simbolicamente lei stessa ci ha affidato. Sta a ognuno darsi da fare per ricomporre l’incastro ogni giorno, perché se l’amore non ha salvato lei, possa, perlomeno, salvare noi.
Fidarsi dell’amore
«Un giunco alimentatosi di versi ed estati / non doveva fidarsi / dell’acidità vulnerabile dei cieli». Non doveva fidarsi Rossella, come il giunco dei versi di Carmen Yáñez. Eppure questa poesia ha per titolo proprio il paradosso di una fragilità: Sopravvissuta. Doveva allora fidarsi Rossella e andare incontro al suo destino per sopravvivere per sempre come l’eroina di una tragedia greca. Ma i versi e le parole in questo caso servono solo a sublimare la realtà e i sentimenti con cui ci approcciamo a essa, perché le leggi che regolano i rapporti tra gli uomini sovrastano ogni pura intenzione: quasi sempre chi osa infrangere questi meccanismi, si ritrova a incarnare il ruolo di Davide contro Golia. Il contraccolpo della fionda sarà inevitabile e l’eroe in questione vivrà solo nei libri e nelle narrazioni. Ciò che sconvolge nel romanzo di Saviano è che alla fine non si assiste a un solo epilogo, ma la realtà viene lacerata aprendoci alla valutazione di tre possibili brandelli di verità. Tre possibili finali. Il primo è il risultato di un meccanismo delle cosche malavitose, la cosiddetta «macchina del fango», un tipico e puntuale espediente per cercare di uscire indenni da ogni complicanza giudiziaria: le dicerie oltraggiano non solo Rossella, che viene accusata di essere una donna frivola, ma travolgono anche lo stesso sistema giudiziario che perde tempo a indagare su una donna di facili costumi. Un altro epilogo maschera una menzogna e riguarda la testimonianza della sorella di Francesco, Cettina, che dice di aver accompagnato, come una buona amica, Rossella alla stazione mentre era diretta verso casa a Firenze. Infine l’epilogo plausibile, l’unico, si basa su una testimonianza di un pentito che in carcere ha ascoltato la vera versione dei fatti: Rossella è stata violentata, trucidata, data in pasto ai pesci dai Gallico su volontà di Francesco, Cettina e di suo marito. Di fronte a un amore dilaniato e senza finale rimangono un mucchio di domande senza risposta. Viene da chiedersi che fine abbia fatto il sentimento che Francesco diceva di nutrire per Rossella. Con quale coscienza possa continuare a vivere come se lei non fosse mai esistita. E come sia possibile poi, per noi, credere ancora nella potenza dell’amore che tutto può trasformare dopo aver letto questa storia. «Questo ero/giunco silvestre infangato/all’epicentro della paura e dell’indolenza/con la sua semplice condizione di inquilino/senza spine».
La scrittura di Roberto Saviano in L’amore mio non muore
In L’amore mio non muore, Roberto Saviano sembra accogliere e rielaborare il «metodo Murgia», inteso come quell’approccio narrativo che consiste nel dare voce a ogni emozione, nel nominare le cose affinché esistano e prendano forma, nel non lasciare che i sentimenti restino afoni. La lingua del romanzo è un’orchestra di suoni: si nutre di accenti regionali (calabrese, toscano), mescola il dialetto con l’italiano e si apre persino a una lingua franca, l’esperanto, che serve per dar voce ai sentimenti profondi, all’affetto, all’amicizia, perché questi rimangano intatti, vivi. Perché anche la lingua dell’amore ha bisogno di una struttura che non si consumi, fatta per durare e dare spazio.
A cura di Oriana Rodella