La fuga dei corpi di Andrea Gatti: un viaggio ai limiti dell’esperienza umana. Recensione

 La fuga dei corpi di Andrea Gatti: un viaggio ai limiti dell’esperienza umana. Recensione

Quando ci si mette in viaggio è sempre per fuggire da qualcosa. Per negare un’identità e rinnegare un’appartenenza. O, al contrario, per conquistarsi uno spazio nel mondo. È per questo motivo, in fondo, che si mettono in viaggio anche i protagonisti dell’esordio di Andrea Gatti, La fuga dei corpi, da poco pubblicato da Pidgin Edizioni. Vanni e Daniel vogliono raggiungere un luogo in cui poter essere, senza proibizioni, la versione più autentica e incontrollata di sé. Per farlo è necessario rinunciare a chi sono stati, al mondo come l’hanno conosciuto. Solo così, infatti, potranno entrare a far parte di Cala Bruja.

La fuga dei corpi: la trama del libro di Andrea Gatti

Nel momento in cui iniziamo a leggere La fuga dei corpi abbiamo pochissime informazioni. Non sappiamo chi stia parlando, dove si stia dirigendo e perché. Ci sono solo un camioncino che corre, un’autostrada e due ragazzi che fanno l’autostop. Con loro pochissimi oggetti, quasi tutti racchiusi in uno zaino che portano sempre con sé: un fornelletto elettrico, un dentifricio e uno spazzolino, qualche cambio, nessuna mutanda e poco altro. I due si guadagnano da vivere suonando per strada – Vanni la chitarra, Daniel un tamburo -, rinchiudendosi in un cerchio magico, intoccabile, dove l’arte diventa un’esperienza mistica.

“Avevamo creato un nostro cerchio, inventato una lingua tutta nostra. Sapevamo che diventare autonomi significava imparare a battersi nelle strade, occupare case vuote, non lavorare, amare alla follia, rubare nei supermercati”

Solo in seguito scopriremo che Vanni e Daniel hanno appena abbandonato due vite relativamente confortevoli per andare alla ricerca di uno stato di natura che li connetta al nocciolo più profondo dell’esperienza umana. Cala Bruja è un luogo incantato, quasi leggendario, in cui non vigono – almeno apparentemente – le regole sociali del mondo civilizzato: ciascuno può esprimersi come vuole, nei limiti del rispetto degli altri. Cala Bruja è un miraggio, una promessa; un segreto da custodire nel petto come un mistero indicibile. E per accedervi, come accade in tutti i luoghi incantati, è necessario un sacrificio.

Un romanzo di formazione sui generis

La fuga dei corpi è, innanzitutto, un romanzo di formazione, ma non nel senso più canonico che siamo abituati ad assegnare a questo termine, quanto più nel suo senso esteso, generico: la formazione dell’identità, come direbbe Freud, è frutto di una rinuncia e di una negazione dell’eredità che ci portiamo dietro. Anche Vanni e Daniel partono per conquistarsi una personalità, sebbene, forse, non lo abbiano compreso del tutto. Sono giovani – appena laureati – e, come è naturale che sia, in lotta con il mondo circostante, o meglio: con ciò che il mondo ha deciso che loro debbano essere. Vanni, per esempio, è un ragazzo mediocre, tutto teso verso degli obiettivi che non riescono a soddisfarlo. Daniel, invece, è nero e orfano, per cui doppiamente discriminato; nonostante questo – o proprio per questo – si adatta al ruolo di guida che gli altri gli hanno assegnato, nascondendo dentro di sè un’insicurezza viscerale. 

Entrambi i personaggi sono soli e infelici, ciascuno a modo proprio, e per questo motivo morbosamente legati tra di loro. La partenza condivisa segna quasi un patto di sangue: la sopravvivenza dell’uno diventerà, necessariamente, quella dell’altro. 

Una storia di rinunce e ossessioni

Il romanzo di Andrea Gatti, quindi, è un romanzo di rinunce, di negazioni. Vanni e Daniel rifiutano la società in cui sono ingabbiati, i ruoli che gli sono stati arbitrariamente assegnati da familiari e amici, il proprio passato, finanche ciò che il senso comune definirebbe “civiltà”. La partenza, per loro, ha il senso di un’abrasione, di una cancellazione totale. 

Ma nel viaggio la realtà si rivela molto più sfumata di quanto non appaia a primo acchito, e le cose che li hanno definiti in passato diventano fardelli da cui sembra quasi impossibile liberarsi: ogni tanto tornano a galla, come ricordi o sogni, talvolta come ossessioni, e il romanzo oscilla continuamente tra la realtà e la sfera dell’immaginario, del possibile; tra il presente e il passato. 

Lo stile ipnotico di Andrea Gatti

Lo stile di Andrea Gatti è ipnotico, vorticoso, a volte persino criptico. In questa storia i confini si sfumano di continuo: la bellezza sconfina con l’orrore, la crudeltà è mescolata alla dolcezza, la violenza sembra essere persino legittima. E la lingua segue queste oscillazioni, anzi, le insegue, con respiro affannoso – come in uno scontro corpo a corpo, come in una lotta per strappare una qualche verità possibile. 

La fuga dei corpi ha la forza dei sortilegi e dei riti catartici; la potenza delle tragedie classiche e la frammentazione dei romanzi postmoderni. E se c’è davvero qualche verità da strappare a questa storia, quando si giunge all’ultima pagina, è che alla fine dell’orizzonte non si nasconde nulla: non c’è nessuna verità, nessun approdo. 

“Chi racconterà la tragedia dei nostri anni di pace?”.

a cura di Rebecca Molea

Rebecca Molea

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